Afam, parziale riconoscimento dei trienni accademici nell’afam: come si prospetta il futuro dei bienni?

AVVISO

La questione dell’equipollenza tra titoli del nuovo e vecchio ordinamento dell’Afam e la loro relazione di equipollenza con i titoli universitari si è finalmente conclusa sul piano normativo con l’emanazione del Decreto Ministeriale n. 331 del 14/10/2019, attuativo del comma 107 della Legge 228 del 24 dicembre 2012 – che va letto, a non dare adito ad equivoci, in integrazione ai commi 103 e 102. Pertanto adesso la questione si sposta da quello normativo a quello giurisdizionale (ossia i tribunali dove ciascuno può fare valere, se crede, i propri diritti), data una certa resistenza di ambienti burocratici a dare corretta attuazione a tale delicata materia. Quindi bisognerà riferirsi a casistiche molto recenti e abbastanza particolari, come il riconoscimento dei titoli Afam ai fini del riscatto contributivo (pensionistico) oppure ai fini dell’inserimento comparativo nelle graduatorie d’istituto di diversa fascia – per citare la casistica attuale più dibattuta … Converrà pertanto trasferire il nuovo know how informativo sul recentissimo e ben più aggiornato Post:

https://musicaemusicologia.wordpress.com/2020/08/24/linps-ammette-il-riscatto-quinquennale-per-i-diplomi-afam-di-vecchio-ordinamento/

e, ancora, a quello di poco precedente:

https://musicaemusicologia.wordpress.com/2020/02/08/il-riscatto-dei-diplomi-afam-di-vecchio-ordinamento-luci-del-presente-e-ombre-del-passato/

Pur nondimeno si lasciano qui di seguito, a mo’ di storica documentazione, i riferimenti ad un difficile dibattito protrattosi per quasi un ventennio.

Dibattito storico sull’equipollenza tra titoli dell’Afam e titoli universitari, e titoli dell’Afam di previgente e vigente ordinamento.

Avvisiamo i pur volenterosi lettori che l’evoluzione contraddittoria della situazione normativa, attualmente per di più in situazione di stallo per colpevole disinteresse della classe politica al governo e non, comporta un’attenzione tutt’altro che superficiale agli accadimenti già avvenuti e alla loro corretta interpretazione fattuale e giuridica. Pertanto, data la concentrazione nella rete di un notevole interesse informativo  su questo  articolo, inserisco vari link con più recenti e importanti aggiornamenti; che reimpiantano la questione in maniera ancora in parte imprevedibile.

In tal senso le prime risposte date agli interventi dei lettori  sono in parte superate dagli eventi successivi e dunque dalle stesse risposte date, direttamente o indirettamente, con un rinnovato e necessario riferimento ai seguenti articoli in link, dal più al meno recente. Insomma occorre leggere tutto con molta attenzione e crescente competenza oppure rassegnarsi a non capire granché di quello che sta accadendo.

L’equipollenza dei diplomi conservatoriali alle lauree universitarie. Le competenze del Cun

L’equipollenza alle lauree dei diplomi di Conservatori e Accademie

Forum III sulla “Valorizzazione dell’Afam” (aggiornato al 15/03/13)

 Afam, parziale riconoscimento dei trienni accademici nell’afam:

come si prospetta il futuro dei bienni

di Mario Musumeci

 Validazione, messa ad ordinamento e … equipollenza

Con succinto D.M. n. 243 del 28 marzo viene disposta l’equipollenza ai diplomi accademici di primo livello dei “titoli conseguiti a conclusione dei corsi sperimentali triennali attivati presso gli Istituti Superiori di Studi Musicali”.

D.M. 243, 28 marzo 2013

Occorre ricordare che, a monte di questo provvedimento, a loro volta i diplomi accademici di primo livello erano stati resi equipollenti ai diplomi universitari (lauree) di primo livello del Dams – (corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda istituiti presso numerose facoltà di Lettere italiane) “al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego” – da specifici articoli della trascorsa legge finanziaria; legge, detta “di stabilità”, n. 228 del 24 dicembre 2012. E si trattava di articoli stralciati da un precedente disegno di legge definito addirittura come “di valorizzazione dell’afam”.

Cosa significa tutto questo in una lingua spendibile per la comprensione di addetti ed utenti dei conservatori musicali italiani? Semplicemente che, secondo le nostre autorità politico-amministrative, fino ad ora tutti i nuovi titoli di studio rilasciati dagli istituti superiori degli studi musicali – conservatori e istituti musicali pareggiati – erano e ancora in parte sono da intendersi come sperimentali! E pertanto necessitavano ancora di un ulteriore riconoscimento, nella forma – appunto qui dichiarata – di un’equipollenza al modello istituzionalizzato nel 2009.

E ciò benché la legge di riforma dell’afam, dell’ormai lontano 21 dicembre 1999 n. 508, non prevedesse né fasi sperimentali propedeutiche all’istituzione dei titoli accademici, né successive validazioni, né conseguenti messe ad ordinamento cui dovessero conseguire – addirittura per legge specifica – ulteriori equipollenze. Ricordiamo infatti che detta validazione era già avvenuta con i DD.MM. 8 ottobre 2003, n. 629/AFAM per i diplomi accademici di primo livello e n. 632 per i diplomi accademici di secondo livello. E che con il D.M. 30 settembre 2009, n.124 si attuò anche la messa ad ordinamento degli stessi secondo un modello riformulato dal ministero, cui tutte le istituzioni dovevano rifarsi, rimodulando in parziale autonomia i propri curriculum formativi. Cosa avvenuta e oramai da allora stabilizzata. O almeno così si credeva.

Da qui nasce il legittimo interrogativo: ma quanti e quali devono essere i provvedimenti che dispongono la validità di specifici titoli di studio: impiantati peraltro a partire da una legge – quella di riforma del 1999 – che già a monte ne disponeva la generica equiparazione ai diplomi universitari (lauree) di analogo livello?

E difatti abbiamo avuto prima l’avvio di una fase sperimentale – seppure non previsto da alcuna norma di legge.

Poi la validazione dei titoli prodotti in alcune istituzioni pilota secondo dei modelli ben precisi e ritenuti come particolarmente qualificanti (2003), dunque imposti dalla dirigenza ministeriale come riferimento per l’istituzione in altre sedi.

Poi la messa ad ordinamento del triennio accademico (2009); anzi la “definitiva” messa ad ordinamento, così come ci si esprimeva allora, addirittura anche a tutti i livelli ufficiali da parte della stessa dirigenza ministeriale. La quale non poteva certo non implicare anche i diplomi che ne avevano in precedenza predisposto tramite la sperimentazione sia la forma che la sostanza istituzionale.

I titoli di studio rilasciati ma esclusi dal riconoscimento accademico

E adesso (2013) abbiamo la suddetta equipollenza. Ma vien da chiedersi che senso abbia questa, se preesisteva già una coincidenza tra i titoli reputati sperimentali e poi validati e dunque propedeutici alla successiva messa ad ordinamento e i diplomi accademici già sussistenti in quanto messi ad ordinamento secondo un modello nazionale.

Peraltro tutto questo si è protratto per più di due lustri, mentre in parallelo presso l’università un’analoga autonomia produceva fin dall’analogo avvio del 1999 dei titoli di studio di analogo percorso (il cosiddetto 3+2), senza alcuna sperimentazione propedeutica e sostituendo immediatamente quelli del precedente sistema. Precedente sistema che invece presso le istituzioni dell’afam è stato mantenuto fino ad oggi e in una protratta fase, addirittura ventennale, di transizione! Il che comporta da tempo un’inaccettabile e critica situazione: ciò che si dà per superato – formativamente ed istituzionalmente – lo si mantiene valido per un tempo spropositato dilatando in maniera abnorme (e, forse, pretestuosa) la fase di diritto transitorio, mentre ciò che si appronta come innovativo – e, soprattutto, con più vincoli e con un curriculum ben più nutrito di studio – lo si mantiene precario e in sleale concorrenza per un tempo almeno analogo. Conseguenze sotto gli occhi di tutti: l’incentivazione per il nuovo viene nel frattempo messa sotto i piedi, per non dire  irresponsabilmente boicottata; mentre viene in parallelo salvaguardato con pertinacia il mantenimento del vecchio sistema con tutte le disfunzioni preesistenti; incluso certo privatismo selvaggio, manifestazione non unica di un diffuso malessere circolante nelle istituzioni.

Va precisato che la suddetta equipollenza non viene attribuita a tutti i titoli, ma secondo le corrispondenze stabilite in due apposite tabelle allegate.

DM_243_28-03-13_tabella_a

DM_243_28-03-13_tabella_b

In una vengono indicati i titoli di studio resi equipollenti … a sé stessi; insomma, a dirla in breve, come ulteriormente validati e dunque stabilizzati definitivamente e ad abundantiam nell’ordinamento. Nell’altra vengono elencati invece, e sempre per ciascuna istituzione, una serie di titoli sperimentali per i quali viene previsto un “successivo provvedimento”, al fine di individuarne le corrispondenti equipollenze “previa verifica del piano di studio di ciascun corso”. Un gergo burocratico che indicherebbe una qualificazione di non piena adeguatezza dei suddetti titoli di studio, evidentemente espressi in autonomia dalle istituzioni. Ma rispetto quale modello che ne giustificasse i relativi decreti autorizzativi? Sia che questi non sussistano, sia che adesso non se ne tenga più conto non ci sarebbe da individuare qualcuno che dovrebbe ripagare sul piano civile – e fors’anche amministrativo, e penale – il danno che si sta così producendo all’utenza che ha a suo tempo attribuito a buon diritto un  preciso valore legale ai suddetti titoli?

Tra l’altro se il modello resta – come parrebbe ovvio – quello della messa ad ordinamento del D.M. n.124/1009, allora i precedenti titoli erano stati appunto già messi definitivamente ad ordinamento a suo tempo in quanto ad essa propedeutici. E dunque almeno nel loro caso la detta equipollenza non doveva essere che la conferma di una cosa già avvenuta. E l’oscuro provvedimento ministeriale in definitiva sostanza non indicherebbe, in maniera strumentale per le rilevate incongruenze logico-formali, che una esclusione di titoli – quelli appunto dell’allegato B – dall’effettiva e pertinente qualificazione accademica. Ma anche i titoli accademici di II livello e di vecchio ordinamento: non più “diplomi accademici”, giusta questa discriminatoria interpretazione dell’esistente che distingue titoli di I livello e diplomi accademici di I livello fin’ora reputati paritari.

Le responsabilità politico-amministrative

E allora se erano state individuate delle irregolarità nelle istituzioni di tali corsi di studio, esclusi adesso dal riconoscimento accademico, perchè non provvedere a suo tempo? Non si contraddicono in tal modo elementari principi dei sistemi giuridico e formativo, quali la garanzia per gli studenti e le loro famiglie della riconoscibilità del valore giuridico dei titoli di studio prodotti da una istituzione statale: valore da attribuirsi anteriormente all’avvio dei corsi e non certo posticipatamente o addirittura negando il valore stesso dopo anni?

E, ripetiamo, se questo disvalore venisse confermato, chi dovrebbe pagare i danni subiti dall’utenza, nei termini di rette pagate e di impegni di studio così vanificati? Non sussistevano obblighi di sorveglianza e di controllo delle istituzioni afam in capo alla dirigenza ministeriale e alla gestione politico-amministrativa cui questa faceva e fa capo?

Tale qualificazione – l’equipollenza dei titoli della tabella B – sarebbe infatti da disporsi o meno in un incerto futuro. E aggiungeremmo: in quanto forse demandata, e assieme probabilmente a tutti i diplomi accademici di secondo livello, all’intervento “più competente” di appositi organi tecnici? Quale appunto il Tavolo tecnico di consultazione permanente (da integrarsi con esperti dell’Afam) di recente insediato in assoluta autonomia dal consiglio universitario nazionale e più o meno imposto al ministro con apposita delibera nella forma di un dovuto, ma pure preteso, riconoscimento.

(Articolo pubblicato, in riadattamento, su La Tecnica della Scuola, n. 18, 10 maggio 2013)

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16 risposte a Afam, parziale riconoscimento dei trienni accademici nell’afam: come si prospetta il futuro dei bienni?

  1. Francesco Vitari ha detto:

    Salve Maestro,
    Volevo prima di tutto complimentarmi con lei per la chiarezza, la preparazione e profondità di analisi riguardo i temi AFAM trattati.
    Ho letto la sua approfondita analisi riguardo il tema “sperimentazione ed equipollenza” in quanto attualmente mi riguarda in modo particolare. Dopo il diploma in ragioneria, ho conseguito nell’anno accademico 2009/2010 il diploma accademico di primo livello in jazz (chitarra) presso il conservatorio di Cosenza Stanislao Giacomantonio all’età di 23 anni. Dopo una pausa accademica di 2 anni, dovuta essenzialmente all’incertezza circa l’effettiva validità del titolo conseguito, in questi giorni ho valutato la possibilità di conseguire il suddetto Biennio.
    Già in fase preventiva mi si presentano diversi e incerti scenari:

    1) Sperimentale/Ordinamentale?!?
    2) Deve essere necessariamente collegato al percorso triennale? (come afferma Cosenza, ossia che io potrei iscrivermi soltanto ad un diploma accademico di 2 livello in jazz, e non di chitarra).
    3) È possibile insegnare strumento musicale con il percorso JAZZ?
    4) È forse consigliabile considerare una laurea magistrale in DAMS ai fini del valore giuridico del Titolo di studio?

    In aggiunta mi piacerebbe conoscere il suo pensiero riguardo le possibili evoluzioni circa la validità del diploma accademico di primo livello da me conseguito. Se non sarà ritenuto di eguale valore, rispetto ai trienni già definiti, chi mi restituirà i miei anni/denari? Nella mia esperienza accademica non trovo particolari differenze formative rispetto ai programmi degli altri diplomi già resi equipollenti, che giustifichino tale discriminazione.

    Sperando di non aver abusato troppo della sua disponibilità, cordialmente la saluto.

    Francesco Vitari.

    • musicaemusicologia ha detto:

      Buongiorno a lei Francesco e grazie per i graditi apprezzamenti.
      Riguardo la mia disponibilità le premetto che ne abuserebbero solo coloro che pretendano da me risposte personali: scrivo infatti per tutti gli interessati di problemi che riguardano, anche nel senso più lato, la mia professione e non troverei il tempo per impiantare epistolari privati con persone; che peraltro spesso neppure conosco.

      Veniamo al dunque.

      Già a partire dalla messa ad ordinamento del triennio accademico (2009) segnalai il grave errore della parcellizzazione degli insegnamenti e proprio con particolare riferimento alle scuole di strumento jazz e di musica antica.

      La messa ad ordinamento dei trienni accademici Afam

      E ancora sono criticamente intervenuto al proposito, più recentemente, per l’ampliamento di tali – per me erronee – precoci specializzazioni, con ulteriori analoghe previsioni di indirizzi di diploma accademico.

      Nuovi corsi accademici musicali di I livello e ulteriore parcellizzazione degli apprendimenti pre-specialistici

      Rifacendosi a questi miei articoli lei potrà meglio capire il senso più profondo dell’importanza di meglio riflettere prima, e non dopo, circa le scelte di studio che si fanno.

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      Se lei vuole insegnare chitarra il mio consiglio sarebbe di cominciare a chiedere la valutazione di tutti i crediti formativi possibili e di portare a compimento un compiuto corso di chitarra (e ci ha già perso tempo). Tra l’altro avendo lei stesso letto attentamente le tabelle di equipollenza allegate proprio a questo soprastante articolo, e ovviamente l’articolo stesso, si è accorto di qualcosa di grave che la riguarda, circa l’effettivo valore attuale dello specifico diploma accademico da lei acquisito; che, appunto, al momento diploma accademico non è! Pertando i suoi legittimi interrogativi al proposito non costituiscono che un’eco a quelli miei. Vedremo le ulteriori mosse del ministero.

      Appresso eccole una pratica disamina della sua attuale problematica circa la continuità e l’approfondimento degli studi fin’ora svolti.

      Se lei vuole studiare perché rimane convinto che questa è l’unica strada per trovare un dignitoso lavoro di musicista dovrebbe rendersi conto prima o poi che il problema non è la scelta di un qualsivoglia percorso di studi, ma l’attenta verifica delle proprie potenzialità ed aspirazioni. E solo a questo fare riferimento per le scelte successive che non possono essere che di ulteriore arricchimento.

      Se lei vuole poter aspirare ad un posto di lavoro qualsivoglia, dovrebbe darsi da fare fin d’ora in tutte le direzioni possibili, reputandosi fortunato se, nell’attuale congiuntura, riesce a trovare qualcosa che le garantisca una dignitosa autosufficienza: le nostre correnti esperienze dimostrano che le scelte di ben posizionarsi nel mercato del lavoro o sono tanto realistiche quanto, per spirito d’iniziativa personale, dotate di una notevole dose di ottimismo e di buona volontà o sono pessimistiche e perdenti.

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      Che dirle di altro? Perchè in effetti c’è dell’altro.

      Ho già pesantemente criticato, a suo tempo, la miopia – a non dire la “stupidità” didattico-professionale – dei colleghi di musica jazz e di musica antica che, chiudendosi nel guscio delle proprie specializzazioni, le rendevano fruibili in pieno solo ed eclusivamente ai loro “iniziati”.
      Ed è un dato di fatto che proprio nell’ambito del jazz spesso coloro che si diplomano svolgono un percorso di studi che tiene fin troppo conto del già fatto all’esterno dell’istituzione: sapendo che molti bravi musicisti che improvvisano secondo i modelli jazzistici hanno già svolto nella pratica autodidattica un lungo tirocinio di apprendimento per affinare le relative doti, non ci vuole allora molto a capire che:

      1. il docente di musica jazz, anzi i docenti di musica jazz (precari a vita per la natura del loro stesso contratto), nell’affermare che “si diventa jazzisti prima di diventare musicisti” affermano la loro peculiarità nel senso di una (addirittura) vantabile ignoranza del plurisecolare e multi-epocale repertorio musicale precedente, concomitante e successivo a quello loro che data, nella sua pur ricca e varia evoluzione, solo poco più di un secolo;

      2. i suoi studenti così precocemente votati alla specializzazione, in questo “regressivo” impianto di triennio, nel sistema precedente dovevano invece avere propedeuticamente acquisito un diploma strumentale completo della relativa scuola strumentale e questo ne garantiva un’adeguata formazione musicale di base generale necessariamente svolta sul più vasto repertorio e una concomitante conoscenza approfondita nelle più diverse prospettive (Teoria, Storia, Analisi) di tutto il ben più vasto repertorio della musica occidentale.

      3. Certamente questo non garantiva la presenza di studenti già abituati alla performance orale. E proprio qui sta il punto. Proprio lo scrivente – che, da musicista prima e da musicologo dopo, sempre ha utilizzato l’estemporaneità improvvisativa, e quasi prima ancora di imparare la lettura per la performance strumentale e la successiva (appunto: di poco) pratica compositiva, come metodo per arricchire il proprio personale rapporto (stia bene attento) “tanto con lo strumento quanto con la diversità del repertorio” – ebbene proprio il sottoscritto suggeriva, ai fini di ovviare ad una abbreviata specializzazione di biennio (rispetto il quadriennio v.o., successivo al diploma strumentale v.o.), l’impianto di un triennio per un verso con l’obbligo per tutti gli studenti delle pratiche estemporanee tipicamente jazzistiche; per altro verso perfino con l’istituzione – all’interno della Scuola di riferimento – di un indirizzo jazzistico che non risultasse per nulla esclusivizzante nel repertorio, semmai additivo dello specifico repertorio jazzistico nel repertorio generale.

      4. E nell’interesse di tutti e non in quello – oramai generalizzato , … all’italiana – degli interessi intesi oramai come corporativi da parte delle categorie dei docenti interessati: insomma lo studente di strumento che voleva indirizzarsi già dal triennio per un percorso jazzistico avrebbe a mio parere dovuto scegliere delle discipline specifiche – non di base, ma caratterizzanti – al posto di altre; inquadrando aggiuntivamente nelle attività integrative e anche accomunando, nei crediti formativi e nel complessivo monte-orario, quelle discipline e quelle parti di discipline non specificamente prevedibili tra le già previste nel normale curricolo di studi.
      Invece si è scelto il criterio dell’”ognuno fa quello che gli pare, all’interno della propria specificità” ed è prevalsa nei jazzisti la scelta onnivora di impiantare tutte discipline specialistiche – che invece sarebbero da studiare dopo quelle del triennio di base, in appositi master o in bienni, appunto, specialistici – al posto di quelle stesse di base. Insomma: tu, studente, non c’è bisogno che conosci ad un livello accettabile la storia e l’analisi, la teoria e le tecniche compositive, i repertori della musica rinascimentale, barocca, classico-romantica e modernistico-contemporanea! Ma ti studierai la storia (di un secolo) della musica jazz e l’analisi, la teoria e la composizione della musica jazz, lo strumento solo in quanto indirizzato al repertorio jazz …

      Mentre – ben sappiamo, o dovremmo sapere, che – un qualsiasi strumento musicale di tradizione ha una storia ben più ampia da dover idiomaticamente “descrivere” nel suo più appropriato uso. E non comprendere questo – mi spiace doverlo dire – è proprio di una gretta mentalità da musicanti, magari provetti in un “certo” uso del loro strumento musicale ma sprovveduti al di fuori di quella specificità di repertorio; e non da colti musicisti che del repertorio dovrebbero avere la più vasta e consapevole considerazione possibile: nel senso linguistico-idiomatico, stilistico ed epocale.

      5. Quali obbrobri didattico-formativi e pedagogici si arrivano a produrre nelle specifiche intelligenze musicali quando non si conosce bene il senso dell’esistenza degli specifici settori disciplinari, nella loro generalità e nella loro particolarità di apporto specifico alla formazione del musicista!
      E dunque perchè mai un diplomato in jazz dovrebbe insegnare quello che non ha mai appreso? Non sarebbe puro e semplice malcostume l’inverso?
      La gravissima responsabilità dei docenti di musica jazz italiani è proprio questa: una volta raggiunta l’accademia si sono chiusi nella loro torre d’avorio e adesso non possono che constatarne la precarietà: insegnano tutto loro, e in teoria ciò potrebbe meglio produrre un team pluridisciplinare specifico in una stessa istituzione ma in realtà adesso la maggior parte di loro risulta invece a contratto e con un esiguo numero di ore; e non hanno più alcuna relazione pluridisciplinare con gli altri docenti di strumento e con i docenti delle effettive discipline di base. Loro affermerebbero presuntuosamente di non averne bisogno perchè se le sono ricreate a loro immagine e somiglianza; ma in realtà hanno “semplicemente” lobotomizzato la formazione dell’intelligenza musicale dei loro studenti di qualcosa come sei, sette secoli di storia musicale; per privilegiarne uno e per di più in maniera incompleta.
      Un “crimine” pedagogico che difficilmente gli si potrà mai perdonare.

      6. Una triste constatazione personale. Proprio io fui tra i primi, in un oramai lontano e trascorso passato (allora, come oggi, non compreso da chi di dovere), a segnalare l’urgenza della presenza, nel normale curricolo di studi strumentale, di docenti che “insegnassero con l’esempio l’estemporaneità performativa”. E con specifico riferimento a quella più formalizzata e contemporanea, quale appunto è il jazz: specie se storicizzato e studiato nella diversità storica e ri-attuativa dei diversi stili. La presenza del musicista jazz doveva essere sentita dunque come una ricchezza da valorizzare per la formazione musicale a tutti i livelli. E non certo da assolutizzare in chiusa autonomia, com’è accaduto con l’attuazione della riforma.

      Il risultato corrente potrei fornirlo con un esempio forse eclatante ma che fornisce la chiave, nel bene e nel male, di quello che almeno in generale tende adesso a prodursi nelle scuole di musica jazz:
      il noto jazzista, di livello nazionale se non addirittura internazionale, si iscrive al biennio specialistico, fornito di un qualsivoglia titolo di studio che comunque gli consente l’accesso – e secondo correnti, miopi, parametri interpretativi: dunque anche con una (poniamo) laurea in economia e commercio …, “tanto lui suona” (come sostengono in commissione di ammissione).
      E dopo due anni – più o meno frequentando e magari partecipando alle attività di saggio/marketing per “far constatare la qualità che l’accademia riesce a produrre …” – si laurea brillantemente, suonando più o meno allo stesso modo con cui sapeva già fare da performer autodidatta. E contornando il tutto con qualche lavoretto nel frattempo impiantato assieme al proprio docente: una tesi di laurea (quando è prevista) scritta compilativamente sulla base di altri testi – leggi: più o meno scopiazzata; appunto perchè non possiede doti speculative specificamente musicali; una composizione scritta – eventualmente assieme al docente se questa abilità di scrittura non ce l’aveva già come pre-acquisita, ma questo non andrebbe detto … – e per lo più sulla base di conoscenze da iscritto alla Siae, sezione compositori melodisti (“orecchianti”), però nel migliore dei casi dotati di un buon orecchio armonico (qualcosa in meno e qualcosa in più di un IV anno di composizione, insomma).

      E una volta arrivato a questo “alto” gradino della carriera formativa – che ancora non è il suo caro Francesco, ma potrebbe ulteriormente esserlo – si porrà ancora il problema del “che farsene del titolo”?
      Risposta realistica (né pessimistica, né ottimistica): “quello che già faceva o poteva fare prima di perder tempo per acquisirlo”. Cioè, continuare a suonare jazz, però adesso fregiandosi del titolo di studio nel proprio curriculum, se può servire. E magari – ma la cosa riguarderebbe pochissime eccellenze – per meglio accedere alla stessa accademia, riperpetuando all’infinito il circolo vizioso del finto apprendimento.

      Il che forse non è certo male in assoluto, per carità. Ma non è che forse è anche pericolosamente un po’ troppo vicino al … niente?!

      N.B.: l’estremizzazione di questa casistica va ben compresa nella sua – per mia personale vocazione alla responsabilità professionale – durezza polemica, nel senso proprio di possibilità che possano effettivamente attuarsi. Ma è proprio dall’emergere di queste possibilità, fin troppo constatabile nella realtà, che si misurano la qualità e l’efficacia dei percorsi formativi ed accademici. Altra cosa sono le volontà, le specificità e le fortune individuali.

      Auguri sinceri, in definitiva, per lei.

      MM

  2. musicaemusicologia ha detto:

    Riporto da altro Post – data l’estrema attinenza a questo Post:

    Gamelann scrive:
    20 maggio 2013 alle 10:31

    Salve Maestro,adesso che, come d’altra parte si sospettava,le “famose” tabelle NON sono uscite e i 3 mesi sono passati già da tempo; dovremmo secondo lei, aspettare altri 13 anni per prendere un altro abbaglio…mi chiedevo: al momento, da come stanno le cose, se dovesse oggi,uscire un concorso per titoli, i diplomi di musica vecchio ordinamento a quale diploma di laurea corrisponderebbero?

    musicaemusicologia scrive:
    23 maggio 2013 alle 08:45

    Buongiorno a lei.
    Suppongo che lei non abbia letto la novità più recente in:
    Afam, parziale riconoscimento dei trienni accademici nell’afam: come si prospetta il futuro dei bienni?

    Da un’analisi attenta del decreto ministeriale in questo Post riportato ed analizzato – che ovviamente deve implicare la conoscenza di tutto quanto già accaduto circa la questione dell’attribuzione di un valore ordinamentale dei titoli accademici attualmente esistenti e già addirittura rilasciati all’interno del comparto Afam – si ricava:

    1. che, al contrario di quanto da lei affermato, un decreto – pur con qualche giorno di ritardo – è stato comunque emanato dal ministero ma con contenuti regressivi e del tutto inaspettati e addirittura “punitivi” per gli interessati, al di là delle apparenze …;

    2. che la direzione generale – a firma del ministro (oramai ex) – ci “illumina” affermando, in sostanza, che fino a quel momento tutti o comunque una parte consistente dei nuovi titoli di studio fin’ora rilasciati dagli Istituti Superiori degli Studi Musicali (oramai ex Conservatori, per legge statale e per relativi e già emanati decreti applicativi) erano proprio, in quanto “sperimentali”, di precario valore istituzionale. Alla faccia dell’avvenuta validazione e della ulteriore equipollenza (2009); equipollenza che per delega normativa dalla legge di riforma del 1999 implicava già un’attribuzione ordinamentale! Come se sperimentare un nuovo ordinamento, insomma, sia da intendersi come un fatto punitivo, perfino quando la detta sperimentazione sia validata e porti alla stabilizzazione del nuovo sistema. Roba da matti!

    3. Che però una parte di questi titoli (tabella A) sono adesso resi equipollenti … a sè stessi! Cioè al modello del 2009 che li aveva già inquadrati ex se come diplomi accademici di I livello; mentre un’altra parte consistente (tabella B) non lo sono … anzi non lo sarebbero, anzi ci penserà un altro decreto o provvedimento normativo che dovrà/dovrebbe essere promulgato non si sa bene quando, perchè e in quali mutate situazioni.

    Si tratta di una situazione che andrebbe analizzata caso per caso, istituto per istituto e – in base alle mie poche conoscenze in proposito – le affermo che già fin d’ora ne ho viste delle “belle”, per il poco di contezza di cui posso disporre circa la situazione specifica di ciascuna situazione accademica: istituzioni storiche (Milano) precarizzate nei titoli rilasciati a suo tempo ed altre – territorialmente molto meno rilevanti – con una disponibilità doppia o tripla di titoli ordinamentali! Di qualcuna di queste so pure che fino a qualche anno fa alcuni relativi corsi di studio, adesso resi effettivi corsi di diploma accademico, erano addirittura inesistenti e che una notevole parte degli altri erano ancora da doversi definire in sede di successiva messa ad ordinamento (avranno avuto a disposizione la “palla di vetro” per leggere il futuro?)!
    Volontà clientelari, insomma, mi sembra che si sovrappongano su competenze normative già di per sè estremamente deboli. E tutto ciò nel disinteresse generale o forse nell’opportunismo più diffuso …

    Cosa sta succedendo? Difficile a dirsi. Posso solo tentare un’interpretazione provvisoria, nonostante mi tocchi scendere in basso, veramente molto in basso …

    Tutti sanno più o meno del conflitto in corso tra la direzione generale e il sindacato Unams, più rappresentativo dell’Afam. Allora: succede che il sindacato Unams porti avanti con pervasiva volontà politica delle norme che valorizzerebbero il comparto Afam. Ma trova sordo il parlamento, quanto meno per quello che riguarda anche un minimo incremento di spesa. Allora vede di accontentarsi e urla vittoria quando l’ultima Legge finanziaria viene approvata assieme a cinque articoletti che riguardano l’equipollenza di tutti i titoli di studio Afam a specifici titoli di studio universitari e addirittura tutti i diplomi del vecchio ordinamento all’intero 3+2 universitario (un’abnormità logico-giuridica per certi versi, nella situazione attuale …).
    Ma questo accade – nonostante il battage pubblicitario del sindacato – solo rimandando a specifici decreti ministeriali l’effettiva attuazione. E si sa già che chi decide al ministero ha ben altre idee al proposito (poco importa se più o meno legittime, al momento, per la nostra discussione).

    Nel frattempo il consiglio universitario nazionale impone al ministro (docente universitario …) una commissione nazionale per decidere quali titoli possano accedere a detta equipollenza con i loro stessi titoli universitari (Lauree in Lettere-ex-dams L3 e LM45).
    Ed eccone il risultato. Dato che le norme di legge in questione producevano già sic et simpliciter un’equipollenza tra lauree in lettere (Dams) di I livello e diplomi accademici Afam di I livello il ministero se ne esce fuori adesso affermando che i titoli accademici che usufruiscono di questa equipollenza sono … solo una parte. E, come significativo esempio, si noti che in entrambe le tabelle risultano estranei all’equipollenza i pregressi diplomi accademici in Musicologia: “a buon intenditore poche parole” …

    E in questo modo il ministro/direttore generale:
    a) dà comunque un contentino a quei fessacchiotti dell’Afam, che comunque di meccanismi normativi (pare) non ne capiscano un accidenti – e difatti se ne noti l’assordante silenzio: altrimenti avrebbero già denunziato apertamente le incongruenze normative contenute nel decreto; peraltro paritarie in parte a quelle contenute negli articoli di legge sull’Afam della citata finanziaria;
    b) dà soddisfazione alle lobby universitarie, che a torto o ragione vogliono far parte di tale processo decisionale, però subordinando di fatto l’Afam;
    c) dà qualcosa di più di uno scappellotto all’Unams, minandone pesantemente la credibilità;
    d) mantiene nelle istituzioni Afam quella precarietà che per decenni ha permesso ai vari dirigenti ministeriali (ma anche a quelli sindacali, nel caso di accordi trasversali) di fare il bello e il cattivo tempo, pur’anche (o fondamentalmente?) in senso clientelare, nepotistico e quant’altro.
    Un capolavoro non c’è che dire.

    Lei, in questa vicenda si preoccupa di cosa valgano i vecchi titoli di studio?
    Le potrei rispondere a ben vedere, in tale marasma di credibilità delle istituzioni, che varranno tutto e niente a seconda del modo con cui di volta in volta il dirigente generale di turno (in accordo con il ministro di turno) vorrà muoversi al proposito per le proprie convenienze.

    Salvo che nel frattempo la commissione universitaria delle equipollenze non si muova graziosamente a deciderlo da sè e sarà già un sollievo se un diploma tradizionale (decennale si ma anche quinquennale!) verrà reso equipollente ad una laurea di primo livello …
    Speriamo però sempre per il meglio, nel frattempo.
    MM

  3. musicaemusicologia ha detto:

    Intervengo senza sollecitazioni dei lettori a seguito della lettura, casuale ma fruttuosa, di alcuni interventi sull’argomento svolti da alcuni autorevoli colleghi; autorevoli in quanto docenti incaricati elettivamente della direzione. Si tratta di interventi pubblicati, circa le questioni qui trattate, sul sito dell’Associazione per l’abolizione del solfeggio parlato – di cui all’ http://www.aasp.it/ .

    In particolare mi riferisco per empatia, legata al mio personale vissuto professionale, alle opinioni sinteticamente ma efficacemente espresse dal M° Claudio Proietti, attualmente direttore del Conservatorio “Paganini” di Genova.
    Ecco il contenuto di questo intervento e a margine un mio sintetico commento alla luce di quanto più di recente accaduto e in questo articolo riportato (mio il corsivo di evidenziazione).

    “Claudio Proietti ha inviato il suo commento sotto forma di lettera al responsabile di questo sito. Lo pubblichiamo conservando il carattere epistolare del suo scritto, e omettendo le parti di carattere più personale.” (S.L.)

    L’intervento del M° Proietti

    “Caro Sergio,

    […] eppure avrei voluto scriverti delle belle sensazioni con cui sono uscito dalle ultime due Conferenze dei Direttori; della percezione di trovarmi in mezzo a tante persone sensibili, coscienti e fortemente motivate ad attribuire un senso di “sistema” al nostro operare. Avrei voluto scriverti che – a parte le endemiche lentezze, le mille incognite, le diversità di vedute, gli arcaismi di certi ruoli – avevo l’impressione che una coscienza condivisa e una similitudine d’impostazione stesse assumendo la forma di una maggioranza all’interno di quel consesso e che quindi, sperabilmente, sarebbe potuto diventare un sentire condiviso nella maggioranza delle istituzioni.

    E invece? E invece ti scrivo il giorno dopo l’approvazione della “Legge di stabilità”. Non voglio entrare nel merito. Anzi non posso. Perché, se devo dirtelo francamente, non ci ho capito niente. Nella mailing list dei Direttori si susseguono interventi che dicono ogni cosa. Dai catastrofisti ai minimalisti ognuno prevede cosa succederà da oggi in poi e l’unica cosa certa è che non c’è alcuna idea certa. Perché i mille (o diecimila) casi che saranno investiti dalle conseguenze di quell’emendamento (e della sentenza del TAR del Lazio che dà ragione ad alcuni privatisti esclusi dalla possibilità di sostenere esami in conservatorio), saranno ancora una volta casi personalissimi che richiederanno “invenzioni” per interpretarli e risolverli. In altre parole il caos normativo.

    Ma di una cosa sono certo e di questa ti voglio scrivere, caro Sergio. Quello che è successo in Parlamento ha di colpo ridicolizzato e annacquato il lavoro di chi negli ultimi 13 anni si è stremato in discussioni infinite, si è consumato la mente e gli occhi sui computer per documentarsi e scrivere, ha lavorato di giorno e di notte per elaborare schemi e progetti, si è “inimicato” cento colleghi, ha donato migliaia di ore alla causa di una riforma “a costo zero” con l’unico obiettivo di affermare un principio sacrosanto: che lo studio della musica è un fenomeno complesso che riguarda l’intera personalità dell’individuo e non solo la sua abilità tecnica. Che lo studio della musica ha bisogno, dall’inizio alla fine, di continuità di metodo e di visione (a prescindere dal fatto se ciò debba o possa avvenire con più docenti o sempre con lo stesso) perché il musicista che giunge al termine dei suoi studi abbia consapevolezza e gioia totale della propria individualità, unica e irripetibile.

    Tutto ciò è stato messo in crisi con un gesto irresponsabile, soprattutto per chi l’ha agito ma è incapace di valutarne le conseguenze per limiti culturali. Crede di aver vinto (per ora) chi si gloria della propria ignoranza, del proprio settarismo, della propria abilità a guardare nell’orticello che ha sotto i piedi (fatto di titoli che sono solo pezzi di carta, di scale e arpeggi, di passi d’orchestra, di due studi in più o in meno nei programmi d’esame) senza curarsi del mondo che c’è intorno e che lascia lavorare e vivere da musicisti veri soltanto coloro che sanno confrontarsi con chi ha studiato in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti e ormai anche in Cina e in Turchia.

    Con amicizia.

    Claudio Proietti – 22/23 dicembre 2012″”

    Commento a margine dell’intervento

    Ho a lungo pensato sull’opportunità di riportare queste opinioni – e diversamente da chi l’ha fatto, certamente in buona fede e con spirito di trasparente e costruttivo dialogo – data la per me evidente sofferta ma personalissima critica ad una situazione alquanto caotica descritta circa l’organo della Conferenza dei Direttori degli Istituti Superiori degli Studi Musicali (1) E proprio in merito a questioni così vitali per il nostro settore.
    Vista la cosa in tale ottica parrebbe che l’intervento punitivo della dirigenza ministeriale sia – almeno in generale – ben meritato: il classico contrappasso di dantesca memoria!

    Ora lo scrivente – da quasi trentacinque anni docente “a tempo pieno” (definizione utile giusto per distinguersi da quei colleghi convinti che il loro lavoro sia limitato contrattualmente alle sole 12 ore settimanali di docenza) – oramai ha preso il gusto di esprimere le proprie oneste convinzioni senza doversi preoccupare di qualsivoglia conseguenza. E una di queste convinzioni è che sia stato un grave errore quello di chi ha creduto che alla autorevolezza “politica” del direttore eletto corrispondesse di necessità una autorevolezza anche “professionale” e – nella specificità richiesta ad una figura dirigenziale – anche “giuridica”.
    Per cui la Conferenza dei Direttori – organo peraltro inesistente nell’ordinamento – non è assolutamente detto che debba riassumere al suo interno le tre competenze. Anzi!
    Ho conosciuto direttori – sia portati avanti (per meriti o per clientele o per nepotismi vari) dalla vecchia politica, sia eletti democraticamente – che troppo spesso risultavano con tutta evidenza deficitari nella loro stessa qualità professionale di docenti. Ho molto più spesso conosciuto direttori del tutto incapaci di esprimersi con sufficiente autonomia in merito a questioni prettamente giuridiche, a non dire di quelle più propriamente riferibili alla stessa qualificazione istituzionale in divenire riformistico delle istituzioni da loro stessi governate!

    Continuo ad avere continue conferme in tal senso purtroppo e dunque mi domando legittimamente: quando potremo usufruire di una dirigenza politico-ministeriale illuminata che sappia e voglia distinguere tra:
    1) competenze politiche, fondate sul consenso;
    2) competenze giuridiche, fondate su studio preventivo e su conseguenti attività applicative dimostrabili e dimostrate;
    3) competenze professionali didattico-musicali dimostrate nello specifico campo della quotidiana docenza?
    Finché questa domanda non troverà risposta – e dubito fortemente che questo accada anche nel medio termine nella nostra italietta delle corporazioni, delle lobby e delle consorterie varie (sindacali-partitocratiche incluse) – probabilmente sarà un miracolo se esisteranno ancora docenti come quelli evocati commiserevolmente dal collega M° Proietti.
    Interessa veramente a qualcuno oggi la qualità della didattica musicale, che non siano gli stessi docenti che la esprimano e sempre più debbano lottare per esprimerla?

    Mario Musumeci – 15 giugno 2013
    (docente a tempo pieno – ordinario di discipline teorico-analitico-compositive, orgogliosamente – e dimostratamente – pioniere e decano dell’analisi musicale e della relativa qualificazione didattico-metodologica)

    Note
    (1) Mi spiace continuare ad insistere su questo punto della nuova denominazione, ma solo una beata ignoranza unita a cronica autosufficienza può permettersi di chiamare sbrigativamente solo “Conservatori” gli ISSM: istituiti da 13 anni con legge apposita e stabilizzati nell’ordinamento con successivo decreto ministeriale applicativo e confermati nella nuova denominazione dagli stessi vigenti statuti delle nostre istituzioni accademiche riformate, oramai “ex-conservatori” (così letteralmente negli stessi statuti!). Ma parrebbe proprio vero: la maggior parte dei musicisti, docenti e direttori – e non solo loro – non sa proprio leggere e non vuole assolutamente imparare a farlo!
    D’altra parte sembra un segno dei tempi il neppure minimamente considerare che “la forma è la cornice della sostanza”. Eppure ciò se riferito insistentemente a coloro che pure sarebbero cointeressati in prima persona alla questione della forma non sembrerebbe nient’altro che constatarne l’irrecuperabile imbecillità?

  4. giuseppe ha detto:

    Salve maestro, ho letto tutti i suoi post e sono stati davvero molto interessanti e utile, una domanda che vorrei farle, io studio a Napoli e a ottobre finisco il primo livello, in chitarra classica, ora mi chiedo, questo titolo ha validità e spendibilità nella domanda di terza fascia in cui già sono inserito nelle graduatorie per altri gradi, e in più, se c’e possibilità di un accesso a qualche concorso, Grazie mille

    • musicaemusicologia ha detto:

      Salve Giuseppe, vengo subito al dunque.
      Il suo diploma accademico di I livello le permetterà:

      1) innanzitutto di accedere a qualunque concorso per il quale sia richiesta una laurea (= diploma universitario = diploma accademico) di I livello genericamente e non specificatamente indicata e al proposito bisognerebbe tenersi costantemente informati sulle riviste e sui siti on-line che appunto elencano queste opportunità;

      2) circa l’insegnamento è sempre possibile produrre una domanda di supplenza ai presidi delle scuole secondarie (scuole medie, scuole medie a indirizzo musicale e licei musicali) al momento dei relativi bandi. E sia per l’educazione musicale che per la chitarra, ammesso che si creino disponibilità in momenti di saturazione e di blocco del turn over come l’attuale;

      3) conviene però nel secondo caso – sia che si abbia o meno la fortuna di trovare un’occupazione – continuare gli studi nell’indirizzo didattico, o quanto meno al biennio (con possibilità di successiva convalida degli esami a didattica), per imparare ad insegnare e per acquisire il titolo abilitante. Senza il quale del resto si verrebbe prima o poi scavalcati da colleghi più titolati;

      4) la recente equipollenza alla laurea di I livello in lettere a indirizzo arte, musica e spettacolo potrebbe forse consentire ulteriori opportunità. Ma al momento bisognerà vedere come saranno formulati al proposito i relativi bandi di concorso;

      5) un chitarrista di qualità potrebbe innanzitutto impiegarsi nel mestiere più ovvio per il quale si è preparato, quello del performer: suonare ovunque si è pagati, ma per la natura del suo strumento ben preparandosi in relazione alle richieste del mercato dovrebbe acquisire anche una certa versatilità nella varietà del repertorio, adattandosi a qualunque richiesta;

      6) potrebbe anche avviare con perizia e pazienza una scuola privata dove insegnare a bambini o a volenterosi adulti la passione per il proprio strumento e dunque imparando, a tal fine, anche la difficile arte dell’animazione culturale, riferendola al più ampio uso possibile del repertorio strumentale. Questo significa anche rafforzare l’offerta lavorativa o addirittura creare la domanda lavorativa (= essere imprenditori di sé stessi): se molti si appassionano a quello che so fare nel coinvolgimento che io produco vorranno farlo anche loro …;

      7) tra l’altro oggi – in assenza di posti di lavoro più o meno qualificati e attribuiti per via concorsuale (il cd. “posto fisso”) – si afferma sempre più il principio della mancanza di corrispondenza tra l’iter di studi prescelto ed un conseguente posto lavorativo effettivamente occupabile. Ciò purtroppo avverrebbe sempre più e molto al di là delle, talora fin troppo ottimistiche, indicazioni offerte al proposito dalle istituzioni accademiche e universitarie al momento delle iscrizioni. Parrebbe insomma che queste indicazioni assomiglino sempre più a delle informazioni di tipo pubblicitario, utili “a vendere il prodotto” e cioè permettere l’ampliamento delle iscrizioni secondo un criterio prevalentemente economicistico utile per l’economia di ciascuna istituzione ma non certo all’equilibrio tra domanda e offerta lavorativa. Dunque informazioni piuttosto che veritiere semmai da assumere con molta circospezione e con molto impegno di personale verifica.

      Con ogni probabilità si sta affermando nel mondo lavorativo il principio generale che il titolo di studio tende a non avere più il valore di una volta, corrispondente alla chiave d’ingresso ed unica garanzia per entrare nel mondo del lavoro. Semmai esso pare rappresenta uno degli indicatori e non certo il solo per l’affermazione professionale di chi lo consegue. In sostanza prevale sempre più la centralità del curriculum professionale, di cui il titolo di studio costituisce solo uno dei primi gradini.

      In definitiva occorre essere veramente convinti, e a buone ragioni rispetto le proprie inclinazioni e le proprie capacità “in ingresso”, della scelta intrapresa.
      Bisogna dedicarle il massimo tempo possibile ed arricchirla in tutte le direzioni utili possibili.
      E insomma bisogna continuare a studiare non solo per acquisire ulteriori “pezzi di carta” ma soprattutto reali competenze e capacità personali in continua crescita, da poter variamente spendere nel mercato del lavoro.

      A questo punto la discussione si aprirebbe sul tipo di competenze che un diplomato in strumento musicale dovrebbe effettivamente avere. Ma la cosa ci porterebbe troppo lontano e questo sito costituisce già di per sé un tentativo di dare una risposta molto più aperta al fin troppo banale e ovvio “bisogna saper suonare!”; a cui si dovrebbe sempre contrapporre “ma per chi?”, ossia “chi dovrebbe essere disposto a dare un valore a questo saper suonare?”.
      La risposta che qui ci si sforza di voler dare nel modo più articolato possibile è che questa responsabilità del creare interesse è propriamente del musicista stesso e non di altri conosciuti o sconosciuti interlocutori del mercato lavorativo. Dunque il musicista deve acculturarsi tanto nel repertorio quanto in tutte le motivazioni che fanno da contesto al repertorio stesso.
      E mi fermo qui.

      Auguri per il suo futuro.
      M&M

      • giuseppe ha detto:

        Grazie maestro è stato veramente di ottimo aiuto, presenterò domanda come avete detto, e per ora continuerà nella scuola privata dove insegno, chitarra classica e moderna e performance dal vivo.
        Grazie ancora Giuseppe

  5. Serena ha detto:

    Salve Maestro,
    mi sono diplomata il 27 luglio 2013 in violino v.o. al conservatorio di Vibo Valentia.
    Non le nascondo che tra noi neo- diplomati c’è tanta confusione riguardo la validità del nostro titolo appena acquisito. Vorrei sapere se ho la possibilità di accedere direttamente al biennio abilitante senza dover prima frequentare un ulteriore biennio per equiparare il mio titolo a laurea magistrale.
    A Novembre 2012 mi sono anche laureata col massimo dei voti e la lode in Ortottica e Assistenza in Oftalmologia (laurea triennale di Professioni Sanitarie, facoltà di Medicina e Chirurgia). Ma credo proprio che la mia laurea non possa in alcun modo definire meglio la validità del mio titolo di conservatorio.
    In ogni caso, mi consiglia di fare ricorso? Se si, a chi mi dovrei rivolgere?
    La ringrazio anticipatamente.

    • musicaemusicologia ha detto:

      Salve Serena,
      rispondo sinteticamente alle sue più specifiche domande:

      1. certamente lei può accedere direttamente al biennio didattico, ma previo esame di ammissione, stante lo stretto numero chiuso dei posti disponibili di anno in anno;

      2. nel caso di mancata ammissione al biennio didattico potrebbe nel frattempo conseguire il biennio specialistico e poi – se e quando ammessa al didattico – richiedere la convalida delle discipline comuni già studiate e superate in esame.

      3. Scusi cosa c’entra con la musica una laurea in Ortottica e Assistenza in Oftalmologia? Se vuol fare l’ortottista – degnissima professione di assistenza alla medicina oculistica – nessuno le chiederebbe se è diplomata in violino! Perchè dovrebbe sussistere l’inverso?

      4. Ricorso fatto contro chi e per che cosa?! (cfr. appresso)

      ______________________________

      Per quanto riguarda la sua e dei suoi colleghi, pur legittima, “confusione riguardo la validità del vostro titolo v. o. appena acquisito” non ha che da approfondire seriamente la questione su quanto abbondantemente pubblicato sul sito (interventi inclusi) e messo anche in link al presente post.

      In alternativa, confrontandosi solo sui vari “si dice”, giuridicamente o fattualmente irrilevanti (e non di rado utili tutt’al più a chi li mette in giro …), non potrà e non potrete che mantenere la detta confusione.

      Auguri per il suo futuro.
      M&M

      • Serena ha detto:

        La ringrazio per l’esaustiva risposta. Capisco che il punto 3 possa sembrare fuori luogo, ma il mio dubbio era riguardo la valenza di qualsiasi corso universitario extra conservatorio che desse piu valore all’equipollenza ( come succedeva per i possessori di un titolo scolastico di secondo livello). So bene che i due percorsi artistico e scientifico sono nettamente differenti.
        Riguardo il punto 4 ( la questione ricorso) qualche mese fa partecipai ad una petizione on line che raccolse oltre 5.000 firme per cambiare le sorti di quel famoso comma 107. Secondo lei è una strada valida da percorrere? Mi rivolgo a tutti gli utenti del forum, sapete come è andata a finire?

        • musicaemusicologia ha detto:

          Come già più volte riferito ed approfondito, circa questi argomenti che lei mi ripropone:

          1. non è stato emanato nelle scadenze previste il decreto ministeriale che, secondo il comma 107 della legge di stabilità finanziaria dello scorso anno, avrebbe dovuto inquadrare entro tre mesi nel nuovo ordinamento la situazione giuridica di tutti o di parte dei diplomi v.o. equiparandoli all’intero percorso del 3+2, e dunque al diploma specialistico di II livello (107. I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell’entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge).
          E con ogni probabilità non è prevedibile che tale decreto venga emanato per vari motivi di opportunità giuridica, amministrativa e politica; dunque il vecchio diploma conservatoriale rimane al momento un titolo atipico e tutt’al più assimilabile al nuovo diploma accademico triennale di I livello (da cui peraltro è stato derivato con una lunga sperimentazione culminata con la messa ad ordinamento del 2009);

          2. la petizione di cui parla era probabilmente quella riferita alla discriminazione posta dall’art. 107 rispetto la data di acquisizione del diploma v.o., prima o dopo l’entrata in vigore della legge in questione: uno strafalcione in più che rende la norma in questione inapplicabile oltre che ingiusta (e sottoponibile, nel caso della sua applicazione, ad un giudizio di illegittimità costituzionale sotto vari profili).

          Mi risulta che presso il conservatorio vibonese l’avvio del triennio accademico è stato ritardato fino al 2009, data della sua definitiva messa ad ordinamento e dell’obbligo per tutte le istituzioni di adattarvisi – anche quelle “rimaste a guardare” le altre, che nel frattempo sperimentavano i rischi e le difficoltà della sperimentazione triennale. Questo potrebbe spiegare ulteriormente la confusione del momento: facendo solo adesso i conti con la grossa novità del triennio, colleghi e direttore di quella istituzione hanno ancor più dovuto in pochi anni recuperare un gap, anche informativo, non da poco. Figuriamoci gli studenti!

          Comunque stia tranquilla, perchè comunque continuano e continuerebbero in ogni caso a valere – ai fini dell’ammissione e dello studio della didattica musicale – le risposte che le ho dato in precedenza: con il diploma v.o. equiparato a diploma specialistico non avrebbe comunque discipline singole da convalidare in didattica.
          M&M

  6. musicaemusicologia ha detto:

    Ritorniamo sull’argomento – molto dibattuto tra gli interessati – dell’equipollenza generica tra diplomi conservatoriali di vecchio ordinamento e lauree per richiamare delle importanti norme riguardanti il settore dell’Afam inserite in un provvedimento normativo che si ripropone per esteso di seguito.
    _________________________________________________________________________

    Testo coordinato del Decreto-Legge 25 settembre 2002, n. 212

    Art. 6.
    Valenza dei titoli rilasciati dalle Accademie e dai Conservatori

    1. Allo scopo di determinare il valore e consentire l’immediato impiego dei titoli rilasciati dalle Accademie di belle arti, dall’Accademia nazionale di danza, dall’Accademia nazionale di arte drammatica, dagli Istituti superiori per le industrie artistiche, dai Conservatori di musica e dagli Istituti musicali pareggiati secondo l’ordinamento previgente alla data di entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999, n. 508, all’articolo 4 della legge medesima sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) il comma 1 é sostituito dal seguente:

    “1. I diplomi rilasciati dalle istituzioni di cui all’art. 1, in base all’ordinamento previgente al momento dell’entrata in vigore della presente legge, ivi compresi gli attestati rilasciati al termine dei corsi di avviamento coreutico, mantengono la loro validità ai fini dell’accesso all’insegnamento, ai corsi di specializzazione e alle scuole di specializzazione”;

    a-bis) il comma 2 é sostituito dal seguente:

    “2. Fino all’entrata in vigore di specifiche norme di riordino del settore, i diplomi conseguiti al termine dei corsi di didattica della musica, compresi quelli rilasciati prima della data di entrata in vigore della presente legge, hanno valore abilitante per l’insegnamento dell’educazione musicale nella scuola e costituiscono titolo di ammissione ai corrispondenti concorsi a posti di insegnamento nelle scuole secondarie, purché il titolare sia in possesso del diploma di scuola secondaria superiore e del diploma di conservatorio”;

    b) il comma 3 é sostituito dal seguente:

    “3. I possessori dei diplomi di cui al comma 1, ivi compresi gli attestati rilasciati al termine dei corsi di avviamento coreutico, sono ammessi, previo riconoscimento dei crediti formativi acquisiti, e purché in possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado, ai corsi di diploma accademico di secondo livello di cui all’articolo 2, comma 5, nonché ai corsi di laurea specialistica e ai master di primo livello presso le università. I crediti acquisiti ai fini del conseguimento dei diplomi di cui al comma 1 sono altresì valutati nell’ambito dei corsi di laurea presso le università”;

    c) dopo il comma 3, sono aggiunti, in fine, i seguenti:

    “3-bis. Ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi, sono equiparati alle lauree previste dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, i diplomi di cui al comma 1, ivi compresi gli attestati rilasciati al termine dei corsi di avviamento coreutico, conseguiti da coloro che siano in possesso del diploma di istruzione secondaria di secondo grado.

    3-ter. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle Accademie di belle arti legalmente riconosciute e agli Istituti musicali pareggiati, limitatamente ai titoli rilasciati al termine di corsi autorizzati in sede di pareggiamento o di legale riconoscimento”.

    _________________________________________________________________________

    Dunque va chiarita in parte la questione per come è stata qui impostata e per come è stata successivamente innovata ma in maniera ancora del tutto indefinita, se non addirittura regressiva.
    Per un verso esiste questa norma che, da sola, equipara “ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi” i diplomi Afam di vecchio ordinamento; per altro verso esiste una normativa successiva – fin’ora non attuata, per non dire “insabbiata” – che stabilisce la necessità di emanare un decreto attuativo per stabilire l’equipollenza a delle specifiche lauree di II livello in lettere ad indirizzo arte, musica e spettacolo.

    Il problema di fondo dunque sarà se mai ancora verranno emanati bandi di concorso con la previsione generica del possesso di una laurea e non piuttosto, come si tende oramai ad affermare nell’ordinamento, con questa o quella specifica laurea.
    Mentre per l’iscrizione ad un secondo livello l’inquadramento dei crediti formativi può permettere in un esame di ammissione all’università sia l’iscrizione che la non ammissione del richiedente a seconda delle discrezionali valutazioni di ciascuna singola facoltà/dipartimento universitario.

    Dunque le cose non cambiano, o cambiano piuttosto con la previsione di un’incertezza normativa che facilmente può sfociare in contenziosi di vario genere: in che senso si equiparano i titoli accademici dell’Afam e quelli universitari? Genericamente per affinità verticale: vecchio ordinamento almeno a primo livello e II livello, seppur qualificato dalla nuova normativa ancora come sperimentale, a secondo livello?
    Sul piano genericamente formale si può però affermare che il diploma di vecchio ordinamento è quanto meno equiparabile ad una laurea di I livello. A cosa questo possa servire è altra faccenda, solo in parte chiarita dalle norme qui sopra riproposte e in varie risposte date in queste pagine agli interessati.
    E l’unica cosa certa è che il diploma di I livello dell’Afam è equiparato, anzi “equipollente” (quale la differenza tra i due termini parrebbe un mistero!) a specifica laurea di I livello in arte, musica e spettacolo.
    M&M

  7. Maria ha detto:

    Buongiorno Maestro,
    da giorni sto tentando di raccapezzarmi tra leggi e leggine per tentare di capire qualcosa di questo argomento che mi tocca da molto vicino e di cui pochi sanno abbastanza, poiché mia figlia , dopo quasi dieci anni di studio, si trova davanti a scelte piuttosto complesse se non addirittura obbligate tra vecchio e nuovo ordinamento. Trovandomi per caso sul suo blog ho deciso di scriverle, approfittando della sua buona disponibilità , per provare a capire come poterci muovere in questo accavallarsi di cambiamenti che ci hanno coinvolto direttamente, cercando di trarne il meglio dal punto di vista della competenza (per capacità artistiche e titolo), ma anche tenendo conto delle volontà affinità e inclinazioni personali della ragazza che vuol fare dello studio il suo mestiere. Personalmente penso che lo studio della musica non sia un corso qualsiasi, di quelli adatti a tutti dove basti la volontà senza il personale sentire o dove non occorra esprimere anche il personale talento rispetto ai percorsi di studio ‘scelto’.
    Ma devo dire che , dopo tanto, ancora non sono riuscita a capire se il nostro sistema d’istruzione musicale (riformato o meno) ne sappia tener prioritariamente conto. Più avanti capirà il motivo per cui lo dico.
    Arrivo alla descrizione del ‘garbuglio’ di cui cerco il bandolo. Noi (uso il termine ‘noi’ dove il percorso a slalom si fa anche in famiglia) siamo approdati in conservatorio nel 2005, dove mia figlia , allora bambina, iniziò l’anno ‘di prova’ con il vecchio ordinamento ( durata sei anni : presa con la prova ‘attitudinale’ per il corso tromba, strumento che l’affascinava, ma non aveva mai visto. Premetto che gli esami di ammissione furono tre quell’anno: pianoforte, che studiava privatamente già da qualche anno, flauto dolce studiato a scuola, e un terzo scelto in più: questo, l’unico mai suonato). Dopo l’anno di prova, inizia il corso effettivo parallelamente all’inizio del liceo musicale interno sperimentale, ma con percorso musicale di conservatorio, e nel 2007 io rinuncio per iscritto ad esercitare l’opzione per passare al nuovo ordinamento che era in sperimentazione, per voler proseguire per mia figlia con strada più ‘certa’ (allora lei era minorenne). Nel 2010 finisce la maturità al liceo interno e anche il compimento del 4° anno , il così detto ‘diplomino’, per tromba. Nel frattempo la ragazza matura con la voce , ma anche la sua consapevolezza e il desiderio di voler fare il corso di canto che richiede lo sviluppo dell’età per iniziare. Mentre continua con lo strumento, quindi, (il vecchio ordinamento) viene ammessa al corso N.O.pre-accademico di ‘musica vocale da camera’ (intanto che frequenta anche il 5° corso di strumento) passando l’esame di livello C e per poi venire ammessa al Triennio (sempre musica vocale da camera). Con l’inizio del corso accademico di primo livello di MVC, chiede e ottiene dalla direzione la sospensione del corso di strumento, motivando la ‘concomitanza con studi di pari grado o superiore’ (come previsto da regolamento) e anche le ulteriori ragioni di incompatibilità anche fisica, poiché i due studi pesano entrambi su diaframma e fiato (in particolare il previdente di tromba, ha programmi molto rigidi che richiedono grande sforzo fisico, come e più del canto).
    Oggi che mia figli ha deciso di cantare come professione futura, dove esprime decisamente le sue migliori qualità sia tecniche che espressive , vorremmo poter continuare lo studio di musica vocale da camera non tanto con il nuovo biennio (che mi pare di aver capito sia ancora tutto ‘sperimentale’, oltre che particolarmente dispendioso in quanto aumentato dell’80% dall’ oggi al domani per il 2014-15) quanto completando proprio il corso del vecchio ordinamento in cui figura ancora come ancora ‘allieva attiva’, chiedendo alla direzione il cambio di strumento.
    Pare , però, che la normativa si contraddica in più punti a riguardo, poiché l’ammissione formale al nuovo strumento prevedeva l’ammissione. Ammissioni che oggi , per il VO non sono effettuabili.
    Ma c’è un ‘però’: l”ammissione qui risulterebbe di fatto ‘già assolta’, già effettuata in passato nel nostro caso, e quindi non da rifarsi (secondo le vecchie regole di passaggio dello strumento) poiché già superate ben più di due ammissioni per il ‘nuovo’ strumento (pre-accademico e accademico di I liv, oltre gliesami accademici di prassi esecutiva e repertorio del N.O. ). Questo ‘nodo’ burocratico costringerebbe mia figlia all’abbandono del corso e al buttare via gli anni di studio del ‘previgente’ costringendola finire con uno strumento che non ‘sente’ più in seguito all’evoluzione naturale degli eventi.
    In pratica sembra, ma non ne sono convinta, che le sia consentito esclusivamente ,e paradossalmente, il poter completare lo strumento con il V.O (e solo nei prossimi due anni), senza permettere di poter applicare completamente il regolamento precedente come previsto dall legge 508 (comprendente anche il cambio strumento ) anche quando gli insegnanti coinvolti sono favorevoli.
    La questione è certo ingarbugliata, ma non per colpa nostra. La mia richiesta apparentemente astrusa, perché di fronte a tanta confusione mia figlia, come me un tempo, decide di voler mantenere il diritto di completare questo corso del vecchio ordinamento chiedendo di passare musica vocale, con i vantaggi che il vecchio regolamento garantiva, non ultimo la possibilità di studiare anche di notte ma poter lavorare un poco anche di giorno, tenuto conto degli aumenti dell’80% delle nuove rette del corso accademico di II livello, ma anche dell’incertezza in cui si trovano arenate le leggi di attuazione per i bienni (sempre che non abbia io capito male). Perché se invece ho capito bene, tra l’altro, anche i contenuti dei corsi sono in continua rivoluzione (rivoluzione già sufficientemente da noi subita).
    Mentre riguardo il vecchio ordinamento sappiamo che incorre chiarissime incongruenze legislative recenti (sulle validità ‘temporali’ non di contenuto) che, però come si diceva, dovranno per forza , prima o poi, chiarirsi e sistemarsi per rientrare nella costituzionalità.
    Per riassumere , ecco le mie domande:
    E’ vero che oggi l’allievo dell’ordinamento previgente non può completare il corso vedendosi applicare ‘interamente’ il vecchio regolamento? ovvero che debba per forza concludere con lo strumento iniziale (anche se non lo potrà suonare o esercitare) e che non possa più cambiare lo strumento, come era previsto in precedenza ? (con cambio approvato da entrambi gli insegnanti coinvolti) , quand’anche per il nuovo strumento sia già stata fatta ben più di una semplice ammissione (stessa commissione, stesso conservatorio , prima ammissione nel 2010 al pre-accademico a cui segue tutto il resto ) ?
    E’ vero che si debba essere obbligati a una nuova ammissione di strumento (anche se di fatto già stato ammesso, come da nostro caso specifico), in quanto la cosa non è praticabile per presunte ragioni di vuoto legislativo?
    Sono risposte importanti da avere con certezza, perché mia figlia non vuole essere obbligata ad abbandonare il corso previgente e per il quale ha anche versato le quote aggiuntive per gli anni di sospensione mantenendo il posto, anche in seguito alla promessa di poter finire con certe regole.
    D’altro canto, non si può farne colpa se cantare non è corso per piccoli.
    Inoltre, l’aver saputo ‘toccando con mano ‘in cosa consiste un corso accademico in termini di costo e impegno giornaliero,ma anche il vedere l’incertezza di ciò che sta ‘avanti’ a noi, ci induce a decidere di voler finire , e studiare ancor più intensamente e con maggior beneficio personale, proprio sfruttando appieno il regime transitorio del vecchio corso a cui mia figlia non ha mai voluto rinunciare e che le spetterebbe di diritto.
    Alla luce di quanto ho tentato raccontarle e di quanto lei meglio conosce e può comprende e spiegarci, qual’è il suo consiglio per concludere …cantando?
    Mi scuso per la lunghezza , ma La ringrazio fin da subito per questo suo interessante sito , la gentile attenzione e la cortese nonché molto attesa risposta.
    Maria Mantovani

  8. musicaemusicologia ha detto:

    Gentile signora,
    non è facile comprendere quello che lei mi sta chiedendo, pur avendo letto e riletto il suo intervento – al punto di dover modificare questa mia stessa risposta oltre un paio di volte.

    Innanzitutto non è chiaro quali sono i titoli fin’ora conseguiti da sua figlia, oltre il IV anno/compimento inferiore del corso di studi v.o. della Scuola di Tromba e – mi par di capire – una maturità ad indirizzo musicale. Sembra che lei alluda anche ad un effettuato corso di base di Musica vocale da camera e anche addirittura ad un (compiuto?) diploma accademico della stessa Scuola. E allora mi è impossibile comprendere esattamente la questione, a meno che non si tratti semplicemente di scegliere se continuare il diploma di Tromba (mi par di capire sospeso come corso di studi, ma per quanti anni?!) ma in qualche modo “convertito” in quello v.o. di Canto da camera (?) oppure se, in alternativa, di iscrivere sua figlia ad un biennio specialistico di Canto. Mi parrebbe una questione di “lana caprina”, se così impostata, ma credo proprio che forse mi manchi un qualche tassello informativo in più …

    La prendo allora da un altro punto di vista ben più generale ed utile oltre che a lei ad una platea ben più ampia di interessati.

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    La questione di un regime giuridico transitorio è, in tutti i campi, sempre complessa e “ingiusta” in relazione soprattutto alla sua durata perchè nel modificare il vecchio ordinamento prevede, nella fase di passaggio, degli aggiustamenti del vecchio nel nuovo che tendono sempre a lasciare scontenti tutti quanti.

    Si immagini se altrettanto fosse accaduto nelle università e che – ad esempio – ad uno studente di lettere o di giurisprudenza o di biologia fosse stata posta l’alternativa: vuoi continuare con il vecchio ordinamento (4 anni) o passare al nuovo (3+2 anni), nel frattempo attuato come sperimentale in vista di aggiustamenti possibili in itinere?
    La domanda risulterebbe – ad una persona anche non dotata di grande intelligenza – di per sé oziosa se non assurda: che senso avrebbe chiedere di fare un lavoro di un anno in più per ottenere lo stesso risultato! Insomma questo scenario, se attuato, avrebbe minato la credibilità delle stesse istituzioni …

    La situazione in analogia così invece attuata dell’Afam – a dieci anni abbondanti dall’avvio in larga scala del triennio accademico, prima sperimentale e poi stabilizzato con due, altrettanto incredibili, “messe ad ordinamento” – sta minando pesantemente le istituzioni accademiche di ambito artistico. E si tratta più o meno di quella che agli universitari è stata evitata.

    Istituire il triennio in via transitoria è stata la prima grandissima iattura; un triennio sperimentale, ma in quanto “sperimentale” non previsto da alcuna legge: in base alla riforma del 1999 i trienni andavano subito istituiti e messi ad ordinamento, come stava in simultanea accadendo alle università.

    Ma la seconda iattura, la più incredibile di tutte, è stata il condurre questa fase di diritto transitorio per oltre un decennio! Un decennio che si sta dilatando verso un ventennio: un diritto transitorio che dura un ventennio è un non senso, un vero e proprio ossimoro. In ambito giuridico: un assurdo – utile semmai per “dar da mangiare” agli azzeccagarbugli e ai politicanti del malaffare.

    In un ventennio si creano e si disfano interi ordinamenti se non addirittura dei regimi che hanno lasciato un’impronta nella storia. Così la stessa espressione, un “ventennio”, ricorda un regime, quello fascista, che non è stato certamente una questione di diritto transitorio ma l’espressione di un evento di importanza epocale; che quanto meno per la successiva e conseguente seconda guerra mondiale ricordiamo certo non con nostalgia.

    Ecco, oramai a cose fatte, parrebbe che si tratti – in relazione all’ostinata incapacità di mettere un credibile ordine nella faccenda da parte dei più recenti governi e ministri (per lo più docenti universitari …) – di una decisione tanto lucida di singoli quanto incontrollata dai più (poco importa oramai chi gli uni e chi gli altri e se per colpa o per dolo) di far fallire un intero sistema formativo.

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    Il mantenimento del diploma di vecchio ordinamento, addirittura nella maggior parte delle istituzioni assolutamente sopravanzante rispetto il nuovo, ha oramai creato una situazione insostenibile per la credibilità in particolare dei Conservatori di musica: ci si iscrive ad un corso più facile perchè il tal docente di strumento ti fa intendere irresponsabilmente che così conviene e che quello che si sta facendo di nuovo è “sbagliato”.
    Nonostante lui stesso ci stia lavorando con altri suoi studenti e ben sapendo che si tratta sia del futuro del proprio lavoro (che semmai dovrebbe collaborare a meglio costruire) sia di corsi di studio pluridisciplinari ben più impegnativi e certamente molto più analoghi del vecchio ordinamento ad un vero e proprio corso di laurea!
    E tutto questo magari per mantenere privilegi vecchi e ben noti – ma mai estirpati dalla nostra politica corrotta ed inefficiente – quale l’assolutizzante gestione delle lezioni private (anche nelle ammissioni …), delle commissioni degli esami di diploma con soli docenti di strumento del v.o., etc. etc.
    Si immagini se l’esame di una qualsivoglia laurea sia demandato solo ad una categoria ristrettissima di docenti cosa potrebbe succedere in quelle istituzioni dove malcostume e corruzione sono ben rappresentate …

    In definitiva la questione che sta alla base di tutti questi miei articoli ed interventi sull’equivalenza (equiparazione, equipollenza etc. etc.) di titoli accademici a titoli universitari; che nel nostro ordinamento hanno (o paiono avere) un miglior posizionamento nei termini di riconoscibilità a fini di spendimento in ambito professionale – questione estremamente dibattuta ma non nella dovuta e trasparente maniera nei luoghi deputati – è quale relazione ci sia tra il diploma accademico di vecchio ordinamento e il diploma di triennio accademico per un verso e per un altro verso il diploma v.o. e il diploma accademico di II livello.
    Ho spiegato più e più volte che non si tratta di una questione pacifica e che ogni risposta è suscettibile sul piano pratico ai rischi di un contenzioso infinito e ad una contrapposizione letale tra categorie di studenti. E soprattutto ho portato la faccenda – cosa di cui siamo molto poco ben abituati – nell’alveo di una legalità di fondo che cerca di intravvedere le migliori soluzioni anche in prospettiva: nella prospettiva cioè di vedere insomma risolti coerentemente tutti i nodi della questione:

    1) il diploma conservatoriale di v.o. ha costituito la base per l’attuazione del diploma accademico di I livello, che addirittura come lei stessa ammette richiede un impegno di studi ben superiore;

    2) l’equiparazione dello stesso diploma v. o. ad un diploma accademico di II livello – se attuata, come dovuto – andava fatta ab initio una volta per tutte e senza alcuna sperimentazione all’inizio del processo riformistico: la legge di riforma prevedeva difatti la possibilità di integrare il vecchio diploma con dei corsi da istituirsi, cosa mai fatta a meno che non si voglia oggi intendere che si potesse trattare dell’allora avviato biennio specialistico:

    3) attualmente diplomi v.o e trienni accademici corrispondenti sono genericamente equiparati ai fini dell’ammissione a studi successivi (didattica e tfa, abilitazioni, concorsi vari …); ma il triennio accademico è il titolo che, anche in quanto esattamente equipollente ad una laurea in lettere di I livello, viene considerato in maniera certa nelle varie amministrazioni dello stato (ex-Inpdap oggi Inps ad esempio) come titolo analogo alla cosiddetta laurea;

    4) la posizione giuridica del II livello, inquadrato ancora, a torto o ragione, come sperimentale, e del diploma di v.o., che si trova invece nel limbo di una generica affinità a corsi di laurea (I o II livello?) resta inutilmente in attesa di soluzione. Con decreti di attuazione di norme di legge che nessuno vuole attuare, con ottime ragioni, anche per non inimicarsi una delle varie parti contro-interessate, ma anche ad evitare infiniti contenziosi che si creerebbero con l’amministrazione: è la classica “patata” tanto “bollente” che nessun politico (o meglio: politicante di quelli con cui, ahimè, ci tocca continuamente di doverci oggi confrontare a tutti i livelli) se ne vuole occupare.
    Basta leggere tutto quanto pubblicato in questi Post, per cercare di capirne il difficile e confuso perchè;

    5) nel frattempo gli imbonitori sono sguinzagliati all’opera, poco importa se da ignoranti in buona fede o da furboni in cerca del proprio vantaggio (categorie che spesso coincidono) … E proprio chi scrive in questa melma è costretto a sguazzarci e dunque anche … a confondervisi – mi creda, con enormi fatica e sofferenza sul piano tanto umano che professionale (ma questa, seppur strettamente connessa, è tutta un’altra storia).
    E lei – o meglio: sua figlia – non è che una delle tante possibili vittime di questa situazione di grande confusione ed incertezza, a seconda delle scelte più o meno responsabili che adesso è tenuta a fare.

    Però potrebbe la cosa non produrre troppi danni o aggiustarsi da sola nella logica italiana degli aggiustamenti e degli insabbiamenti. Definendosi tra un pò d’anni come il classico imbroglio “all’italiana”: … “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, scurdammuce ‘o passato …”

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    Lei mi pone in definitiva una questione da azzeccagarbugli alla quale potrei risponderle – alla luce di quanto sopra – con domande ben più importanti per il futuro di sua figlia.

    Se veramente si tratta di avviarsi alla professione musicale al meglio condotta perchè si è preferito scegliere la scorciatoia del vecchio diploma? E in base a quali più ampi riferimenti culturali – che non siano solo quelli prettamente fisiologici – state adesso inquadrando come unico problema, per il futuro professionale di vostra figlia, la scelta estremizzata tra uno strumento di provenienza per lo più amatoriale bandistica e di prevalente e ideale sbocco professionale orchestrale e il canto da camera, che (diversamente da quello lirico, riferibile al lavoro di coristi e di primari e comprimari nei teatri d’opera) certamente offre molto meno sbocchi e ancor più legati all’assoluta eccezionalità delle doti naturali?

    Solo con riferimento al mio settore disciplinare: lei sa che uno studente di tromba o di canto che esce dal vecchio ordinamento resta sicuramente un emerito ignorante in materia di lettura analitica del repertorio, ossia di una lettura che vada bene al di là degli automatismi tecnicistici del solfeggio, utili semmai – se ben svolta – per una lettura di base della musica …?
    Nel triennio si svolgono, e certo non solo nella mia istituzione, da ben oltre un decennio tre annualità differenti (da noi: Teorie e tecniche dell’armonia, Fondamenti di composizione, Analisi dei repertori musicali) a fronte di una sola vecchia disciplina annuale del v.o. di “Cultura musicale generale” (sic!); oramai superata dagli stessi ordinamenti dei corsi accademici e addirittura del tutto inconcludente se paragonata con la quinquennale disciplina liceale di Teoria, analisi e composizione e perfino con le più serie programmazioni dei corsi di base! E si pretende l’equiparazione a lauree di corsi di studio del genere? Una vergogna tutta italiana!

    Insomma quello che voglio dirle, cara signora, è che lei è stata mal consigliata a suo tempo e che comunque ha già fatto malissimo i suoi conti nello scegliere la scorciatoia del vecchio ordinamento. E che adesso sta continuando nell’errore, se cerca in tutte le direzioni possibili tranne che il meglio che possa a servire a sua figlia per la sua miglior formazione musicale (e in tutti i sensi e in tutte le direzioni possibili ed utili inter-, pluri- e trans-disciplinari).

    Il problema non è solo la tromba o il canto. Ma l’interesse reale a sviluppare una buona formazione musicale specialistica, tramite, anche ma non solo, la tromba e il canto. Ponendosi in questa direzione troverebbe delle scelte migliori che al momento (se ho ben capito) si rifiuta di considerare per la solita fretta che hanno i genitori di far prendere ai propri figli il “pezzo di carta” ad ogni costo e comunque sia nel più breve tempo possibile. Poi quel che verrà dopo, si vedrà …

    La mia unica e possibile risposta:

    1) iscriva sua figlia ad un triennio o ad un biennio accademico presso un’istituzione dove questo funzioni seriamente;

    2) scelga per lei i migliori insegnanti (non quelli “accomodanti” e “lascia fare” ma quelli che fanno veramente lavorare i propri studenti);

    3) assecondi la vocazione di sua figlia ad uno strumento piuttosto che ad un altro, ma non lo assolutizzi: una formazione pluridisciplinare di buon livello, armoniosa tra tutte le discipline, è il primo obiettivo da conquistare;

    4) si preoccupi dell’insegnante di riferimento, certamente, che in genere è quello di strumento (ma non sempre, quando questo si mostra culturalmente carente rispetto studenti di levatura culturale superiore e ne so abbastanza in proposito …); però controlli anche il lavoro degli altri e non lo sottovaluti; e, se l’insegnante di strumento è di quelli che sostengono che gli allievi devono innanzitutto solo “suonare, suonare e suonare”, senza preoccuparsi anche di imparare a “ben riflettere su quello che devono suonare e su tutto il resto che è ad esso attinente”, verifichi bene se per caso non sta parlando, se non con un imbecille, quanto meno con una persona che si esprime così solo per mascherare le sue più o meno gravi carenze culturali;

    5) tromba o canto? Deciderlo a diciotto/vent’anni non è certamente il massimo … E comunque si tratta di un falso problema sul piano pratico. Un cantante che sappia cantare bene si afferma non certamente perchè possiede un diploma di conservatorio; questo tutt’al più può servirgli per la relativa esperienza di studio (attenti a non confondere il pezzo di carta con quello che lo stesso dovrebbe implicare in termini di effettive risultanze formative e professionali!). Poi se ci si vuole indirizzare ad altre professioni – inclusa quella dell’insegnamento – è solo un primo gradino rispetto quelli successivi (diplomi di didattica, abilitazioni, con relative ammissioni oggi a numero … chiusissimo etc.) verso i quali senza una preparazione musicale a 360 gradi ci si troverebbe del tutto sguarniti.

    6) Forse la soluzione possibile al momento – e comunque un tantino da azzeccagarbugli e dunque non del tutto coerente con la mia deontologia professionale, diciamo da situazione di emergenza (tipicamente italiana) – sarebbe di completare gli studi svolti di tromba, con il corso v.o. o (meglio) con il diploma accademico triennale (presso un’istituzione dove lo svolgono seriamente e con i migliori docenti – si intende). Per poi iscriversi ad un biennio di canto, anche se con debiti formativi da colmare proprio nella disciplina esecutiva del canto. Oppure – più onerosa ma forse migliore – la successiva iscrizione ad un secondo corso di triennio di canto ma stavolta abbreviata, con il possesso della maggior parte delle discipline fino al momento studiate in quanto comuni.
    Se invece possiede già il diploma accademico di I livello di Canto da camera mi risulta oziosa se non incomprensibile il senso stesso della sua domanda: iscriva sua figlia al biennio specialistico di Canto da camera, se quella è la sua strada. In tal caso non capirei però tutto questo vostro assurdo “armeggiare” ancora attorno al diploma v.o. di Tromba.
    A meno che non si tratti dell’idea balzana di conseguire nel più breve tempo possibile (magari con il solo esame finale di diploma, ripetendo quello fatto per il triennio) … un doppione del diploma accademico che già possiede!
    Con la speranza di vederselo prima o poi considerare equipollente ad un biennio …

    A parte l’assurdità propositiva in termini amministrativi, spero che si renda adesso meglio conto che la sua trovata sarebbe del tutto analoga – e dunque pienamente dimostrativa – rispetto a quelle “furbate” che vengono messe in giro da chi pensa e pretende che al momento attuale sia possibile
    sic et simpliciter equiparare diplomi v.o. all’intero corso del 3+2 accademico n.o.!

    Una curiosità però rimane. Se sua figlia ha acquisito la maturità di un liceo musicale non ha già svolto a livello di base un congruo periodo formativo della propria musicalità anche in senso pluridisciplinare? E, se si, con quali risultati, dato che è stata poi costretta ad iscriversi ancora ad un corso di base per il canto?

    Auguri comunque per il futuro di sua figlia: viviamo in un paese dove le eccezioni alla regola sono tante e tali da annullare troppo spesso la regola stessa. E allora dovremmo imparare a darcela una buona regola da noi e a rispettarla comumque. Quanto meno per avere la coscienza a posto al momento di un redde rationem. Che comunque nella vita prima o poi avviene.

    M&M

  9. Maria ha detto:

    Buonasera Maestro,
    Intanto la ringrazio per avermi risposto e per la pazienza (temevo che la complessità del tema così ‘incastrato’ fosse incentivasse l’abbandono di una risposta).
    In effetti tutto pare incongruente (a me per prima, creda) e le rispondo alla sua prima primaria curiosità: dopo la formazione liceale… perché mai è stata costretta a ricominciare ..?.
    La risposta è molto semplice, si è trattato di un insieme di coincidenze in evoluzione, questi:
    1- i pre-accademici al momento della sua maturità e quindi della domanda (luglio 2010) ancora non si erano definiti chiaramente come i ‘sostituti del corso inferiore di v.o’. Pertanto ci sono stati presentati come ‘passo obbligatorio pre-Accademia (come dice la parola) visto il n.o. ormai in atto.
    Quindi prima dell’accademico (triennio) allora si riteneva (nella confusione generale) che si dovesse per forza concludere un pre-accademico dello stesso strumento (liv C).Preciso che il nostro è un grande conservatorio, quindi non possiamo dire sia improvvisato. Forse disorganizzato, però , si. La riforma non ha certo aiutato. (se penso che quando l’ho iscritta al liceo annunciavano che per la nuova riforma avrebbero avuto un diploma equiparata a laurea contestuale alla maturità per cui sarebbe bastata la specialistica…non so se piangere o ridere).
    2- mia figlia ama cantare più di quanto non ami suonare la tromba , anzi! ( e non solo tromba, poiché sappiamo nel tempo che riesce meglio in pianoforte e violino, strumenti in cui mostra maggior velocità di apprendimento, passione , destrezza e abilità seppur iniziati in tempi diversi) e i suoi insegnanti di canto sono concordi nel pensare che non abbia solo bella voce per cantare , ma anche le altre qualità necessarie per divenire un valido soprano.
    3- poiché in conservatorio più di un corso accademico non si può fare (e a ben vedere, considerato il numero degli insegnamenti mirati) nella nostra Istituzione (validissima e sempre la stessa dall’inizio) per noi funzionava così : l’anno pre-accademico era servito alla stregua dell’anno ‘in prova’ per il nuovo strumento (come dicevo prima), strumento che il liceo non contemplava (la voce non c’è tra gli strumenti ammessi ancor oggi, cosa peraltro dipendente dalla crescita e complensibile ).
    Così la nostra domanda di ammissione dell’anno di maturità fu effettivamente per triennio, ma ci venne convertita d’ufficio in domanda per il pre-accademico (nonostante interessamenti e tentate proteste). Le dico di più : dal liceo musicale, sempre interno , vi usci’ molto bene, con votazione eccellente e superiore alla media e non solo sulla maturità, ma per tutti i 5 anni per cui ebbe riconoscimenti e borse di studio ogni anno anche dalla regione. Quindi non è stata fermata per questioni di demerito o inadeguatezza, quanto proprio per questioni di confusione burocratica, per così dire. Ma questo all’atto pratico è stato anche vissuto come una bocciatura immeritata proprio da lei che ha buoni risultati in ogni campo, anche perché i ragazzi del suo liceo che hanno proseguito in altre università si sono laureati un anno prima con il potenziale di potersi iscrivere al biennio (anche musicale) prima. Quindi , visto che il cambio di percorso è una possibilità previsto dai regolamenti di ogni università (nuovi e vecchi) ma non sufficientemente affrontato o approfondito, e considerato che ciò comporta una perdita di anni utili a prescindere dal merito (e nel nostro caso anche di denaro per sospendere)…vorremmo recuperare il perso e parcheggiato.
    Questo è il primo punto. Vorrei anche dirle che ho cercato di capire e confrontarmi per evitare l’anno ‘perduto’ perché mia figlia, che è veloce nello studio e appassionata di molte discipline , infatti ha studiato anche danza accademica fino al 5° anno con Aida la scuola della Scala, ha avuto l’autorizzazione a frequentare comunque, oltre alla prevista e rimanente unica lezione settimanale, anche un paio di laboratori del triennio affini al canto, per non perdere almeno l’entusiasmo del fare, poiché l’esperienza del canto fino a un certo livello richiede la sola lezione frontale. Laboratori ed esami (dizione straniera) che non compaiono nel libretto perché non aveva la matricola…e che quindi formalmente sono persi. Ci consola però che abbia potuto frequentarli. Diciamo che lei ha una predisposizione all’ottimismo per le materie nuove , pertanto tutto quel che fa lo fa con l’ottica di imparare sempre di più a costo di ‘approfondire’ sotto nuova ottica. Il che, per molti aspetti ,quelli pratici e prettamente professionali, va anche bene.
    L’anno dopo quindi è stata confermata e ammessa Triennio, e qui si è trovata a ripetere sotto altra veste molte ore di studio già svolto nel ‘vecchio liceo sperimentale’ che ha visto 450ore di ottima storia della musica (queste ore solo in aula poi c’era la preparazione a casa) e altrettante di Analisi e composizione (materie che erano già a integrare le previste del v.o. come teoria e solfeggio ) tanto che , capitata poi al triennio con il vecchio professore mdi liceo, hanno insieme deciso per svolgere un programma più aperto e ad hoc in modo che servisse oltre al già-fatto , concludendo l’esame con una vera e propria tesi (che non era obbligatoria) sulle opere di Webern, lavoro giudicato molto interessante e che le ha fruttato un soddisfacente 30/30 oltre alla richiesta dei docenti di poter avere una copia della sua analisi. Infatti il collaudatissimo curricula del liceo frequentato non era ancora quello riformato, perciò prevedeva più ore per le materie musicali di quanto non siano ora, che sfociano naturalmente nei nuovi trienni. Insomma, questo per dirle che la formazione a 360gradi non le è mancata affatto, anzi. Ora sta concludendo il terzo anno accademico di canto da camera (comprese le varie ore di ‘informatica musicale’ a mio avviso, in qualità di informatico, davvero poco utile al cantante, se non altro per la certa obsolescenza dei prodotti appena sperimentati , e anche di qualche altra di ‘consapevolezza corporea’ certamente utilissima per chi è a digiuno di tutto , ma che fa un po’ sorridere come materia obbligatoria ,che comunque richiede tempo dedito, anche per una danzatrice professionista che non può proprio essere esonerata) . Diciamo che come vantaggio del triennio ha potuto avanzare molto con la formazione pianistica , che le sarebbe dispiaciuto dover abbandonare dopo i quattro anni di complementare al liceo e anche i quattro precedenti delle scuole elementari. In febbraio si laureerà , ma credo non potrà ancora iscriversi al biennio fino a luglio 2015 (con un gap d’attesa di diversi mesi).
    Facendo un bilancio a posteriori e dalla fine del liceo, quattro anni sono ormai passati, In questi ultimi tre anni accademici ha sospeso il corso di tromba e integrato privatamente con un corso di canto lirico (perché i due studi non sono conflittuali ma anzi complementari , mentre la tromba lo è), sicché invece della danza ormai studia il suo repertorio vocale per portarsi avanti e non dover abbandonare una carriera prima ancora di poterla iniziare per raggiunti limiti d’età. (Sembra cosa da poco , ma le assicuro che sono tantissime le donne trentenni che lamentano questa impossibilità , perché ancora agli studi e senza essere nemmeno partite. Ma l’orologio biologico non ha iscrizioni e si ferma quando deve…Perché mai allora deve essere l’insegnamento l’unica strada dopo tanto studio e lavoro? Questo problema è nuovo, come l’ordinamento, visti i ritmi, pare non porselo ancora nessuno…eppure oggi più che mai si parla tanto in ‘rosa’ ).
    Così la mia bambina in quel tempio musicale è oggi anche giovane donna e le manca certamente ancora tanta strada,ma ora ci si impone la valutazione secondo costi e benefici, fermo restando l’obbiettivo: imparare il mestiere primo al meglio e senza perdere un briciolo di fiato e tempo.
    dopo tanto studiare ha potuto prima comprendere e poi decidere cosa vuole fare. Lasciandosi indietro via via quel che è servito per arrivare a questa certezza. Nessuno ora deve o potrà mai cambiare questa sua idea di realizzazione.
    E siccome io sono proprio una di quelle persone che pensano che un titolo , senza strafare, basti, e che conti, come dice lei, più il sapere e il saper fare bene…mi sono posta delle domande prima di imbarcarmi/ci in un altra ingessatura che a questo punto potrebbe anche non essere così facilmente portata a termine:
    1) dopo 10 anni di conservatorio (intensissimi) finalmente siamo a un prossimo primo titolo valido. Il triennio di mvc con un’insegnante validissima. Benissimo. la ragazza vorrebbe certamente continuare con lei e l’insegnante anche. L’affinità con il proprio maestro sappiamo quanto sia importante, specialmente ne canto dove le posizioni sono solo intuibili da entrambi e udibili chiaramente quasi solo dal maestro (nelle zone molto acute è risaputo che chi canta non si ode) .
    2) Nel corso del triennio ha svolto ore di lezione nelle classi di canto (caratterizzanti e affini come da piano di studi) e anche altri insegnanti hanno espresso la volontà di aver piacere di insegnarle, perché adatta alla materia ‘principale’ (cosa che però non è compatibile per regola Afam generale, a meno di non sfruttare il v.o, che può coesistere con un biennio, per esempio).
    3) la ragazza continua ad esercitare la lirica (ma anche il canto pop) con maestri amici fuori (non avanzando minimamente tempo per lo studio serio di altri strumenti), nessuno escluso. Lei vuole principalmente cantare e studiare una parte (anche non a memoria) richiede tantissime ore, molte più di quanto il numero di crediti sulla riga del preciso insegnamento a piano di studio lascino immaginare.
    4) intanto ciò che faceva un tempo non si può fare più (fondamentalmente oggi assitere a spettacoli istruttivi, o effettuare corsi aggiuntivi e masterclass) perché la vita ormai costa troppo e integrare lo studio a 360 (proprio perché ‘tutto serve’ come dice bene , anche se non tutto arriva da una sola scuola ) non è affatto scontato per chiunque. Poi i genitori invecchiano i figli crescono e ormai adulti hanno anche bisogno un’autonomia reale, mentre le rette triplicano (per i bienni e trienni lievitano proprio) e se poi ci mettiamo le rette versate anche degli anni sospesi…ci si domanda seriamente cosa si stia facendo e se non ci sia davvero , visto il livello a cui siamo arrivati, una strada più che buona oserei dire intelligente. Senza farsi altro male da soli.
    5) nell’incertezza del non poter ‘finire’ per l’incertezza degli eventi (tra decreti e crisi esterne), ho pensato come poter aiutarla a continuare seriamente , ma avanzando anche tempo per iniziare a lavorare anche poco (qualche lezione o matrimonio). Il tempo si dice sia tiranno e il triennio, ormai sappiamo, non lascia spazi di vita e lavoro (nemmeno minimi) perché per come sono organizzati i corsi ,con un ritmo di lavoro a scatti e spesso improvvisi se non anche sovrapposti, non è possibile prendere nessun impegno che sia prioritario.Nessuna possibilità di lavorare nemmeno per ripagarsi gli studi. E questo credo valga anche per il biennio soprattutto per uno studente che è anche pendolare.
    Quindi, ragionando sul futuro senza voler sbagliare la strada, arrivo alle motivazioni che ci inducono al tentativo di insistere per il recupero del v.o in sospensione già l’anno venturo (che è anche l’ultimo che ci viene consentito) e per cui mi trovo a stilare una difficile domanda da inviare al direttore (la cui risposta sarà quasi scontata):

    – considerato che mia figlia , che non si sente per nulla trombettista, ma bensì cantante (è bene sottolinearlo), è a tutti gli effetti allieva di v.o. da esaurire (corso oggi in sospeso fin tanto che sono ‘in corso studi di livello pari o superiore’) , e che la legge ci pare di aver capito consente di poter concludere con le vecchie regole, vorremmo esaurirlo si, ma seguendo le attitudini e i desideri della ragazza .
    E’ da notare che lei ,infatti , non scelse la tromba per affinità particolari , sebbene abbia anche un bel suono, ma perché era una bambina come tanti che vivono molti stimoli a cui piaceva davvero l’idea dello strumento , idea che poi, crescendo, si accorta che non era il suo per consapevolezza studiando anche altro negli anni di liceo. Ed ora che sa che non farà la trombettista non vuole per nulla posticipare lo studio del canto (= abbandonarlo studiando tromba, che ha altra tecnica di respiro e posizione interna) per conseguire un titolo che avrebbe ragione di conseguire cambiando classe (e conseguente strumento).
    Non abbiamo visto nessuna esclusione o obbligo di abbandono sui decreti, ne alcuna specifica limitazione di cambio d’indirizzo di studi (strumento) eventualità anzi che trovo ben regolamentata con certi presupposti (insegnante che prende l’allievo e insegnante che lascia favorevoli, esame di ammissione al corso se non già effettuato, posto in classe).
    – il v.o , inoltre, costa oggi (nonostante gli aumenti esponenziali avuti negli anni) un terzo in meno del prossimo biennio, e questo darebbe a noi una certa sicurezza di ‘solidità’ dello studio.
    – l’insegnante è pronta ad accoglierla proseguendo il lavoro iniziato (ma anche altri insegnanti del corso di canto lirico la vorrebbero volentieri, e lei stessa accetterebbe volentieri per completare la formazione sui repertori e le tecniche in modo più ampio possibile senza perdere tempo, ne denaro già speso, ne diploma v.o. che, come dice anche lei , è comunque un diploma in più validissimo).
    – il numero di ore di canto sarebbero le stesse che nel biennio, impegnandola meno e in modo più mirato sul repertorio personale.
    -tutto ciò le lascerebbe il tempo per dedicarsi anche a un semplice lavoro ma anche alla continuazione degli studi paralleli concentrandosi sulla specialità senza obbligarla a ripetizioni infinite o a sessioni di cultura generale che forse ad altri ,che non hanno lo stesso intenso percorso tutto italiano, mancano (e anche per non assecondare il suicida principio di non dover iniziare uno studio se non alla fine dell’altro, poiché l’orologio biologico non si ferma ad attendere….tornando almeno noi un po’ al vero concetto di studio multidisciplinare e contestuale , quando le possibilità personali dell’allievo lo consentono)
    – nel nuovo ordinamento ci sono casi di ripetizione di corsi con programmi identici sia al triennio che al biennio , poiché indicati come obbligatori. E da noi, come sul nostro caso del pre-accademico, si preferisce così. A costo di far perdere giorni (e anni) ai ragazzi quando veloci.
    – Il v.o, insomma, si concentra sulla materia principale (più utile per mia figlia in questo momento poiché non ambisce al massimo titolo , ne al biennio d’insegnamento poiché vuole essere interprete e perché amante, come me, prima del saper realmente fare che del divenire.
    – inoltre temo che laureatasi in inverno non potrà iscriversi al biennio perdendo un altro anno accademico, mentre trasformando il v.o. inizierebbe già da quest’anno il corrispondente 5° corso.
    E così non si va certo al galoppo e nemmeno a passo normale, ma proprio a rilento.

    Per ultimo questa insistenza insensata a volerla vedere finire la tromba a tutti i costi .. quando conoscendola da sempre hanno già ben capito che ha un miglior talento da sfruttare ed affinare oltre che un altro desiderio (io la capisco anche troppo bene), cosa che ormai le sta provocando un ‘rifiuto da coercizione’ (che è un vero peccato perché lo strumento non lo odia affatto, solo vuole scegliere senza gettare via il passato). Del resto in questo campo non si è mai considerato che il bambino non è solo in via di sviluppo fisico (prima lo strumento esterno e dopo, naturalmente, il canto, che è uno strumento interno) ma anche che l’artista matura crescendo una consapevolezza del proprio sentire che deve essere in assoluta sintonia con il preferenziale strumento.
    Per saperlo con certezza dovrebbero averne studiati molti. Mia figlia infatti l’ha fatto…e la sua conclusione sarà senz’altro la migliore per se. Vorremmo solo poter continuare il corso che ci è dato finire secondo con questa precisa e personalissima sintonia e, almeno per ora, anche senza biennio .
    Poiché sostanzialmente tutto sarebbe fattibile (tutti gli ingredienti ci sono dalla classe all’insegnante al programma ), formalmente quali sono gli ostacoli nel fare due anni superiori di MVC , con un programma che sarebbe comunque personalizzato e senza distrazioni , ma anche un diritto poter finire a due soli anni dalla fine, (visto che non si ambisce al diploma del biennio nuovo che è comunque fattibile anche in futuro)?
    Un diploma è certamente importante (altrimenti non ti pagano un rimborso spese nemmeno come gira-pagine) ma non sono sicura che servisse tanto liceo e tanta spesa per arrivarci negli stessi tempi. Siccome quello che si fa (anche in più) bisogna anche che abbia un senso mi domando se non sia giusto anche poter continuare a studiare con un corso che comunque c’è, decisamente più adatto al caso , ed è anche quasi concluso , magari senza farsi condizionare dal ‘peso’ formale del secondo diploma. Spero di aver chiarito i termini della complessa domanda.
    Perché in fin dei conti non ancora non ho capito se mia figlia potrà finire il superiore di v.o. cambiando lo strumento con il canto (mvc o canto) e quali siano le modalità da seguire.
    grazie ancora, Maria

    • musicaemusicologia ha detto:

      Beh, adesso comincio a capire di aver grosso modo azzeccato la questione che mi ha posto, proprio nella sua “almeno apparente” incongruenza: spiegabile solo alla luce di quanto ho riportato in termini di instabilità e incertezza del sistema, da voi ampiamente sperimentato e certo subito – come mi sta adesso chiarendo.

      Ma d’altra parte mi son già reso conto da tempo anche di quanto sia stato reso farraginoso per certi versi il percorso dei corsi accademici – anche in relazione alle fasi propedeutiche – da parte di docenti talvolta impreparati al cambiamento e di dirigenze tutt’altro che illuminate.
      Da noi comunque pare evidente che un triennio accademico di Canto sia nettamente superiore al corrispondente diploma v.o., ma i docenti, peraltro diplomati nel v.o., sembrano quasi non volersene render conto, complicando enormemente le questioni relative ai titoli (il che non aiuta certo i loro studenti).

      Che senso dovrebbe avere studiare per conseguire il doppione di un titolo già posseduto?
      Lei praticamente mi risponde: con i “chiari di luna” a cui tocca di assistere non si sa mai: magari il diploma v.o. lo fanno diventare – anche se ingiustamente, come è evidente anche per la vostra esperienza – un titolo superiore! E peraltro si tratterebbe solo di preparare un programma per il secondo diploma; ma uguale, se non inferiore, per complessità di curricolo al primo: da noi spesso al concerto di diploma di triennio si aggiunge anche una tesi di laurea, magari di livello tale non solo da non sfigurare rispetto le tesi universitarie ma da venir anche pubblicata, cosa impraticabile nel v.o..

      Non è perdita di tempo questa? Se la ragazza vuole andare avanti negli studi, sentendosi non preparata ancora alla professione, è proprio questa la strada?
      D’altra parte mettersi nelle mani di un buon avvocato per risolvere la questione nel senso a voi reputato utile non avrebbe anche i suoi costi? Perché certamente la richiesta che lei farà al direttore di poter completare il diploma v.o. modificando la Scuola di strumento in Scuola di Canto non mi pare abbia supporto normativo: Al di là delle sue buone argomentazioni, che comunque pescano anche nel “torbido” dell’incerta situazione giuridica (insomma un giudice potrebbe darle risposte anche contraddittorie, dato il vuoto normativo al proposito oppure procedere creativamente per interpretazioni analogiche …).
      E con la validità giuridica del v.o., anche nella prospettiva di riuscire ad acquisirlo, cosa cambierebbe, al di là di un annetto o più di prolungamento di studi di canto più o meno con gli stessi docenti?

      Risponda a queste domande e cerchi di conseguenza la strada migliore per sua figlia.
      M&M

      N.B.: Dimenticavo: da noi per chi si laurea nel febbraio successivo (sessione invernale) all’A. A. di pertinenza è prevista l’iscrizione al biennio sotto condizione, appunto, di conseguire per tempo la laurea.
      Io rimango del parere che comunque sia questa la strada migliore e, comunque allo stato delle cose, che abbia più senso per le vostre espresse esigenze di continuare lo studio …

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