LE CONTRADDIZIONI DEL PROCESSO RIFORMISTICO NELLE ISTITUZIONI FORMATIVE MUSICALI. Ossia: la sottrazione e appropriazione di competenze come sport meglio praticato nell’incontrollata autonomia dell’Afam

by Musica&Musicologia

Riceviamo informazioni circa la recente creazione di un nuovo corso di diploma accademico di I livello in “Discipline storiche, critiche e analitiche della musica” di competenza degli Istituti Superiori degli Studi musicali, ossia di Conservatori Statali di Musica e di Istituti Musicali Pareggiati. In questo link ministeriale sono rinvenibili, per gli interessati, i documenti utili alla creazione del corso:

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/decreto-ministeriale-n-367-del-17-07-2020-integrazione-delle-tabelle-allegate-al-decreto-30-settembre-2009-n-124-con-il-dcpl-15-a-corso-di-diploma-acc

La notizia sarebbe oltremodo interessante per i docenti del settore disciplinare COTP/01, Teoria dell’armonia e analisi. Senonché, nonostante la denominazione riporti il termine “analitiche”, nell’allegata Tabella A i corsi del detto settore risultano far parte delle discipline di base e non, come invece dovrebbero, delle discipline caratterizzanti e, in tal caso, con maggiori crediti formativi e maggior peso nel complessivo curricolo di studi. Dunque con il risultato evidente di squalificare la professionalità dei docenti del detto settore, proprio in un contesto formativo in cui le loro competenze risulterebbero strategiche.

Appare allora consolatoria l’altra notizia che alcuni docenti si stiano muovendo per chiedere la modifica in correzione della tabella in questione. E sembra che tale lodevole iniziativa sia anche appoggiata da un’associazione operativa nel campo, il GATM – Gruppo di Analisi e Teoria Musicale, che intende sostenere generosamente questa posizione critica. Così pure, in un’analogia che si voglia sinergica e/o alternativa secondo i punti di vista, questo sito professionale si mette a disposizione degli interessati per l’eventuale dibattito in proposito, confidando su una accresciuta sensibilità delle nuove leve di docenti del settore teorico-analitico-compositivo.

Magari al fine di realizzare quel sodalizio di interessi speculativi che non sono riuscite ad attuare proficuamente le generazioni precedenti. Una volta chiusa la ventennale esperienza della gloriosa, ma oramai giubilata, SIdAM – la Società Italiana di Analisi Musicale con le sue prestigiose riviste e la sua collana di pubblicazioni afferenti alla Teoria, all’Analisi e alla Pedagogia musicale; riviste edite dalla Ricordi prima e poi dalla Curci e con studiosi referenti internazionali tra i più prestigiosi tanto nei campi specifici che in campi afferenti; coinvolti ma anche presenti nei numerosi convegni tenutisi in Italia negli anni novanta fino all’avvento della riforma: Diether de La Motte, Jan La Rue, Carl Schachter, Marta Arkossi-Ghezzo, Leonard G. Ratner, David Epstein, Robert Cogan, Reginald Smith Brindle,  Carl Dahlhaus, Zsolt Gardonyi, Werner Braun, Hermann Keller … – solo per fare alcuni nomi di capiscuola e di studiosi di rango internazionale. Ma affrontando la questione al più ampio raggio sono ben altri “i nodi che vengono al pettine”, data la lunga storia pregressa di questa fin troppo specifica vicenda. Solo qualche spunto da chi quelle vicende le ha vissute in primo piano tra i protagonisti.

Già nel primo triennio accademico la disciplina Analisi della letteratura musicale di repertorio, in seguito ridenominata Analisi dei repertori musicali, era disciplina caratterizzante e derivava dalla nostra terza annualità di Teoria e analisi musicale (dalla seconda metà degli anni ottanta, sperimentale fino alla riforma). Dunque con maggior peso nella valutazione complessiva di ciascun studente. Appresso, dopo la stabilizzazione del triennio, la qualifica di disciplina caratterizzante le venne tolta di soppiatto per attribuire poi poco a poco sempre meno peso a questo settore disciplinare, approfittando tanto di un’autonomia senza controlli e senza freni quanto della mancanza di coesione deontologica attuata a propria salvaguardia da questa particolarissima categoria di docenti.

Ciò è peraltro accaduto in maniera estremamente diseguale nelle diverse istituzioni accademiche attive lungo l’intero territorio italiano. Così, a significativo esempio, se a Milano, a suo tempo tradizionale fucina delle attività didattiche più innovative e dove, dagli anni settanta per ben oltre un ventennio, un Marco de Natale poneva le solide basi epistemologiche dell’analisi musicale, appare adesso disastrata la situazione di questo settore disciplinare con una risicata quantità di corsi. Invece nella lontana Sicilia proprio a Messina la presenza di un Mario Musumeci (dapprima semplice ma motivatissimo succedaneo dell’attivismo di quel citato fondatore e appresso protagonista agguerrito e studioso di primo piano del, sempre da lui stesso più ampliato, campo disciplinare) ha fin’ora garantito una florida tradizione di studi e prassi didattiche e dunque una presenza oltremodo attiva di tutte le competenze previste in declaratoria. Lui stesso titolare di ben sette corsi verticalmente integrati di triennio (tre corsi generalisti) e di biennio (due corsi biennali: uno per gli strumentisti e l’altro per i compositori), e tutti ben sostenuti dal proprio attivismo scientifico e pubblicistico, soprattutto saggistico nonché trattatistico.

Cfr. di più recente, ma a coronamento in chiusura di un decennale E-learning:

UN PRODUTTIVO ANNO DI DIDATTICA ON LINE: il documentato bilancio

Così, va purtroppo profetizzato, in una situazione addirittura capovolta rispetto l’attualità dell’originario “modello milanese” (ma in fondo proprio il pugliese de Natale era anch’egli di sane origini meridionali …): qui il problema che si porrà per i docenti successori dello stesso sarà semmai riuscire a sostenere sia la detta continuità verticale dei corsi sia il consistente numero complessivo (ben oltre un centinaio) di studenti frequentanti tra triennio in orario istituzionale e biennio in ore aggiunte di straordinario! Cfr. (tra i tanti) questo riferimento informativo:

L’evoluzione della strutturazione fisiologico-cognitiva del pensiero musicale – Presentazione di due trattati del Prof. Mario Musumeci

Va detto, a onor del vero, che già circa una quindicina di anni fa, sul sito-blog della sopra richiamata Società Italiana di Analisi Musicale, chi scrive pose nettamente la necessità di creare un luogo informativo e magari di fruttuoso coordinamento delle varie esperienze e problematiche che stavano affrontando i docenti italiani di discipline teorico-analitico-compositive. Se invece di corrispondere con un assoluto silenzio si fossero evidenziate tali gravi criticità in divenire si sarebbe potuto creare un sodalizio di intenti e di congruenti interessi professionali. Adesso “chiudere la stalla quando i buoi sono scappati” a chi e a cosa dovrebbe servire?!

Ma non sarebbe stato più dignitoso, per i docenti di Teoria dell’armonia e analisi, evitare di mettersi sotto tutela di un’associazione di promanazione universitaria  (e che promanazione, poi!), tutt’altro che autonoma da interessi professionali estranei alla categoria? Soprattutto creando un polo associativo e di mediazione, nonché di alta proposizione politico-culturale riferibile semmai solo ai propri specifici interessi professionali e dunque ponendola direttamente a difesa delle proprie prerogative? Non sarebbe stato molto più utile fare un censimento serio ed approfondito della situazione delle loro cattedre in Italia? Non sarebbe stato ancora più utile comprendere da questi confronti come superare le situazioni degradate ricorrendo alle tattiche e poggiandosi sulle strategie produttive delle situazioni di floridezza? Sono tutte queste domande veramente così difficili da porsi in ambiti accademici?

Soprattutto quanti e quali sono i docenti di Teoria dell’armonia e analisi così estremamente desiderosi – e si reputa lodevolmente proprio da chi scrive! – di svolgere attività didattica e magari di ricerca scientifica in un corso di discipline storiche, critiche e analitiche (e già l’ordine logico delle competenze è sbagliato; semmai storiche, analitiche e critiche; ancor meglio: storico-analitiche e critico-estetiche …)? Ma, risalendo la china della questione: a cosa serve un’ulteriore specializzazione accademica avulsa da congruenti e propedeutici impianti didattici e metodologici generalisti? Per di più quando oggi, poniamo, un clarinettista che voglia usufruire di un impianto formativo versatile (a non dire eclettico) dovrebbe stazionare in Conservatorio tra un decennio ed un quindicennio in ben tre cicli di: 3+2 di Clarinetto, 3+2 di Clarinetto storico, 3+2 di Clarinetto Jazz – senza contare gli anni della propedeuticità! Poi se legittimamente volesse studiare Composizione e direzione di orchestra a fiati (l’ex-gloriosa Strumentazione per banda), con l’altro 3+2 si potrebbe arrivare, secondo l’elasticità dei docenti di turno, anche ad un ventennio!

Per di più, al proposito, non appare tragicomico al confronto che proprio nel suddetto conservatorio messinese, e già ab initio dell’accademico 3+2 (dapprima sperimentale, poi ordinamentale), un qualsivoglia strumentista classico, anche il detto clarinettista, svolge un completo curricolo obbligatorio di cinque annualità in discipline teorico-analitico-compositive tra triennio e biennio? Ossia:

1a) Teoria e tecniche dell’armonia (54 ore: un compiuto corso di Armonia analitica, tanto più efficace quanto più vengano rispettati i pre-requisiti di una licenza di liceo musicale o almeno di un ben svolto corso propedeutico di Armonia e analisi);

2a) Fondamenti di composizione (54 ore: un corso di Composizione analitica finalizzato alla teorico-analitica conoscenza applicativa delle cinque matrici di pensiero compositivo: dal rinascimentale al barocco, dal classico-illuminista al romantico e al modernistico-contemporaneo);

3a) Analisi dei repertori musicali (30 ore: disciplina svolta a piccoli gruppi formati per affinità strumentale e finalizzata per ciascun studente allo studio con tesi disciplinare d’esame di un’importante opera di repertorio: lavori da cui, non di rado, promanano approfondimenti culminanti in pregevoli tesi di laurea e in saggi pubblicati su riviste specialistiche o su miscellanee appositamente dedicate);

4a) Metodologia dell’analisi I (con la specifica: e fenomenologia dell’interpretazione; 20 ore: disciplina parzialmente monografica riferita al rapporto simbiotico tra scrittura compositiva e performance nelle differenti epoche e matrici linguistiche);

5a) Metodologia dell’analisi II (sempre con la specifica: e fenomenologia dell’interpretazione; 20 ore: approfondimento monografico su tre opere fondamentali e di varia matrice linguistica; ad esempio il Magnificat bachiano, la Nona Sinfonia Corale beethoveniana e la stravinskiana Sagra della primavera).

Anche considerando l’obbligatorietà di frequenza per i compositori nel triennio e la sostituzione nel biennio di altra disciplina biennale sempre di 20+20 ore (Analisi delle forme compositive I e II, con le rispettive specifiche di Teoria dello stile e di Analisi dello stile), non sembra più che lecito domandare a questo punto: cosa si potrà validamente fare di più se non di altrettanto nel suddetto “innovativo” diploma accademico ad impianto storico-critico-analitico, peraltro quando si parte così male?

Ma è soprattutto la questione del rapporto di propedeuticità tra impianti generalisti ed impianti specialistici ad essere falsato, per non dire distrutto, dalla sovrapposizione su problematiche squisitamente didattiche e pedagogiche, metodologiche e contenutistiche, di puri interessi di bottega  – spesso rappresentati da veri e propri gruppi lobbistici di pressione – che sta producendo, nella disattenzione generale dei fenomeni ben più gravi. Dall’apparente minuzia dello studente violinista di liceo musicale costretto a praticare la chitarra come secondo strumento invece che la tastiera pianistica, in quanto ben finalizzata alla formazione polifonico-armonica – avremo dunque una nuova tipologia di violinisti con l’archetto in mano e le unghie lunghe per la tecnica chitarristica fondamentalmente pizzicata?! Alla “trave nell’occhio” di grandi conservatori che vedono svuotarsi i loro bienni specialistici, perché gli studenti migliori usciti dal triennio, “avendo oramai mangiato la foglia”, preferiscono continuare i loro studi all’estero in contesti reputati (a torto o ragione, poco importa) più seri e meglio finalizzati …

Sbalordisce ancor più venire a sapere che in una di quelle istituzioni – da noi stessi oltre trent’anni fa presa a modello – gli unici docenti deputati a relatori di tesi di laurea siano i docenti strumentisti; una disposizione regolamentativa che si pone addirittura contro gli statuti originari dell’accademia musicale. Al proposito si confrontino ancora altri due Post, l’uno di Archivio, in costante aggiornamento:

Tesi di laurea

l’altro informativo e recentissimo:

Un prestigiosissimo riconoscimento: IL SAGGIO DI BIAGIO VITALE (ALLIEVO DI MARIO MUSUMECI) E’ L’UNICO VINCITORE PER L’AFAM DEL PREMIO DEL CONCORSO (INTER-)NAZIONALE “LEONARDO DA VINCI ” BANDITO DALLA CRUI

Difficile oramai trovare il bandolo della matassa se ci si affida proprio al mediocre punto di vista del nostrano strumentista quando è al meglio versato solo nel proprio egotico attivismo concertistico, secondo cui lo studente “deve solo suonare, suonare, suonare …”; nella fascinazione esclusiva dei modelli e degli status symbol imposti dallo star-system. E del tutto a discapito di una bene integrata formazione culturale di corretto respiro pluridisciplinare, di curricoli specificamente finalizzati a preparare musicisti formativamente e culturalmente completi, piuttosto che digitatori abili e versati solo a smanettare sul proprio strumento musicale.

Aveva dunque profondamente ragione Lorenz Christoph Mizler quando nello statuto della Correspondierende Societät der Musikalischen Wissenschaften, società da lui fondata cui aderirono tra gli altri i grandi Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel, Johann Mattheson … , vietava l’accesso ai musicisti pratici (quelli esclusivamente strumentisti, a fronte degli anzidetti “musicisti theorici”): seccamente stabilendo che costoro “non sono assolutamente in grado di fare alcunché di utile per le sorti e per il futuro della scienza musicale” (sic!)?

Insomma, sia il fatto in epigrafe che le (pur sbrigativamente) illustrate contraddizioni di sistema sono chiaramente le risultanze di una riforma sempre più male interpretata ed applicata (se non tradita); sono la negativa conseguenza del deterioramento progressivo dell’originaria ed intenzionale qualificazione riformistica pluridisciplinare dei nostri impianti didattici; che, insomma detta alla breve, con la fondativa legge del 1999 superavano il concetto diminutivo di disciplina complementare a favore delle ben più articolate ed integrate nozioni di discipline di base, caratterizzanti, integrative, affini. Differenziazioni adesso agite, sempre più formalisticamente, per volgari calcoli di bottega personale e/o lobbistica.

Era allora evidente ai più coinvolti ed avvertiti addetti ai lavori come l’intenzione originaria (generosa o velleitaria che fosse) di superare la banale dicotomia tra insegnamenti principali e insegnamenti complementari fosse strettamente connessa al propugnato riequilibrio tra le diverse ma tutte necessarie qualificazioni della musicalità, superando gli estremi tuttora persistenti sia di una manualità puramente tecnicistica (che spesso rende il musicista classico simile ad una brava scimmietta di meccaniche ludico-gestuali del tutto deprivate di competenze ermeneutiche ed implicatamente analitico-testuali), sia di una culturalizzazione nozionistica e prevalentemente parolaia (quale è spesso quella prodotta in vari nostrani contesti universitari definiti “musicologici”; dove la pluridisciplinarietà musicale, seppure posta a legittimo fondamento umanistico, arriva ad attuarsi anche del tutto a prescindere proprio dell’intelligenza musicale).

Chi scrive è oramai alle soglie di una meritata pensione, ma lo è – ed è già un guaio se tanti, troppi colleghi del settore disciplinare non ne sappiano niente – da decano proprio di quella sperimentazione ultraventennale che dalla fine degli anni ottanta lo portò da primo protagonista (ma certo non da solo, tra i meritevoli amici di quella impresa), a riforma in avvio e poi inoltrata, alle declaratorie di un settore tra i più atipici e assieme d’importanza strategica; di cui proprio la nozione analitica e assieme teorico-generale costituiscono il fondativo fulcro formativo. Ma quanti docenti dello stesso hanno saputo meritarsi, nell’ultimo ventennio, quello che è stato loro, da noi, servito in un “piatto d’argento”? Neppure è possibile credere alle velleità (che, ahimè, intravvediamo solo carrieristiche) di qualche docente universitario che “generosamente” si presterebbe alla nostra causa. Crederemo a queste categorie di docenti (per loro stabilizzata tradizione, antagoniste a quelle conservatoriali) solo quando si batteranno realmente per unificare ope legis i dipartimenti letterari (ex-)Dams e gli (ex-)Conservatori, magari assieme in concordia divenendo per l’occasione i futuribili Politecnici delle Arti. Purtroppo gli interessi in gioco e l’esperienza sul campo, anche quale docente universitario a contratto, fanno piuttosto propendere per un saggio ancorché cauto pessimismo sulla questione.

In definitiva la mancanza equilibrativa di un Cnam e il progressivo dequalificarsi delle visioni generali sulla stessa Afam e delle annesse bene integrate competenze in termini pluridisciplinari si sono sempre più poggiate su routine che vorrebbero solo restaurare il peggio del vecchio dequalificato sistema di formazione tecnico-professionale. Didatticamente parlando non si vede nulla all’orizzonte di meglio, e neppure lo si intravvede in prospettiva, rispetto quanto prodotto, in oltre 40 anni di duro ma appassionante lavoro, nella nostra istituzione messinese (ma certo vorremmo sperare, in questo perdurante e assordante silenzio informativo, anche da altre). Se non l’impegno e l’esperienza dei grandi Maestri che ci hanno preceduto e ai quali ci siamo costantemente prima ispirati, studiandoli in profondità e solo molto appresso personalizzando i loro insegnamenti; per poi “superarli”, ossia per approfondirli e magari adattarli alla inevitabile crescita delle conoscenze. Fino ad avere il piacere, ed il privilegio, di dedicare loro i nostri libri più recenti ed importanti; così saldando i nostri debiti conoscitivi nei loro confronti. Questo serve qui a descrivere solo le basi essenziali della nostra deontologia professionale, con coerenza sostenuta fino al nostro compimento di carriera.

Un fatto paradigmatico del mutare dei tempi e dei modelli educativi: quando trentacinque anni fa chi scrive si legò indissolubilmente al suo principale e mai rinnegato Maestro, Marco de Natale l’indiscutibile padre degli studi analitici in Italia e allora personalità di primissimo piano negli ambiti scientifico-didattici accademici e non, Lui era un collega della stessa disciplina con un’età (ed un’esperienza) di quasi trent’anni superiore. Eppure fu naturale riconoscere da subito la Sua superiorità e affidarsi al Suo magistero, quanto meno per “copiare” dal Suo operato e dalla Sua produzione scientifica quanto più potesse giovare. Dunque rapportandosi a quella personalità sempre con il dovuto rispetto, nonostante in molti gli attribuissero una caratterialità spigolosa e relazionalmente non facile, ma in realtà reattiva poiché semplicemente costretta a confrontarsi con fin troppe situazioni deontologiche e morali ( … diciamo) borderline. Oggi, trovandoci per esperienza ed età al suo posto, capita fin troppo spesso di rapportarsi con quegli stessi contesti e dunque con colleghi più giovani e con evidente meno esperienza; che però si esprimono con arroganza e presupponenza nei confronti di chi bene li ha preceduti. Un segno della decadenza dei tempi? Mah, meglio non andare oltre…

Per chiudere. Non ci resta che augurare una buona riuscita ai promotori dell’iniziativa da cui abbiamo preso spunto per affrontare una questione per noi ben più ampia. Auguri dunque, e lo affermiamo sinceramente, per questa loro battaglia! Ma noi, a Messina, la nostra guerra (sicuramente propedeutica a questa battaglia) l’abbiamo già vinta sia a suo tempo sia nell’oggi, al chiudersi positivo della nostra esperienza lavorativa: nobilitando proprio questo settore disciplinare, altrove mal sostenuto se non vilipeso  e comunque inadeguatamente considerato. E pertanto la vediamo dura se – ad un suo tempo pur successivo – tanti dei nostri colleghi, pure quelli con apprezzabili consapevolezze e adesso con ancor più apprezzabili intenti, non se ne sono neppure accorti.

La vediamo veramente molto dura, proprio per quelli che vogliono sostituirci senza neppure possedere la corretta volontà e la giusta umiltà di ben conoscerci.

MM/M&M (6 agosto 2020)

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