Forum III sulla “Valorizzazione dell’Afam”

AVVISO

La questione dell’equipollenza tra titoli del nuovo e vecchio ordinamento dell’Afam e la loro relazione di equipollenza con i titoli universitari si è finalmente conclusa sul piano normativo con l’emanazione del Decreto Ministeriale n. 331 del 14/10/2019, attuativo del comma 107 della Legge 228 del 24 dicembre 2012 – che va letto, a non dare adito ad equivoci, in integrazione ai commi 103 e 102. Pertanto adesso la questione si sposta da quello normativo a quello giurisdizionale (ossia i tribunali dove ciascuno può fare valere, se crede, i propri diritti), data una certa resistenza di ambienti burocratici a dare corretta attuazione a tale delicata materia. Quindi bisognerà riferirsi a casistiche molto recenti e abbastanza particolari, come il riconoscimento dei titoli Afam ai fini del riscatto contributivo (pensionistico) oppure ai fini dell’inserimento comparativo nelle graduatorie d’istituto di diversa fascia – per citare la casistica attuale più dibattuta … Converrà pertanto trasferire il nuovo know how informativo sul recentissimo e ben più aggiornato Post:

https://musicaemusicologia.wordpress.com/2020/02/08/il-riscatto-dei-diplomi-afam-di-vecchio-ordinamento-luci-del-presente-e-ombre-del-passato/

Pur nondimeno si lasciano qui di seguito, a mo’ di storica documentazione, i riferimenti ad un difficile dibattito protrattosi per quasi un ventennio.

 

Dibattito storico sull’equipollenza tra titoli dell’Afam e titoli universitari, e titoli dell’Afam di previgente e vigente ordinamento.

Di seguito dispongo nell’ordine in costante aggiornamento (cfr. data nel titolo), dal più recente al meno, i materiali di approfondimento ricavabili da mail e commenti e dalle relative risposte degli interessati al dibattito – che per il suo carattere di “mina vagante” rispetto le fondamenta dello stesso sistema dell’Afam-Conservatori- dovrebbe meglio essere attenzionato da tutta la popolazione dei nostri conservatori e anche dalle rispettive famiglie.

Pregherei pertanto tutti gli interessati di esporsi, anche eventualmente richiedendo l’anonimato, tramite commenti sul sito piuttosto che con mail rivolte allo scrivente, per il miglior impianto comunicativo. Sarà mio compito, in quanto amministratore, di “depurare” quanto mi perviene per renderlo accettabile ed utile all’interno del dibattito. Le mail di interesse non specificamente utile al Forum saranno pubblicate tra i commenti, assieme alle relative risposte.

Spero che fin dall’inizio si capisca come le questioni in ballo vadano trattate con estrema sensibilità ed intelligenza da entrambe le parti, contrarie o favorevoli, magari alla ricerca di una mediazione, di un punto di vista comune.

(N. B.: i commenti con le relative risposte, se di interesse generale, dopo un ragionevole lasso di tempo vengono trasformati in interventi e allineati nel Forum nell’ordine riferito. Pertanto successivamente verranno eliminati come commenti, per non rendere inutilmente sovrabbondante la pagina)

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28° intervento – Equipollenza di diplomi accademici e universitari: le competenze del Cun. Ossia: Chi la fa l’aspetti

osservazioni di Mario Musumeci a margine di una

Mozione CUN 27-02-2013 su titoli Afam

O anche: Prima o poi i nodi vengono al pettine.

Sono due delle tante massime di saggezza che agli odierni politicanti – e ai sindacalisti che si espongono sempre più come politicanti – sembrano sconosciute. Indubbiamente per la loro demagogica arroganza e la conseguente presupponenza d’impunità. E vediamo tutti i giorni il risultato che tale grave patologia del costume nazionale produce nella nostra povera Italia. Tanto nelle cose grandi quanto nelle … “piccole” (almeno rispetto la gravità dell’attuale situazione economico-finanziaria). Come appunto la seguente.

Con un’apposita Mozione del 27-02-2013, inviata al Ministro di competenza, il Consiglio universitario nazionale si è espresso, e pure con una insolita durezza, a proposito dell’attuazione delle recenti norme riguardanti la cd. Valorizzazione dell’Afam, prima inserite in apposito disegno di legge e poi stralciate, inserite ed entrate in vigore nella Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (cosiddetta “Legge di stabilità 2013”), ai c.c. 102-103-104-105-106-107.

Cosa vi risulta di tanto eclatante  da dover essere subito rimbrottato da parte dei più rappresentativi sindacalisti di settore? Che l’attuazione regolamentativa dell’equipollenza a specifici diplomi universitari di laurea dei diversi titoli di studio accademici del sistema dell’Afam deve essere, di necessità e di diritto, controllata da uno specifico organo tecnico tramite un'”attenta vigilanza sul contenuto dei percorsi formativi” e nella “definizione delle tabelle previste ai c.c. 106 e 107” della suddetta legge.

Ad essere più precisi già secondo i vigenti c.c. 101 e 102 “ (…) i diplomi accademici di primo livello rilasciati dalle istituzioni facenti parte del sistema dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale  (…) sono equipollenti ai titoli di laurea rilasciati dalle università appartenenti alla classe L-3 dei corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda (…)”. E, ancora: “(…) i diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102 [N.d.R.: le istituzioni dell’Afam] sono equipollenti ai titoli di laurea magistrale rilasciati dalle università appartenenti alle seguenti classi dei corsi di laurea magistrale (…): (…)b) Classe LM-45 (Musicologia e beni musicali) per i diplomi rilasciati dai Conservatori di musica, (…) e dagli Istituti musicali pareggiati.” Dunque la faccenda non potrebbe più riguardare i nuovi diplomi accademici di nuovo ordinamento di I e II livello: oramai, secondo diritto vigente, resi equipollenti alle richiamate lauree.

Si tratta invece dei diplomi accademici di vecchio ordinamento (c. 107), oramai ad esaurimento anche se in una eccessivamente dilatata fase transitoria. Nonché di quelli sperimentali di transizione al nuovo ordinamento (c.c. 105 e 106). Infatti il successivo c. 105 recita: “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le istituzioni …[N.d.R.: le istituzioni dell’Afam] concludono la procedura di messa a ordinamento di tutti i corsi accademici di secondo livello”.

Ecco prodursi allora domande che esigono una risposta precisa per una utenza sempre più disorientata. I diplomi accademici di II livello, fin’ora comunque rilasciati da Conservatori e Istituti musicali pareggiati, avrebbero una connotazione sperimentale e sarebbero dunque da riconoscere al fine specifico dell’equipollenza con una specifica messa a ordinamento? Ma chi ha conseguito tali titoli non trova scritto da nessuna parte che essi siano “sperimentali”! Oppure si tratta solo di alcune tipologie? E quali sarebbero allora queste tipologie? Oppure si tratta di due norme – quelle dei c.c. 103 e 105 – che esprimono una voluta ambiguità iniziale: per accontentare in sede politica di approvazione della legge, e in prossimità del rinnovo elettorale, i propri contrapposti referenti elettorali? Il che rivelerebbe ulteriormente, se mai ve ne fosse bisogno, la qualità miseranda della nostra oramai trascorsa (ma forse non del tutto) classe politica.

Comunque tale “organo tecnico per il sistema Afam” adesso è chiesto dal Cun al Ministro in ricostituzione, e dunque sostituzione, rispetto una precedente Commissione congiunta Cnam-Cun. E anzi in assenza del rinnovo del Cnam – considerato pertanto dal Cun come “soppresso di fatto” (forse sbrigativamente, dato che l’organo istituzionalizzato per legge rimane in carica, e sempre per legge, fino al rinnovo elettivo dello stesso) – tale commissione viene addirittura riproposta dal Cun stesso, e al fine di un ufficiale riconoscimento ministeriale, nella forma di un Tavolo tecnico di consultazione permanente integrato da esperti dell’Afam.

Cosa che ci apparirebbe ovvia e sacrosanta, data la concorrenza di titoli predisposti in analogia, e dunque in equipollenza, ma permanendo nella separazione dei due sistemi accademici nazionali (appunto: l’universitario e l’Afam). Se appunto non fosse che l’attuale posizione di debolezza politico-culturale ed economico-finanziaria dell’Afam rispetto le corrispondenti facoltà universitarie, e l’università tutta che le sorregge, non disponesse un certo notevole vantaggio rispetto l’inevitabile concorrenzialità dei due sistemi formativi: qualcuno, proveniente dall’Afam controlla forse quello che succede nelle attività didattiche dei corrispondenti corsi universitari? Sarebbe opportuno semmai affidarsi a seri controlli di organi posti al di sopra delle parti e dunque “insospettabili” rispetto l’inevitabile conflitto d’interessi in gioco. Ma è cosa possibile da attuarsi? O è semmai cosa preferenzialmente  futuribile, seppure attualmente reputata utopistica, una unificazione istituzionale forzata ed immediata dei due ambiti di formazione accademica?

Va detto che tali richieste del Cun vengono già tutte espresse “con forza al Sig. Ministro” [corsivo del redattore]; a sottolineare le prerogative dell’organo rappresentativo. E chi potrebbe dubitare che la corporazione universitaria, nel bene e nel male, trovi adeguato ascolto nelle stanze del potere statale? Ricordiamo peraltro il controverso dettato della principale norma ancora in attuazione, al c. 107 della suddetta legge: “I diplomi finali rilasciati (…) al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, (…) congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”. A tale proposito il Cun afferma che “il riconoscimento delle eventuali equipollenze non potrà che essere deciso, caso per caso, con parere di organi tecnici, sulla base di un puntuale esame del percorso formativo per il quale l’equipollenza è richiesta” [corsivo del redattore]. Opinione tutt’altro che peregrina, peraltro nell’assoluta (e voluta?) assenza di qualificanti e diffuse competenze tecniche di adeguato livello presso l’attuale dirigenza ministeriale.

Ora si può constatare facilmente che i sopra previsti tre mesi sono in scadenza nell’oramai prossimo 24 marzo e non risulta alcuna traccia di interventi ministeriali al proposito. Mentre nel frattempo tante parole sono state e continuano ad essere sprecate al proposito da e presso gli addetti ai lavori al proposito della supposta equiparazione dei diplomi del vecchio ordinamento all’intero corso accademico del 3+2. Mentre chi scrive aveva già semplicemente affermato che questo mai sarebbe  accaduto, ed esattamente in tale maniera politicamente diffusa nel nostro paese: rimandare per non fare. Però in tale specifico caso anche per fattori intrinseci alla qualità addirittura abnorme di quanto si presupponeva dovesse accadere. Difatti proprio su questo forum sono diversi gli articoli che ne hanno ampiamente discusso: gli interessati, se vogliono, vi troveranno ampia materia di approfondimento, e certo mai banalizzante l’ordine dei relativi problemi, come viceversa volgarmente si esprime la qualità delle discussioni altrove più ricorrenti.

In definitiva: al momento l’unica cosa certa è che i diplomi accademici conservatoriali di I e di II livello sono riconosciuti equipollenti alle lauree dams e musicologiche rispettivamente di I e di II livello. Fatta salva la riserva per quei titoli che ancora andrebbero inquadrati come sperimentali (ma quali?). Mentre per i diplomi di vecchio ordinamento già a suo tempo riconosciuti, almeno per la relativa derivazione dei trienni accademici, come equiparati a laurea di I livello, tale equipollenza sarebbe indiretta e forse, sotto un profilo di attuale legittimità, perfino discutibile finché l’applicazione della suddetta norma non trova finalmente uno sbocco chiaro e ragionevole.

Figuriamoci della presupposta equiparazione al vecchio e superato diploma tradizionale dell’intero corso accademico del 3+2. L’università darà battaglia. E non è che le manchino le buone ragioni. Lungi da chi scrive innanzitutto il voler arrivare ad affermare che la corporazione universitaria sia da porsi, per anelito di equità comportamentale, per qualità professionale e per generale buoncostume, al di sopra di quella espressa dalla più recente (e incompiuta) accademizzazione dell’Afam. Anzi, quando il potere accademico (e il potere tout court) vegeta indisturbato nella certezza della propria autoconservazione, risulta oramai cosa certa che ivi prosperano gli abusi più abnormi e le più gravi ingiustizie. La questione semmai è un’altra: là dove più poteri, espressioni dirette di competenze a vario titolo espresse, trovino spazi istituzionali di relazione più o meno diretta si può presumere che l’uno agisca come crede, addirittura indisturbato dall’altro? E perfino quando mette in discussione legittimi principi del sistema stesso, su cui tali poteri si fondano!

Solo degli ingenui incompetenti o dei furbi cointeressati, o peggio degli imbecilli irresponsabili, potrebbero affermare che questo sia strano che possa accadere. E purtroppo tali categorie vegetano e prosperano un pò dovunque in Italia, anche all’interno delle nostre istituzioni conservatoriali. E talvolta – ahimè – sono quelli che più alta riescono ad alzare la voce per farsi sentire …

Chi troppo vuole nulla stringe e Chi si contenta gode dovrebbero allora essere gli altri due spunti di saggezza popolare da indirizzare a lorsignori, se le cose permangono nello stato attuale. Come chiudere allora se non anche ribadendo quanto espresso in epigrafe e all’origine di questo intervento, anche con gli altri due iniziali proverbi popolari!

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27° intervento – Il Bel Paese cultore di burle e burlette

risposta di Mario Musumeci al precedente intervento

Gentilissima lettrice,
finalmente trovo un interlocutore, anzi un’interlocutrice che esprime con la massima chiarezza e saggezza, ma con un suo specifico punto di vista, il mio stesso disagio.

Pur non di meno credo, in definitiva, che – a parte la peculiare situazione delle Accademie di Belle Arti, che si muovono partendo da una ben diversa situazione normativo-istituzionale – di quanto previsto nell’articolo in questione se ne farà ben poco. Almeno in ultima istanza: non dimentichiamo la gran quantità di norme giudicate incostituzionali e finite nel nulla, e ciononostante continuate a produrre nelle ultime legislature; probabilmente tra le più dequalificanti della capacità produttiva parlamentare dell’intera storia dell’Italia repubblicana.

E inoltre proprio la dizione “incerta” dell’articolo stesso – che demanda altrui … attivismi realizzativi … :-) – sembrerebbe il solito barocco modo di esprimersi normativo per affermare tutto e il contrario di tutto …

Se la cosa in sè non fosse maledettamente seria (penso non a me ma al futuro dei miei studenti), ci sarebbe perfino da scompisciarsi … davanti ai proclami altisonanti di certi soloni del sindacato e della politica.
Ma tant’è: all’estero siamo spesso inquadrati come il Bel Paese dove tutto può finire da un momento all’altro in burletta. Anche se talvolta si tratta di tragiche … burlette (!).

Per il resto devo dirle che trovo estremamente sacrosanto quello che lei mi scrive. Avessero tanti altri – tra i musicisti e i non-musicisti – questa stessa chiarezza e lucidità intellettuale …

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26° intervento – Ritardi e mortificazioni …

di Sarah (3 gennaio 2013 alle 18:31)

Gentilissimo,
sono perfettamente d’accordo con lei. Ho trovato che le norme ‘pro AFAM’ inserite nella Legge di Stabilità fossero una sorta di riedizione (ahimè, poco avveduta e molto scorretta) della l. 508/99. Con l’aggravante di voler fornire – con un ritardo più che decennale – indicazioni legislative che piombano sull’istituzione “conservatorio” in maniera destabilizzante, creando nuove confusioni e malcontenti. Per non parlare, poi, delle prospettive sempre meno rassicuranti che si profilano nella definizione dei titoli richiesti per le nuove classi di concorso per l’insegnamento della musica a scuola.
Se pure era necessario, come da lei giustamente affermato, avviare una regolamentazione più stringente per quanto riguarda il “nuovo” ordinamento del conservatorio, tutto ciò doveva essere fatto in tempi utili e con un processo sicuramente più snello. Probabilmente però si è trattato di lungaggini studiate a bella posta, per non disturbare prassi ormai consolidate o, più semplicemente, per evitare di assumere responsabilità decisionali vere.
A proposito del punto 107, credo che le motivazioni stesse accampate dai sostenitori della norma fossero incredibili. “Il diploma (quinquennale, settennale, decennale etc.) è stato finora il massimo titolo disponibile per la musica ergo è necessario equipararlo ai diplomi di II livello, così come è stato fatto per i diplomi di laurea ante Bologna Process”, si diceva da più parti. Ma il massimo titolo disponibile in università è il dottorato di ricerca e, una volta che esso è stato introdotto nel sistema italiano (1990, se non sbaglio), certamente non si è provveduto ad addottorare de iure i tanti laureati italiani. Francamente non riesco a capire la refrattarietà di una parte del corpo docente e dei diplomati in conservatorio nei confronti di una preparazione che approfondisca ulteriormente repertori, teorie e tecniche (salvo poi frequentare corsi di perfezionamento a destra e a manca). Un po’ come se il sudatissimo – per carità, nessuno lo mette in dubbio! – percorso del vecchio ordinamento esaurisse tutto lo scibile musicale immaginabile, come se non ci fosse null’altro da imparare se non i programmi – ricordiamolo – stilati durante il Ventennio, che riducevano la preparazione di un musicista a un sapere di tipo fondamentalmente pratico e manuale.
Insomma, ancora una volta, questo Paese ha prodotto nuovi ‘dottori’: si amplia la platea di coloro che posseggono un titolo, ma diminuiscono i posti di lavoro disponibili per quel titolo. Si toglie la musica dalle scuole (perché la tanto agognata nascita dei licei musicali non ha portato alla diffusione del sapere musicale nelle scuole di ogni ordine e grado) e si chiudono (o si riducono all’osso) orchestre, teatri, stagioni concertistiche/ liriche. Si costruisce la cima dell’edificio, lasciando andare in rovina le fondamenta: senza una adeguata e capillare preparazione di base (anche storico-critica) non avrà più senso di esistere alcuna istituzione di alta cultura che si occupi di musica. Come non avranno senso le suddette orchestre, teatri, stagioni etc, con buona pace dell’articolo 9 della Costituzione. E tutto ciò è davvero mortificante.

S.M.I.

25° intervento – Approvate le norme “pro Afam” inserite nella Finanziaria: vediamo di che si tratta (commento)

di Mario Musumeci

All’interno della cd. Legge Finanziaria di stabilità sono state approvate e sono entrate in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale le norme riguardanti il settore dell’Afam. Vediamo di cosa realmente si tratta, al di là del sentito dire e dei tanti promettenti boatos (rumori che sollecitano un qualche importante annunzio: chicche, pettegolezzi, voci di corridoio, notizie che – in sostanza – echeggiano come boati …) variamente messi  in circolazione.

Effettuata un’attenta e … competente lettura – con pertinenti testi giuridici alla mano – l’espressione certamente non tecnica ma ancor più pertinente sul versante pratico sarebbe: “La montagna ha partorito il topolino”. Così insomma vien difatti subito da pensare, ma oramai con un misto di indifferenza e di fastidio per il misero contenuto delle norme in questione, rispetto le ben altre giuste aspettative del settore.

Equipollenza dei diplomi accademici riformati dell’Afam ai corrispondenti diplomi universitari del Dams

Ai punti 102 e 103 si stabilisce l’equipollenza dei diplomi accademici riformati dell’Afam ai corrispondenti diplomi universitari del Dams, Corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda (Facoltà di Lettere), “al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego”.

Per far comprendere ai meno informati il “grande” passo avanti compiuto basti confrontare il pressoché identico dettato della ancora vigente legge di Riforma del settore del 21 dicembre 1999, n.508 (Art. 2, c. 5): “Le predette istituzioni rilasciano specifici diplomi accademici di primo e secondo livello, nonché di perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca in campo artistico e musicale. (…). Con decreto (…) sono dichiarate le equipollenze tra i titoli di studio rilasciati ai sensi della presente legge e i titoli di studio universitari al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego (…).”

Come può definirsi un Parlamento che rivota dopo 13 anni norme di legge ancora vigenti, ricollocandole tali e quali in un nuovo testo di legge, salvo una specifica previsione (equipollenza alle lauree Dams) che doveva, secondo diritto vigente, e poteva adottarsi con un semplice decreto ministeriale?

Ammissione a dottorati e specializzazioni universitarie per i diplomati accademici Afam di II livello

E in tal senso potrebbe anche intendersi, al punto 104, la previsione  dell’ammissione a dottorati e specializzazioni universitarie per i diplomati accademici Afam di II livello.

Anche questo era possibile prevederlo in base all’ormai vecchia Legge di Riforma del 1999, tramite le previste apposite convenzioni (Art. 2, c. 8, lettere (h) e (i)): “I regolamenti di cui al comma 7 sono emanati sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: (…) h) facoltà di convenzionamento, nei limiti delle risorse attribuite a ciascuna istituzione, con istituzioni universitarie per lo svolgimento di attività formative finalizzate al rilascio di titoli universitari da parte degli atenei e di diplomi accademici da parte delle istituzioni di cui all’articolo 1; i) facoltà di costituire, sulla base della contiguità territoriale, nonché della complementarietà e integrazione dell’offerta formativa, Politecnici delle arti, nei quali possono confluire le istituzioni di cui all’articolo 1 nonché strutture delle università. (…).

E in effetti sono da segnalare i numerosi casi di docenza a contratto di professori provenienti dal Conservatorio nelle oramai trascorse decennali Scuole di Specializzazione universitaria post-laurea per la formazione dei docenti nella scuola secondaria alla quale afferivano e frequentavano assieme tanto studenti provenienti dai Conservatori quanto studenti del Dams. E anche l’attuale sussistenza di protocolli collaborativi tra Università e Conservatorio (Milano, Bologna, Palermo …).

Va peraltro sottolineato che l’ammissione degli studenti non è automatica ma pur sempre legata alle necessità di un “politico” budget minimo – e non solo massimo – di frequenze; nonché, nei casi migliori, all’intelligenza collaborativa delle sedi Afam e universitarie messe tra loro a confronto nello specifico; e dunque ai docenti che concretamente rappresentano i due versanti accademici in tale volontà collaborativa.

Finalità dell’equipollenza

La finalità dell’equipollenza certo supererebbe, in teoria, ogni ambiguità legata alle diversità interpretative fin’ora elaborate in sede di burocrazia statale circa il valore della “laurea” musicale e artistica in genere. Ma sempre più o meno ricondotte nel giusto alveo interpretativo dalla giurisprudenza e dalle interpretazioni gerarchiche; che, alla luce della L. 1999/270, di buona norma hanno equiparato diploma accademico e diploma universitario.

Insomma: meglio che niente, al proposito, anche se questa minima distanza col “niente” poteva tranquillamente affidarsi a un decreto ministeriale, per il chiaro dettato al proposito della sopra citata Legge di Riforma dell’Afam. In definitiva è stata ed è una certa inefficiente burocrazia che ha prodotto e produce i problemi e non è detto, allora, che persistendo nella sua presenza, non continui a produrne di nuovi.

Un solo generico esempio: diversamente da quanto si sente incautamente affermare in qualche ambito sindacale, del riconoscimento Inpdap a fini di riscatto dell’“effettivo” – adesso sì, finalmente! – titolo di laurea (negato, contra iurisprudentiam, da qualche zelante burocrate ai vecchi diplomi accademici) non se ne potrà far nulla; perchè nel frattempo l’attuale governo ha abolito le pensioni di anzianità e prolungato sine die – nell’attuale clima di incertezza del diritto e di emergenziale sospensione dei diritti acquisiti – il mantenimento in servizio ai fini della pensione di vecchiaia; a tutto (presunto) vantaggio delle finanze dello stato ma non delle nuove leve di docenti.

La questione della messa ad ordinamento

Il disposto dei punti 105 e 106 ha il vago sapore dell’”aria fritta”. Cosa vorrebbe dire l’espressione: “Entro dodici mesi (…) le istituzioni (…) concludono la procedura di messa a ordinamento di tutti i corsi accademici di secondo livello”? Non sono già messi ad ordinamento i titoli di studio appositamente già predisposti dagli organi ministeriali competenti, a ciò preposti per delega di legge?

E, ancora: che “i titoli sperimentali conseguiti al termine di percorsi validati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca” siano di per sé equiparati ai diplomi accademici – che si intendeva sperimentare appunto tramite essi stessi – non era di per sé implicato nella validazione effettuata dal ministero; già abilitato ad occuparsene tramite decretazione appunto ministeriale, ai sensi dall’apposita legge-delega del 1999?

E non appare alquanto ridicolo che si debba ancora emanare un’apposita altra norma di legge al proposito? E se gli stessi uffici ministeriali non hanno provveduto entro la appena trascorsa dozzina di anni perchè dovrebbero provvedere entro una dozzina di mesi?

Vecchi e nuovi diplomi accademici

E veniamo, nel punto 107, a quello che per la maggior parte della platea degli interessati è il “dunque”, la reputata “ciliegina sulla torta”. Recita il testo al punto 107: “I diplomi finali rilasciati (…) al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, (…) congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

Si consideri la solita tiritera dell’”entro tre mesi …”, che anche uno sprovveduto dovrebbe oramai intendere come una volontà politica di non decidere ma di demandare ad altri la decisione. E proprio a chi fino ad ora nulla ha deciso, pur nella vigenza di uno specifico dettato normativo (Art. 4, c. 1): “I diplomi conseguiti (…) anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge mantengono la loro validità ai fini dell’accesso all’insegnamento e ai corsi di specializzazione. Al quale seguiva (c. 3): “Per i diplomati (…) che ne facciano richiesta entro il termine di tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, purché in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado, sono istituiti appositi corsi integrativi della durata minima di un anno, al fine del conseguimento dei diplomi accademici (…)”.

Cosa significa? Che la vecchia legge di riforma aveva già statuito l’equiparazione tra i vecchi diplomi e i nuovi, senza però specificare quali, se di primo oppure se di primo e di secondo livello assieme.

Va indagato cosa è successo in questi tredici anni, per una certa inadeguatezza dei complessivi curricoli culturali previsti rispetto una più compiuta formazione del musicista; tradizionalmente demandata alla buona volontà dei singoli oppure al conseguimento di due o più diplomi per la formazione pluridisciplinare di una più articolata musicalità, rispetto quella prevalentemente tecnico-esecutiva, esercitata sullo strumento. Insomma è accaduto che l’interpretazione accreditata per i Conservatori – ma non anche per le Accademie di BB. AA., già con titoli di durata quadriennale e con propedeutico liceo artistico – diventasse la seguente: istituire il diploma accademico triennale di primo livello sul modello dei corsi superiori del vecchio diploma – per lo più biennale, talvolta triennale, ma riferito a curricoli di studio tra il quinquennale ed il settennale (canto, strumenti a fiato …) e il decennale (pianoforte, archi, composizione …).

Secondo una tradizione sette-ottocentesca che attribuiva tempi e valori formativi a vetusti parametri di esclusiva natura anatomico-fisiologica ma non anche mentale ed intellettuale: i cantanti, ad esempio, iniziavano lo studio dell’impostazione lirica in fase post-adolescenziale, all’inizio della piena maturità fisica, non di rado senza una preventiva e più precoce formazione musicale. Inutile dire come, al di là del giusto vanto delle tante eccellenze del nostro Paese nel campo artistico, tutto questo abbia comportato non pochi ritardi nella media delle compiute formazioni curricolari rispetto le più avvantaggiate situazioni di altri Paesi europei.

Incertezze istituzionali e contraddizioni normative

Così si è provveduto – anche sulla scorta di varie sperimentazioni disciplinari che avevano nel frattempo innovato vari settori della formazione specialistica – a rimpolpare notevolmente l’impianto disciplinare e nel contempo ad avviare una sperimentazione nazionale del triennio sulla base di parametri forniti da istituzioni-pilota. Questo processo, che dura da almeno un decennio, ha portato così alla compiuta istituzionalizzazione del triennio accademico.

Simultaneamente si era proceduto con i bienni, ma commettendo un errore fondamentale: avviare i bienni senza predisporre a monte i curricula rinnovati dei trienni. Anzi alcune istituzioni lo hanno fatto, altre hanno preferito non rischiare, rimanendo sul vecchio modello di diploma, cui aggiungere il biennio più o meno sul modello dei vari corsi di perfezionamento strumentale privatamente gestiti un po’ dappertutto e nella qualità autoreferenziale più discordante che si possa immaginare.

Alcune istituzioni addirittura non hanno avviato né l’uno né l’altro e proprio da questi pulpiti, più di recente, si son levate più alte le voci contrarie alla riforma. O che comunque hanno mobilitato parlamentari nel portare avanti norme destabilizzanti come quella in questione. E tenendo conto di una certa assurdità della situazione istituzionale corrente. Infatti, diversamente che per la concomitante riforma universitaria dove il 3+2 è stato avviato abbandonando contemporaneamente il vecchio sistema, nelle istituzioni dell’Afam si sono mantenuti fino ad oggi anche i vecchi diplomi.

In un processo di evoluzione transitoria che si sta espandendo ad occupare un ventennio circa! Sia per la precedente fase decennale di sperimentazione del triennio, sia per la scelta scellerata di procedere ad esaurimento non solo per i compimenti superiori dei diplomi ma per la loro intera durata (anche decennale), consentendo per di più varie finestre al privatismo selvaggio: uno scandalo a cielo aperto, in troppi  casi, in cui le tante connivenze politiche hanno sempre evitato che la magistratura riuscisse mai a metterci il naso …

In questo ventennio in definitiva si stanno continuando a produrre nuovi e vecchi diplomi; questi presuntamente superati dai primi, proprio per le scelte effettuate nel loro avvio sperimentale. Ma pur sempre tra loro equiparati. E adesso come se non bastasse, si sta procedendo ad equiparare i vecchi diplomi al compiuto curriculum accademico del 3+2.

Ma che razza di logica (formale e matematica) è quella secondo cui può accadere che si abbia la seguente identità X:2+3=X:3? E cioè che il vecchio diploma (X) possa essere simultaneamente equipollente sia al diploma accademico di primo livello sia a entrambi i diplomi accademici di primo e secondo livello! Una norma che potrà incombere in un futuribile giudizio di incostituzionalità, ma che nel frattempo potrebbe aprire una stagione di caos nelle nostre istituzioni. E non se ne sentiva proprio il bisogno.

(Mario Musumeci – Articolo pubblicato su La Tecnica della Scuola n. 9 del 10 gennaio 2013)

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24° intervento – Siamo al “dunque” finalmente

Approvate con emendamenti in sede di Legge finanziaria alcune norme ex DDL 4822 – già DDL 1693

da fonte sindacale

Di seguito, in estratto dalla cd. Legge di stabilità, le norme riguardanti il settore dell’Afam:

102. Al fine di valorizzare il sistema dell’alta formazione artistica e musicale e favorire la crescita del Paese e al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso, i diplomi accademici di primo livello rilasciati dalle istituzioni facenti parte del sistema dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508, sono equipollenti ai titoli di laurea rilasciati dalle università appartenenti alla classe L-3 dei corsi di laurea nelle discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 6 luglio 2007.

103. Al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso, i diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102 sono equipollenti ai titoli di laurea magistrale rilasciati dalle università appartenenti alle seguenti classi dei corsi di laurea magistrale di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 155 del 9 luglio 2007:

  • a) Classe LM-12 (Design) per i diplomi rilasciati dagli Istituti superiori per le industrie artistiche, nonché dalle Accademie di belle arti nell’ambito della scuola di «Progettazione artistica per l’impresa», di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212;
  • b) Classe LM-45 (Musicologia e beni musicali) per i diplomi rilasciati dai Conservatori di musica, dall’Accademia nazionale di danza e dagli Istituti musicali pareggiati;
  • c) Classe LM-65 (Scienze dello spettacolo e produzione multimediale) per i diplomi rilasciati dall’Accademia nazionale di arte drammatica, nonché dalle Accademie di belle arti nell’ambito delle scuole di «Scenografia» e di «Nuove tecnologie dell’arte», di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212;
  • d) Classe LM-89 (Storia dell’arte) per i diplomi rilasciati dalle Accademie di belle arti nell’ambito di tutte le altre scuole di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212, ad eccezione di quelle citate alle lettere a) e c).

104. I diplomi accademici di secondo livello rilasciati dalle istituzioni di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508 costituiscono titolo di accesso ai concorsi di ammissione ai corsi o scuole di dottorato di ricerca o di specializzazione in ambito artistico, musicale, storico artistico o storico-musicale istituiti dalle università.

105. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le istituzioni di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 21 dicembre 1999, n. 508 concludono la procedura di messa a ordinamento di tutti i corsi accademici di secondo livello.

106. I titoli sperimentali conseguiti al termine di percorsi validati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nelle istituzioni di cui al comma 102, entro la data di cui al comma 105, sono equipollenti ai diplomi accademici di primo e di secondo livello, secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

107. I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell’entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

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23° intervento – Siamo al dunque “finalmente”?

risposta di Mario Musumeci al precedente intervento

[Inviato il 16/12/2012 alle 11:37 | In reply to Antoine]

Bisognerà per intanto attendere l’approvazione definitiva della legge nel testo emendato, anche se certamente l’iter si pone adesso quasi in dirittura di arrivo.

Sul piano strettamente personale proprio il sottoscritto potrebbe definirsi contento: adesso risulterà non solo plurititolato ma anche felicemente plurilaureato “di secondo livello”, sia nel diploma accademico esecutivo-strumentale sia nel diploma compositivo. Per cui quando il posteggiatore (italiano) mi appellerà “dottò” potrò magari fargli intendere che non solo lo sono di diritto ma anche in surplus. :- ))

Peccato che, diversamente da quanto ho sentito incautamente affermare in giro, del riconoscimento Inpdap a fini di riscatto – già a suo tempo da me richiesto e che mi farebbe addirittura entrare da pensionato per intero e con notevole vantaggio economico nel sistema retributivo (ex Legge Dini) – non me ne farò nulla: perchè nel frattempo l’attuale governo ha abolito le pensioni di anzianità e nel mio amato lavoro di musicista-musicologo ci invecchierò (per mia personale fortuna) allegramente, a tutto vantaggio delle finanze dello stato ma non delle nuove leve di docenti.

Per intanto, ancora da docente impegnato da sempre a tutto campo e non solo nell’ampliato territorio della formazione accademica, mi domando cosa ne sarà:

1. dei miei studenti di triennio; che al momento, finiti gli studi, per completare l’intero corso del vigente sistema accademico-universitario 3+2 dovranno iscriversi e completare il – tanto da lei vituperato – biennio; mentre ingiustamente passeranno davanti loro i colleghi che simultaneamente frequentano il corso di vecchio ordinamento, con impegni di studio meno consistenti dello stesso triennio; a cui al momento sono peraltro equiparati! Se fossi uno di loro, davanti a comportamenti legislativi così folli, manderei al diavolo i miei studi; oppure più positivamente avvierei, una volta diplomato e in solido con i miei colleghi coinvolti e con le loro famiglie, una causa giudiziaria sia per il risarcimento del danno subito sia soprattutto per addivenire al giudizio di illegittimità costituzionale di una norma tanto profondamente ingiusta; e se e quando questo dovesse accadere perfino gli attuali avvantaggiati potrebbero maledire chi li ha condotti in questa situazione;

2. dei miei tanti studenti di biennio a suo tempo diplomati nel tradizionale; che appunto “spendono soldi”, ma anche nella maggior parte dei casi molta fatica ed impegno personale per conseguire il titolo supplementare;

3. dei miei colleghi docenti di Istituto superiore degli studi musicali – come per Statuto nazionale e locale dovrebbe chiamarsi oramai il Conservatorio di musica riformato in senso accademico-universitario – che adesso, “finalmente” riconosciuti in possesso di un diploma avente “effettivo” valore di laurea, continueranno ad essere penalizzati con stipendi inadeguati al ruolo e all’impegno, che richiede inoltre ai più una vita da pendolari; e pure nel caso dei tantissimi precari – sembrerebbe: a vita – su cattedra disponibile, dato che, diversamente che per la scuola primaria e secondaria, non si è proceduto nè si sta procedendo anche per loro nè ai dovuti (per legge di riforma) concorsi di stabilizzazione nè alle tanto comunque attese immissioni in ruolo.

Per non dire delle contrazioni di cattedra consequenziali a questo probabile svuotamento di bienni e, fors’anche, di trienni; i quali tutti costituiscono comunque il futuro delle nostre istituzioni …

A fronte di tutto questo, lamentare il fatto che noi attuali docenti in possesso dei diplomi del vecchio ordinamento rilasciamo titoli superiori a quello da noi stessi posseduti mi sembra – me lo consenta – alquanto meschino: i colleghi docenti universitari che possiedono lauree quadriennali non mi pare si sentano deprivati di alcunchè dal momento che adesso rilasciano diplomi universitari di complessiva durata quinquennale; a non parlare di specializzazioni e dottorati … E il motivo sarebbe in fondo comune al nostro: è il complessivo curriculum didattico-professionale e di ricerca artistico-scientifica che attribuisce una compiuta qualità professionale e non certo il titolo di studio, che corrisponde solo al gradino di partenza! In definitiva per me costruire il futuro delle nostre istituzioni, collaborando alla qualificazione di nuovi titoli di studio che alla mia epoca non esistevano, costituisce un onore ed un merito e non certo qualcosa che – chissà come e perchè – dovrebbe penalizzarmi.

Una postilla infine.
Anche in quanto ex-delegato RSU-Unams, a suo tempo ho gioito quando alla categoria dei docenti Afam venne attribuito uno specifico comparto di contrattazione, prendendo io stesso per menagrami coloro che, in quanto appartenenti ad altre sigle sindacali, denunciavano il rischio di un’emarginazione politico-sindacale della categoria, posta così al di fuori della contrattazione collettiva nazionale del comparto scuola. Tale emarginazione è avvenuta e la categoria ha perduto almeno uno dei periodici avanzamenti contrattuali, nei quali ci si inseriva in passato all’interno dell’accomunante contratto collettivo nazionale; per di più con una qualifica originariamente (anni ottanta-novanta) equiparata a quella dei presidi di scuola secondaria. E chi allora ha sbagliato – non dico strategia … ma sicuramente – tattica politico-sindacale invece di ammettere il grave errore compiuto si sta apprestando a compierne degli altri …

Insomma, come la si voglia vedere, a me pare la solita vergogna tutta italiana di intendere il proprio particolare e momentaneo vantaggio come un vantaggio universale. Di cui già cominciamo a pagare, per altro verso, il prezzo nella disastrata situazione economico-finanziaria del Paese.
Niente di nuovo, dunque, almeno sotto questo cielo.

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22° intervento – Siamo al dunque finalmente!

di Antoine  doc.zoe@laposte.org

15 dicembre 2012: anche i diplomi del vecchio ordinamento sono stati equiparati alle lauree di 2° livello, con buona pace di chi si lamenta ritenendo di possedere una formazione superiore sol perché ha speso danaro per pagarsi i corsi sperimentali di 2° livello in conservatorio, tenuti, tra l’altro, da docenti in possesso del diploma del vecchio ordinamento:

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21° intervento – Il ben diverso punto di vista delle Accademie di Belle Arti

risposta di Mario Musumeci al precedente intervento

[Inviato il 15/09/2012 alle 14:33 | In reply to pimpa]

Lei non trae le conclusioni del suo discorso, in merito alle motivazioni per cui è nato questo Forum. E allora le trarrò io per lei.

La questione del riconoscimento del diploma quadriennale conclusivo degli studi delle Accademie di Belle Arti – e successivo al diploma secondario superiore (anche, anzi soprattutto, di liceo artistico e di scuola d’arte, istituti nel nostro Paese di antica tradizione, ben diversamente dal più recente liceo a indirizzo musicale) – è cosa che merita giustamente accoglimento sul piano normativo, a prescindere dalla qualità effettiva dei curricoli messi a confronto di vecchi e nuovi diplomi.
Forse che la quadriennalità dei vecchi corsi di diploma universitario (o “laurea” universitaria) delle facoltà di Lettere, Giurisprudenza, Scienze biologiche etc. non è stata equiparata all’intero cursus universitario del 3+2?

Tutt’altra è la problematica ben più complessa degli ex-Conservatori oggi Istituti Superiori degli Studi Musicali, ieri mantenuti come istituti atipici e comprensivi dell’intero cursus di studi, preparatorio ed accademico. La questione era riferita in quest’ambito a corsi di studio della durata più diversa, da quinquennale (Canto) a esaennale e settennale (Direzione di coro e Strumentazione per banda, vari Strumenti a Fiato …), a novennale (Arpa …) e decennale (Composizione, Direzione d’orchestra, Pianoforte, vari Strumenti ad arco …). Orbene, la legge di riforma non fu subito attuata, ma nell’attesa dei decreti attuativi si avviò la sperimentazione del 3+2, cioè di triennio e biennio accademici.
Ma mentre il biennio venne più o meno attuato da tutte le istituzioni, comportando comunque il vantaggio dell’incremento degli studenti paganti, per il triennio il ministero obbligò, dopo una prima breve fase sperimentale condotta da alcune istituzioni guida, ad adattarsi ad un modello generale secondo cui la trasformazione in corsi accademici dei vecchi corsi interessava solo, di ciascuno di questi, gli ultimi tre anni; e comunque non solo sul piano numerico degli anni necessari al conseguimento del diploma ma anche della qualità dei diversi curricoli. Dunque l’attuazione della riforma in ben oltre un decennio si è mossa all’interno di questo generalizzante impianto secondo cui i bienni acquistavano ab origine una valenza successiva rispetto i curricoli preesistenti!

Diverse istituzioni rimasero invece in attesa rispetto l’attuazione dei trienni, non avendo evidentemente una docenza complessivamente disposta ad innovare sia la qualità che la quantità dei curricoli tradizionali. Non mi pare un caso se, una volta istituzionalizzato il triennio, proprio da queste istituzioni si sono levate voci del tutto contraddittorie rispetto la precedente attuazione del dettato normativo. Alcuni direttori irresponsabili, cavalcando l’onda …, hanno spinto per inquadrare addirittura il triennio relazionandolo ai corsi medi dei diplomi decennali e interpretando dunque quello superiore come parallelo al nuovo biennio accademico. Insomma un gran “casino”, permesso purtroppo dalla generale “distrazione” che si manifesta su tali questioni nel nostro beneamato Paese e in particolare nella burocrazia ministeriale e ancor più nelle stanze della politica che ne governa i processi produttivi.

Insomma, vuoi per insipienza ed ignoranza vuoi per opportunismo e demagogia, la parola d’ordine è diventata nel frattempo “gli ultimi saranno i primi”, ma non certo nel senso evangelico originario, semmai nel senso che la qualità meritevole di chi aveva sperimentato portando all’istituzionalizzazione del triennio andava ad ogni costo misconosciuta, falsificata, perfino tradita – da parte di quei docenti che, triennio o non triennio permettendo, mai hanno pensato nel frattempo alla necessità di aggiornare la qualità del proprio lavoro e di adattarlo all’elevamento qualitativo promosso dagli indirizzi riformistici.

In tale prospettiva mi connetto, ma solo di passaggio e con una visione informativa probabilmente più limitata (ho però spesso discusso di tali questioni con un caro amico coltissimo e collaboratore come me alla Tecnica della Scuola docente di AA.BB. …), a quanto da lei riferito circa la questione contenutistica dei nuovi curricoli artistici: a detta di alcuni – ma troppo generalizzando – inficiati dalla presenza rafforzata delle discipline non laboratoriali – genericamente ma ingiustamente definite o “teoriche” o “culturali”, in contrapposizione ad una “manualità” delle prime, presuntamente intesa come esclusivizzabile.

A noi piace credere che i docenti seriamente impegnati nell’innovazione degli studi accademici dell’Afam abbiano innanzitutto lavorato proprio per superare questa assurda dicotomia, di provenienza idealistica tardo-ottocentesca: non c’è prassi manuale/performativa di qualità se non è sorretta da adeguate consapevolezze pluri ed interdisciplinari (altro che “teoriche”, oppure “culturali”) e qualunque attività formativa non può che essere collegata nella maniera più o meno mediata od immediata alla corrispondente attività performativa.

Che poi la docenza e la dirigenza dell’Afam siano del tutto all’altezza di questo arduo compito è certo discutibile. Ma senza inutili generalizzazioni, per favore, e documenti alla mano, caso per caso.

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20° intervento – Uno sguardo alle Accademie di Belle Arti

di pimpa claechia@fakeinbox.com

[Inviato il 14/09/2012 alle 11:08]

vi faccio un riassuntino di quel che sta succedendo nelle accademie di belle arti perche forse al conservatorio non ne siete a conoscenza.

Nelle accademia di belle arti il biennio specialistico è artisticamente inferiore al vecchio ordinamento quadriennale che poi tanto quadriennale non è visto che il previgente ordinamento dice di 4 anni minimo e 6 massimo perciò mediamente 5.

Ho provato sia il vecchio ordinamento che quello nuovo!

Quel che è migliorato non serve molto alla pratica artistica perché sono nozioni di filosofia e sociologia o legate alla scienza della comunicazione e comunque nozioni non indispensabili alla pratica artistica.

Nozioni che sono stata introdotte esclusivamente per dare ai nuovi corsi la parvenza di un corso di filosofia e critica dell’arte.

Ma c’è una materia, storia dell’arte, che in alcuni nuovi corsi è stata ridotta rispetto al vecchio ordinamento e si riesce a compensare soltanto inserendo nel piano di studio tutte le materie facoltative (c’è rimasto poco di facoltativo) relative all’arte ma non sempre è possibile perché alcuni corsi nuovi corsi di arte tecnologica non lo permettono.

A quel punto l’equipollenza col corso di storia dell’arte universitaria non sarebbe molto convincente.

Morale della favola, col 3+2 sei mezzo critico e mezzo artista ed è questo mezzo artista perso per diventare mezzo critico che non mi piace proprio per niente.

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19° intervento – Ultima replica su La qualità della docenza

di Paolo donverga@interfree.it

[Inviato il 21/01/2012 alle 09:03]

Grazie, Maestro (uso questo appellativo cosciente del fatto che sia ben superiore a quello di “professore”). Mi auguro che lei o persone come lei possano un giorno far parte della dirigenza AFAM, attualmente in mano a gente che non sa neanche scrivere correttamente in italiano. Sarebbe un vantaggio per noi studenti e per l’Italia. Le auguro di “contagiare” con la sua passione e il suo entusiasmo i suoi allievi che, mi auguro, saranno i docenti di domani.

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18° intervento – Seconda risposta alla replica su La qualità della docenza

di Mario Musumeci

[Inviato il 21/01/2012 alle 01:17]

Beh, ammetterà che il livello di questa sua seconda mail è ben diverso dal primo, per cui quello che mi pareva appena di avere intuito dalla prima – forse un pò più sbrigativamente redatta – adesso emerge con molta più chiarezza: la delusione prodotta dal “tradimento” che un contesto di studi, cui pur sempre ci si è adattati per la propria passione di studente e di musicista, ha prodotto. Vuoi per le interne contraddizioni – comunque anche prodotte, come sto tentando di chiarirle, da una situazione istituzionale in profonda trasformazione (di facciata e non …) e per di più collegata ad una crisi economica senza precedenti – vuoi per le mediocrità umane e professionali con cui ci si è messi a confronto: potrei raccontarle di miei mediocri insegnanti a partire dalle scuole elementari, risalendo attraverso scuola media e liceo (classico) fino al conservatorio e all’università (Giurisprudenza e Dams bolognese), ma preferirei di gran lunga soffermarmi semmai su coloro che invece mi sono stati Maestri: a costoro devo almeno in parte quello che sono, in definitiva …

Se lei avesse avuto cattivi genitori si sarebbe sentito meglio nel pensare che “tutti” i genitori sono oggi inadeguati a svolgere il proprio ruolo? Lo stesso mi pare valga per gli insegnanti e io – dopo oltre trent’anni di insegnamento a tempo pieno un pò ovunque (dai corsi di formazione per i docenti di scuola elementare e secondaria fino all’università, dove mi è pure capitato di insegnare – ma in ben altro modo – addirittura la materia di uno di quelli che all’origine mi si erano posti a modello di mediocrità …) – rimango convinto che ci si formi meglio innanzitutto con una buona vocazione autodidattica e dunque … cercando i propri insegnanti – anche semplicemente leggendo i loro libri e imparando a scartare senza drammi quello che non vale.

Se lei ha già appreso che il Ciriacosolfeggioparlatomusicalmenteavanvera andrebbe inteso come né più né meno che “carta straccia” ha già un gran vantaggio rispetto chi non se ne è mai accorto e dunque dovrebbe conoscere almeno un pò la letteratura didattica che ha percorso e percorre altri “sentieri” formativi, dal do mobile al cantar leggendo al fonosimbolismo alla lettura analitica all’ear-training etc.. Se la studi allora da autodidatta – come è capitato a me a partire da oltre trent’anni fa, da neo-diplomato che però non sapeva cantare bene che per imitazione e che oggi insegna anche ad affrontare la lettura musicale nelle forme di una auto-rappresentazione (assieme sonora, visiva, gestuale, simbolica e a contenuto retorico-discorsivo e narrativo; in poche parole: pregnante di significati) – e in definitiva ne ricavi una diversa prospettiva di responsabilizzazione. Quello che trova oggi a disposizione, in tal senso, è molto, veramente molto di più di quello che allora, da studente, mi toccava di conoscere come le novità del momento.

Per il resto, potrei anche dirle che non sono pochi i momenti di sconforto in cui anch’io reagisco alla sua maniera, ma è pura regressione – devo ammetterlo – e solo tutto il resto è vita che vale la pena di essere vissuta.
Tra l’altro, se proprio ci tiene, potrebbe essermi allievo proprio leggendo e applicandosi sulle cose che scrivo.
Ci pensi.

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17° intervento – Replica alla risposta a La qualità della docenza

di Paolo donverga@interfree.it

[Inviato il 20/01/2012 alle 21:48 | In reply to musicaemusicologia]

E’ singolare che un tipo di intervento sintetico ma improntato al “parlar chiaro” venga interpretato come offensivo e tacciato d’inconcludenza e ignoranza. Mi ricorda altre cattedre e altri secoli.
Non vi era alcun attacco, men che meno a lei, che, da quel che scrive, mi pare persona gentile e preparata. Non colgo perciò alcun tono “duro” nella sua risposta, che trovo pregevolmente appassionata.
Mi rendo conto che a certi livelli serve un’analisi meticolosa e rigorosa delle problematiche, ma io sono un semplice utente finale, e da tale parlo, scusandomi per l’imperizia. Però sono anche quello che paga le tasse d’iscrizione e (anche) per il quale la scuola esiste.
Sa perché la musica è in fuga dai conservatori? Certo che lo sa, perché ha risposto lei stesso: “colleghi in questa beata ignoranza si sono cullati e continuano a cullarsi”. Lei fa eccezione, ovviamente. Ma è davvero convinto che uno studente sia sempre in grado di poter (e sottolineo: poter) scegliere il meglio? Ha risposto lei stesso: no, perché quella che lei chiama beata ignoranza dei docenti, a quanto pare, è ben diffusa, e può capitare che in un conservatorio insegnino solo “beati ignoranti”.
Protestare? Certo, ma contro chi, i mulini a vento? L’unica protesta che un “povero” studente di un Paese ormai da terzo mondo culturale, sudamericanizzato e corrotto, può mettere in atto, è quella di scegliere di specializzarsi (altro che italico 2° livello!) all’estero o iscriversi ad accademie private, oppure a infoltire lo stuolo di qualche grande (ed esoso) maestro.
Un’ultima considerazione: nei nuovi “trienni” (di altisonante alta formazione) non c’è più il “solfeggio”. Non hanno avuto il coraggio di inserirlo, alla luce dei progressi didattici degli altri paesi. L’hanno chiamato “teoria, ritmica e percezione musicale”, credendo di ingannarci. Ma hanno solo offeso la nostra intelligenza, perché i docenti di “solfeggio” (che nessuno si è curato di “aggiornare”, anche forzosamente) continueranno in buona fede a spacciare i trattatelli del Ciriaco e similari per “la” teoria musicale e continueranno a far solfeggiare il 4/4 come se fosse un 8/8 (cioè con la suddivisione), senza curarsi di accenti, fraseggi, ecc. Ecco come la musica fugge dai conservatori. Si è fatta la riforma, ma non ci si è preventivamente preoccupati di darle i veri contenuti, che solo un aggiornamento continuo e una verifica periodica dei docenti poteva realizzare.
Persone di buona volontà come lei, purtroppo, ce ne sono poche, pochissime. Non bastano a compiere una riforma.
Infine, sinceramente mi dolgo di non poter essere stato suo allievo.

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16° intervento – Risposta a La qualità della docenza

di Mario Musumeci

[Inviato il 20/01/2012 alle 03:59 | In reply to Paolo]

Devo dire innanzitutto che non amo dovermi confrontare con articoli carichi solo di vis polemica ed espressi ai limiti generalizzanti tanto dell’offesa gratuita quanto dell’inconcludenza livorosa. E si tratta, con tutta evidenza, di un caso del genere.

Però i diversi argomenti, seppure da lei affastellati e maldestramente posti, meriterebbero probabilmente una migliore impostazione. Proviamoci, quanto meno per amore di trasparenza e … per generosità di disposizione comunicativa.

I docenti di Conservatorio che “diventano” insegnanti di II livello non sono all’altezza del compito? Beh, se si arriva poi tranquillamente ad affermare che per il II livello “l’errore è stato quello di pensare che potesse esserci un livello superiore a quello già superiore”, dato per preesistente nel diploma tradizionale, allora ciò significherebbe che la formazione attuale dello studente di musica è addirittura dopo un secondo livello più che sovrabbondante. E allora con quale coerenza logica si afferma poi che “la musica sta fuggendo dai conservatori”?!

Premesso invece che – come più volte richiamato nel Forum – i diplomi tradizionali vanno dal quinquennale al decennale e con impianti pluridisciplinari tra i più variegati e comunque sempre deboli ed insoddisfacenti per un musicista che voglia dirsi “completo”, che senso ha paragonare il triennio accademico equiparato a laurea, nella più compiuta articolazione di impianti appunto pluridisciplinari, con l’intero corso di diploma (decennale o meno); semmai adesso comparabile – in una prospettiva di graduale stabilizzazione del sistema – solo alla sommatoria verticale di scuola media ad indirizzo musicale + liceo musicale + triennio accademico.

Peraltro i trienni accademici sono stati impiantati in corrispondenza degli ultimi tre anni di studio conservatoriale. E lo scopo era appunto di gradualizzare poco a poco il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, equiparando gradualmente preesistenti situazioni formative tra le più disparate …

Noto solo una grande confusione nelle sue argomentazioni, credo dovuta all’ignoranza delle linee di evoluzione del sistema formativo complessivo degli studi musicali. In corso di attuazione, certamente, seppure con tutte le contraddizioni che accompagnano un momento particolarmente delicato della nostra storia repubblicana. E potrei anche giustificarla, sapendo quanti dei miei colleghi in questa beata ignoranza si sono cullati e continuano a cullarsi, spesso mal consigliando i loro stessi studenti nelle scelte di studio.

In tal senso sarei in generale d’accordo che buona parte dei docenti di Conservatorio hanno inteso il secondo livello come uno stiracchiamento degli studi già compiuti. Ma perchè gli studenti consapevoli come lei non hanno protestato al momento, magari sforzandosi di distinguere il grano dall’oglio?

All’origine del processo di riforma, come più nobilmente prospettava la Commissione Salvetti, il diploma magistrale (o specialistico che dir si voglia) doveva corrispondere ad una integrazione di competenze culturali di alto livello e di relative abilità tecniche sia di tipo esecutivo-interpretativo che compositivo oltreché musicologico. Graduando certamente in una direzione o nell’altra a seconda della specializzazione scelta.
Invece ad un certo punto si sono imposti i docenti di strumento, producendo quello che lei stesso adesso lamenta: la reiterazione nei bienni specialistici di quanto già fatto in precedenza.
E rendendo pressoché impossibile quello che nel vecchio sistema permetteva una qualche integrazione nel senso anzidetto; come la frequenza di corsi strumentali abbinata a corsi compositivi e anche musicologici, con il conseguimento più o meno simultaneo di più diplomi. Ecco, quelli come me avrebbero sperato, e si sono pure battuti in tal senso, che si elaborassero percorsi di studio integrati tanto da formare l’ideale musicista completo: colto e ben preparato tanto nelle doti performative quanto nella conoscenza strutturata della composizione e del pensiero musicale creativo a tutti i livelli.
E soprattutto con un solo titolo di studio (come qualunque altro laureato), ma consistente al pari di una laurea in Ingegneria o in Medicina …

Se questo non è accaduto sul piano istituzionale come meglio poteva accadere, non è però detto che chi – come il sottoscritto, ad esempio – credeva in quel progetto non abbia continuato a coltivarlo. Questo sito offre ampia dimostrazione in tal senso. Ma resta un fatto che ancora troppo spesso i diplomati di strumento, quand’anche son ritenuti bravi nel suonare questo o quell’altro brano di repertorio, sono solo interessati a fare i “suonatori” della musica scritta e in ultima analisi i “suonatori” dei non molti pezzi che hanno portato all’esame: e non certo a navigare nel vasto mare dell’intelligenza musicale e delle opportunità di crescita che esso può offrire se ben scandagliato in ogni sua plaga.

Perchè di docenti impegnati che fanno bene il loro lavoro e di istituzioni conservatoriali dove le cose funzionano meglio ce ne sono comunque e uno studente potrebbe, se solo volesse, scegliere il meglio. So invece di tanti che prima preferiscono le scorciatoie – le materie “facili” e gli insegnanti “meno impegnati” e che meno li impegnano. Salvo poi lamentarsene e lamentarsi del loro eventuale successivo fallimento. Ma va detto una volta per tutte che la colpa è solo loro: chi non sa assumersi le proprie responsabilità non acquisisce poi il diritto di rimproverare ad altri lo stesso grave difetto.

Al di là dei toni duri (appropriati in risposta alla sua missiva), spero almeno di esserle servito a qualcosa.

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15° intervento – La qualità della docenza

di Paolo donverga@interfree.it

[Inviato il 19/01/2012 alle 18:00]

Ma siamo davvero convinti che un docente che fino a ieri ha insegnato nei corsi tradizionali sia diventato oggi un docente da 2° livello? Crediamo ancora a questa favola? La realtà è che la maggior parte ha tutt’al più stiracchiato programmi e qualche approfondimento per soddisfare la “specializzazione” del 2° livello. Basta chiedere a noi allievi. Quanto al 3 e 3+2, che ne dite se parliamo di 5+3+2, tanto per fare il caso del pianoforte v.o.? Il conservatorio era già un’istituzione di alta cultura, nella sua interezza. Quindi, tutti i corsi, dal compimento inferiore al superiore, erano “superiori” (higher education, per intenderci). L’errore è stato quello di pensare che potesse esserci un livello superiore a quello già superiore, ed ecco quindi l’equiparazione di diplomi perfino decennali a un semplice “3″ (primo livello). Questa è stata l’ipocrisia davanti alla quale in molti si sono genuflessi, abbagliati dall’agognato riconoscimento “universitario”. Invece è stato uno schiaffo, perché alle vecchie lauree quadriennali fu subito riconosciuto il 2° livello. Continuiamo pure a lamentarci. La musica sta fuggendo dai conservatori. Così come la cultura non sta più nelle università (parlo di Italia, naturalmente).

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14° intervento – Osservazioni a margine della citata

Petizione studentesca pro  DdL 4822

di Mario Musumeci

Vorrei preliminarmente osservare agli studenti in questione, evidentemente mal consigliati, di stare attenti, molto attenti nell’uso di espressioni altamente offensive quali “Chi afferma il contrario e dà informazioni distorte o non conosce l’italiano e le normative vigenti o è in malafede.“, specie quando in simultanea tali espressioni pretendono di delegittimare organi e consessi istituzionali altamente rappresentativi nel nostro ordinamento:

  1. la Conferenza dei direttori è composta tutta da personaggi che, in ogni caso per elezione diretta, sono ciascuno rappresentativo della propria realtà istituzionale e dunque messi tutti assieme in un organo unitario – che non esiste certamente solo in Italia. In tal modo la rappresentatività dei singoli Direttori, unitariamente espressa in quest’organo, è ulteriormente potenziata e costituisce un bagaglio di esperienze professionali tutt’altro che disconoscibile o, addirittura, delegittimabile a piacimento di chicchessia;
  2. il Direttore generale Civello potrà far antipatia per il suo piglio decisionista o per qualche scelta non condivisibile ma è un tecnico ben preparato nel suo compito, in un deserto di competenze qual era il vecchio Ispettorato per l’Istruzione Artistica e quale rischia in futuro di divenire la Direzione Afam, in sua assenza.

Insomma se al dibattito civile si contrappone l’aggressione verbale il dibattito cessa e si procede in altro modo …

In quanto all’espressione “non conosce l’italiano” inviterei poi gli estensori del documento a stare attenti loro stessi alla qualità della loro sintassi e agli strafalcioni, grammaticali ma anche logici, di cui il testo soffre; che io, almeno nell’ortografia, ho preferito correggere, nel loro stesso interesse …

Inoltre dietro questi … posizionamenti ho intravisto i “fantasmi” di rappresentanti sindacali che a me sembrano, per comportamenti del tutto analoghi divenuti oramai inaccettabili (e, dunque, forse anche suggeritori in tal senso della detta petizione), oramai “aver perso il lume della testa” [N.B.: letteralmente, dal vocabolario: “lasciarsi sopraffare dalla passione o impazzire, non sentire ragioni, non lasciarsi convincere a ragion veduta, dopo aver bene esaminato la questione di cui si discute sotto ogni profilo e magari scoprire che le cose non stanno propriamente al modo in cui si pretende di rappresentarsele e di rappresentarle ad altri”].

L’unico argomento che trovo interessante in questa petizione è l’ipotesi di considerare il biennio specialistico come un titolo aggiuntivo (importante, si spererebbe; ma non certo “una seconda laurea”!) . Io specificherei meglio: un master biennale, ad esempio – nonostante la sua genericità di indirizzo: i master universitari comportano infatti specializzazioni fortemente indirizzate verso ambiti professionali estremamente specifici, seppure richiesti dal mercato del lavoro e per questo, in genere, altamente selettivi.

Ma l’interrogativo al quale si rimane qui del tutto indifferenti è:

che fine farebbero i diplomati dei trienni accademici che, sia per elezione sia perchè supportati dalla volontà innovativa della singola Istituzione che li ha meritoriamente istituiti, hanno affrontato a buon fine degli impianti disciplinari e dei programmi innovativi per niente commensurabili qualitativamente e quantitativamente con l’oramai vetusto ordinamento (“un casin de la Madona”, come diversi decenni or sono ebbe a definirlo un direttore di notevole autorevolezza, per l’estrema diversità formativa dei curricoli di studio: già da quinquennali a decennali e oltre)?

Invece di valorizzare la loro evidente maggior quantità e qualità di impegno, come sarebbe stato giusto – dato che il Triennio accademico è stato elaborato giuridicamente e contenutisticamente sul modello degli ultimi tre anni di ciascuna tipologia di diploma v. o., notevolmente rimpolpato ed aggiornato nelle discipline e con un’autonomia didattica che ha consentito ai migliori insegnanti di consistentemente rinnovare programmi risalenti agli oramai trascorsi anni ’30 (si parla del 1930, e, se no, di che altro!) – li si vorrebbe adesso fare retrocedere a diplomati incompiuti; assieme alla dignità di quelle istituzioni accademiche che si son date da fare, invece di “stare al palo” a guardare, aspettando le proprie convenienze, adagiate “sul groppone” dell’altrui iniziativa!

Insomma: “gli ultimi saranno i primi”? Ma non certo nel senso evangelico del privilegio della povertà e dell’umiltà, bensì dell’insipienza e del disinteresse al miglioramento professionale?

In definitiva: alla richiamata domanda posta in questo Forum fin dall’inizio nessuno – e sottolineo: nessuno – si è degnato fin’ora di rispondere, preferendo la finta distrazione o l’arroganza propositiva. E probabilmente proprio perchè non si è in grado di dare una risposta seria. E si preferisce allora il ricorso alla disinformazione e alla demagogia, adesso espresse con attacchi verbali di una violenza inaudita.

Si può ovviare a questa faccenda parificando l’attuale triennio al diploma tradizionale, con tutti i vantaggi previsti dalla detta legge in corso di approvazione? Se fosse cosa possibile io mi accontenterei. Ma come si dovrebbe poi istituire il 3+2, di connotazione europea (l’Europa si richiama solo quando conviene mentre in tali casi la si preferisce ignorare …), se già in partenza lo si sta, con la detta “incoerenza” normativa, contraddicendo nelle stesse motivazioni e impostazioni di base?! Di questo bisognerebbe discutere e a questo semmai bisognerebbe ovviare, se possibile.

E invece ci si sforza di non voler comprendere che il pastrocchio legislativo che si sta approntando comporterà contenziosi giuridici a non finire. E di rilievo anche costituzionale, con il probabile intervento dell’Alta Corte per la discriminazione evidente di situazioni paritarie o addirittura inverse quanto alla qualificazione erroneamente riconosciuta da una improvvida legge ordinaria (ma ancora se ne sta discutendo in sede istituzionale …).

Tutto ciò, assieme all’incertezza di un indirizzo unitario e coerente del sistema 3+2, potrebbe dare la mazzata definitiva alle nostre Istituzioni Afam.

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13° intervento – Petizione studentesca (e sindacale) pro  DdL 4822

Ci perviene questa comunicazione urgente, che troviamo esposta sia in siti didattici specialistici sia in siti sindacali:

Gli Studenti del Conservatorio di Musica di Napoli,

con stupore e viva contrarietà apprendono come la Conferenza dei Direttori dei Conservatori di musica, riunitasi a Roma, abbia formulato un documento critico, poi anche consegnato, in sede di audizione, alla Camera, circa il Ddl 4822 che, già votato all’unanimità al Senato, è ora in discussione alla Camera. Gli Studenti, al contrario, esaminati i contenuti del Ddl, lo accolgono con soddisfazione poiché esso contiene:

la messa in ordinamento del Biennio, oggi ancora sperimentale e pertanto senza alcun valore. Va sottolineato che il riconoscimento pregresso del vecchio diploma quale laurea specialistica è un atto dovuto per la dignità dei vecchi diplomi (come avvenuto per tutti gli altri laureati nel momento della messa a regime della riforma universitaria che introdusse il 3+2).

Detto ciò appare chiaro che i corsi di specializzazione saranno accessibili, come prescritto dalla legge, solo a quanti avranno frequentato il biennio e  saranno possessori del relativo titolo. Un qualcosa possibile solo se l’attuale biennio, attraverso l’approvazione del Ddl 4822, verrà messo in ordinamento. In aggiunta chi è possessore di un vecchio diploma e ha anche frequentato il biennio diverrebbe, a tutti gli effetti, possessore di due lauree, ossia di due titoli finali entrambi spendibili. Pertanto i vantaggi sono di tutti! L’equipollenza dei titoli accademici dei Conservatori e delle Accademie con le lauree universitarie (vedi L.508), significa reale spendibilità del titolo che diviene equivalente, ai fini della spendibilità, per esempio nei pubblici concorsi, alle lauree rilasciate dai DAMS (per i dizionari italiani si equiparano gli stipendi e sono equipollenti i titoli).

Ma ciò non significa che un laureato del DAMS potrebbe automaticamente, a sua volta, insegnare in Conservatorio o in Accademia poiché un musicologo non è in grado di insegnare un strumento, e viceversa, inoltre, per esempio, la laurea in “ingegneria informatica” è ben diversa da “ingegneria edile” e nessuno affiderebbe la costruzione di un ponte ad un laureato in ingegneria informatica o viceversa. Tutti e due, però, si appellano  ingegneri e possiedono un titolo spendibile ai fini dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego. Chi afferma il contrario e dà informazioni distorte o non conosce l’italiano e le normative vigenti o è in malafede. L’istituzione di un Consiglio nazionale degli Studenti (CNSAC) finalmente dà la possibilità agli Studenti di esprimersi, in tutta libertà, a livello nazionale, formulando pareri e proposte al MIUR e intervenendo sulle materie riguardanti la condizione studentesca, come prevede il nuovo Ddl 4822.

Pertanto il Ddl 4822 contiene una serie di provvedimenti per il futuro di noi Studenti assolutamente fondamentali e positivi. Provvedimenti che, dopo 11 anni di attesa, vanno a sanare uno stato di cose ormai vergognoso e insopportabile. Per questi motivi tutte le iniziative negative che vengono poste in atto hanno un solo scopo: quello di prolungare, magari con la scusa di migliorare il testo, i tempi. E di conseguenza, visti i tempi ristretti della presente legislatura, di non far approvare la legge. Un’iniziativa pericolosissima, questa, fatta, per favorire l’Università o gli interessi di altri personaggi, a tutto danno di noi Studenti. Infatti quale danno sarebbe peggiore del perpetrarsi di una situazione che vede gli Studenti dei Conservatori e delle Accademie italiane affrontare durissimi e costosissimi studi per poi ritrovarsi senza alcun titolo valido e spendibile?  Siamo ormai, per colpa di certi signori, gli ultimi in Europa. Cosa c’è da discutere ancora?

Comitato Pro-Legge 4822

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12° intervento – La Corte europea e gli effettivi diritti degli studenti italiani

risposta di Mario Musumeci al precedente intervento

Beh, almeno lei lo fa senza la presupponenza di chi dichiara di saperla lunga e poi evita del tutto il confronto; nonostante le gravissime e serissime argomentazioni e problematiche poste in ballo.
L’argomentazione da lei richiamata – unica e sola basterebbe per la sua autorevolezza – era però rivolta all’Afam nella sua interezza e doveva semmai servire una dozzina (quasi) di anni fa, all’avvio della riforma; come aprioristica considerazione sul da farsi per migliorare lo stato delle cose della formazione e dell’alta cultura musicale in Italia: cfr. soprattutto l’operato della Commissione Salvetti, a suo tempo aspramente combattuta proprio da chi adesso lamenta ciò che allora si poteva disporre in maniera seria e non con l’ennesima “buffonata” all’italiana, come si vorrebbe impiantare adesso.

L’argomentazione richiamata dell’intervento della Corte europea funzionava a suo tempo con stretto riferimento ai diplomi accademici già quadriennali e post-maturità delle Accademie BBAA. Altra faccenda per i diplomi conservatoriali che diversi studenti nel vecchio sistema riuscivano ad acquisire a 18 e perfino a 16 anni: è una bufala che si trattasse sempre di talenti musicali, maturati professionalmente (e umanamente …) del tutto con l’acquisizione del titolo accademico. Più spesso si è trattato semmai di studenti meglio instradati, figli di colleghi o comunque particolarmente dotati certo, ma per lo più solo sul piano strumentale; e non di rado come potrebbero essere delle belle … scimmiette, che ripetono anche con notevole abilità i gesti appresi senza un’adeguata maturazione umana ed intellettuale: ne ho conosciuti tanti durante la mia carriera professionale trentennale che nulla di serio hanno concluso nella loro vita, senza prima riuscire a riformulare del tutto la propria fisionomia umana e musicale.

E d’altra parte prima erano stati impiegati innanzitutto a fare i “salti mortali” per evitare gli apprendimenti ulteriori e necessari rispetto il puro studio strumentale, normalmente solo del proprio (più o meno) ristretto repertorio.
E vorrei aggiungere che, all’opposto, tanto “prima-donnismo” circolante nei nostrani ambiti artistici mi pare proprio finalmente una necessitata compensazione psicologica di tale stato di non maturazione umana ed affettiva, al limite del patologico …

Poi d’altra parte che ne faremmo dei pluridiplomati con 2, 3, 4 e più titoli di studio, peraltro in tempi di penuria di lavoro sempre più numerosi ed agguerriti, anche se talvolta più in termini di quantità di titoli che di solide esperienze professionali e lavorative? Qualche punteggio aggiuntivo, mi si risponderà. Ma lo sanno anche i muri delle nostre istituzioni che un solo diploma, magari con il massimo dei voti, assieme ad un paio di anni di carriera didattica, può bastare a superare nelle graduatorie i professionisti che hanno fin lì trascorsi la loro vita sulle scene artistiche!
Per non dire di tanti diplomati di corsi da quinquennali a settennali, che dovrebbero – e non si capisce bene perchè – essere del tutto equiparati ai decennalisti e più (i diplomati in strumento e in discipline compositive).

Insomma come non si riesce ancora a capire che l’unico scopo della riforma, in buona parte oramai tradito, doveva essere quello di approntare un unico corso di studi, ma ben compiuto per la formazione appunto del cd. “musicista completo”, di ottocentesca memoria? In effetti quelli come me avrebbero sperato, e mai hanno smesso di lavorare e di battersi in tal senso, che si elaborassero percorsi di studio integrati tanto da formare appunto il musicista completo ideale: colto e ben preparato tanto nelle doti performative quanto nella conoscenza strutturata della composizione e del pensiero musicale creativo a tutti i livelli.

E invece l’odierna strampalata situazione diventa sempre più insostenibile per la credibilità dell’accademia musicale italiana: con pluridiplomati v.o. che conseguendo titoli strumentali e compositivi e musicologici intendevano completare con ottime ragioni la loro professionalità (talvolta riuscendoci, talvolta no …); con pluridiplomati odierni che continuano a studiare spesso nei bienni le stesse cose studiate in precedenza (ma almeno lo fanno …); con “mono”-diplomati più o meno bravi, ma con una “forbice” differenziativa di qualificazione professionale veramente eccessiva (differenziata istituzionalmente da 5 a 10 o più anni di studio!); con diplomati che addirittura si accontentano perfino di un livello culturale approssimativo e poi si lamentano se non trovano spazio professionale in ambito musicale (si colga il contrappasso …); con diplomandi che “pretendono” di conseguire anche una laurea non musicale perchè – “si sa:” – “due professionalità acquisite valgono certamente più d’una” (mah: roba da matti!) …

A non voler richiamare il danno enorme che si produrrebbe all’istituzione conservatoriale favorendo i meno titolati – con diploma tradizionale – rispetto i più titolati – gli “effettivamente” laureati nel triennio (con programmi calibrati in senso universitario) e addirittura anche gli specializzati che comunque si sono accollati un biennio di studi aggiuntivo.
Sugli argomenti in questione, con il quale la Corte Europea non è stata a suo tempo certamente in grado di confrontarsi, rimando all’ampia discussione sul Forum.

Grazie comunque per la sua opinione e il suo interesse.

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11° intervento – La Corte europea dei diritti fondamentali  e l’Afam

Condivido con Bertone. Si continua ad ignorare il parere della Corte Europea dei Diritti che ha già sancito l’equipollenza del vecchio ordinamento al II livello così come avvenuto per le Lauree (quelle vere) universitarie.
In bocca al lupo e Ad Maiora (Luciano. Mail firmata)

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10° intervento – Due importanti prese di posizione sul DDL 1693

di Mario Musumeci

Pubblico due recentissimi documenti di alto rilievo istituzionale:

1. un parere del Consiglio Universitario Nazionale sul DDL 1693, espresso su apposita richiesta ministeriale:

CUN – Parere del 23 dicembre 2011

2. un parere della Conferenza dei Direttori delle Accademie BB.AA. sullo stesso DDL, autonomamente espresso:

Parere Conferenza Direttori Accademie BB.AA. su DDL 1693

Al Cun hanno già “alzato gli scudi” contro il DDL dell’Afam che avevo motivatamente criticato in più parti. Certamente vi si può leggere una presa di posizione legata ad interessi di parte, ma si da il caso che analoghe argomentazioni vengano riprese nel documento successivo della Conferenza dei Direttori delle Accademie.

I direttori delle accademie infatti vanno addirittura oltre. Per tale alto consesso addirittura il giudizio negativo sul decreto in toto è lapidario, al di là del giudizio positivo sull’equipollenza dei diplomi accademici Afam con apposite lauree universitarie – ma i diplomi delle Accademie BBAA da sempre sono post-maturità (e funzionano da sempre licei artistici ad esse propedeutiche) e soprattutto impostati pluridisciplinarmente su base quadriennale, al modo delle vecchie lauree quadriennali equiparate al più recente 3+2.

Addirittura nel secondo documento alcune mie particolari opinioni, espresse nell’articolo posto a base del Forum, sono ricalcate pari pari. E, dato che l’articolo ha una data anteriore di pubblicazione sul sito, verrebbe da pensare: che lo abbiano letto e scopiazzato?! Oppure, cosa ben più ovvia: si trattava di argomentazioni evidenti talmente ovvie che solo per disattenzione (?) o per ignoranza (!) gli addetti ai lavori sindacal-conservatoriali non si son trovati nelle condizioni di potere e dover adeguatamente “soppesare”.

Polemiche a parte, sembrerebbe che l’approvazione di questo decreto interessi principalmente solo qualche buon padre di famiglia. Che vorrebbe così permettere al proprio figlio di acquisire un compiuto curriculum accademico/universitario di anni 3+2 a costo ed impegni di studio notevolmente ridotti, scavalcando chi l’ha già conseguito. Stranezze ipotizzabili come realtà solo in un Paese come il nostro, dove i valori più alti della democrazia, perfino costituzionalmente garantiti,  sono  sempre messi in discussione dalle più improvvisate accozzaglie di interessi di parte, sistematicamente – e alla luce del sole – a danno del reale bene comune.

Insomma il 3+2 (diplomi accademico-universitari di I e II livello) sarebbe superato da un discutibile 3 (diploma accademico tradizionale, spesso dequalificato da ridottissimi o mal qualificati curricula pluridisciplinari), mentre il 3 effettivo (diploma accademico effettivo di I livello, con impianto pluridisciplinare analogo a quelli universitari) dovrebbe recuperare il 2 per divenire un cursus studiorum completo.

Che strana matematica! E che strani strumenti di marketing quelli usati da una maldestra e fallimentare politica sindacale!

Quando si imparerà ad avere l’umiltà e il coraggio di ammettere i propri evidenti errori?!

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9° intervento – Professionalità dei docenti e riconoscimento dello Stato

di Mario Musumeci

Risposta al M° Franco Bruno su:

Deontologia e moralità dei dei docenti e doveri rispetto i loro allievi

Grazie a te Franco, innanzitutto. Sei tu ad onorarmi con la tua presenza e con le tue considerazioni: brevi ma piene di saggezza e dunque certamente risaltanti nella loro essenzialità. Sicuramente hai colto al meglio la sostanza morale e professionale della faccenda.

Adesso la questione – sulla base del dibattito instaurato –  investirebbe  la stessa qualità dei trienni accademici, una qualità che probabilmente altrove è stata mal considerata o addirittura dequalificata. Ma che, non dimentichiamolo come altri pericolosamente stanno facendo: costituiscono con la messa ad ordinamento il nostro futuro ed il nostro presente da ben coltivare!

La dequalificazione pare che sia avvenuta anche permettendo l’iscrizione degli studenti in maniera non rigorosa, come invece abbiamo fatto noi convinti dell’assolutezza delle disposizioni ministeriali sull’impianto dei trienni, a partire dal terz’ultimo anno. E confermandomi nei fatti che quello che si vuol perpetrare con la norma in questione costituisce anche una grave ingiustizia che inciderà pesantemente sul futuro e sui destini del Conservatorio italiano, riformato in Istituto degli studi musicali ovvero in istituzione dell’Afam, istituzione massima della formazione musicale accademica.

I docenti e gli studenti che si sono impegnati in quest’ultimo decennio ad innovare quantitativamente (in più) e qualitativamente (in meglio) la didattica conservatoriale tradizionale all’interno dei nuovi contenitori istituzionali, trienni e bienni, verranno prevaricati da chi “rimanendo al palo” e “senza darsi una mossa” – come pure sarebbe stato proprio dovere – adesso pretende di conseguire una del tutto immeritata specializzazione, scavalcando un curriculum di studi (il 3+2) mai svolto; che, falsamente, si vorrebbe implicato in quello ormai superato del vecchio ordinamento, dopo ben dieci anni dedicati ad impiantare il nuovo!

Mi sembra solo una grandissima vergogna cui ribellarsi – e dunque minimamente mostrarsene complici – e che attribuirà, se la norma in questione dovesse diventare norma vigente di legge,  solo una mortale mazzata alle nostre istituzioni, già stremate dalla carenza di fondi e da un trattamento della classe docente non corrispondente all’impegno profuso o chiamato ancora a profondere.

E difatti nei prossimi anni a venire chi dovrebbe iscriversi ai bienni specialistici, una volta inficiata la loro importante valenza giuridico-istituzionale?

E chi, iscritto ai trienni, li affronterà con la dovuta serenità, ben sapendo che il compagno di studi del tradizionale oramai ad esaurimento – ma con strascichi che arrivano fino a quasi un futuro decennio di diritto transitorio … – con una oggettivamente minore quantità di impegni arriverà a “prendersi” addirittura anche il successivo diploma specialistico?

Insomma si stanno considerando carne da macello i nostri studenti di triennio e di biennio. Ma non è che quelli del tradizionale se la passeranno meglio: dopo l’iniziale euforia faranno i conti con la realtà delle cose:

  1. Una formazione di qualità senz’altro inferiore rispetto coloro che i bienni li hanno conseguiti e con il reale impegno dovuto;
  2. Un confronto di qualità (e di quantità) con coloro che hanno preferito frequentare il triennio – specie se ben impiantato e seriamente condotto a compimento in tutte le discipline aggiuntive – che in non pochi casi rende notevolmente superiore l’impegno dei “triennalisti” a fronte dell’impegno nel corso tradizionale. E penso a quei corsi di diploma tradizionale dove l’impianto pluridisciplinare è molto ridotto, con – ad esempio ed è la mia dimostrabile e diretta esperienza sul campo – una sola annualità e male impiantata per la sua vetustà di programmi e di tempi realizzativi di Armonia a fronte delle tre annualità di aggiornatissimo studio tecnico-compositivo-analitico del triennio – cui si unisce un lavoro di ricerca scientifica (tesina di terza annualità), culminante non di rado anche in pregevoli tesi di laurea.
  3. A questi confronti, che potrebbero certo risultare fatali al momento della comparazione in sedi di concorso o di altre verifiche professionali, si aggiungerebbe l’ovvia considerazione che gli studenti maltrattati non se ne staranno con le mani in mano: si organizzeranno e, affidandosi a bravi avvocati, aggrediranno in sede giurisdizionale amministrativa la norma incriminata e, tramite le procedure che portano al giudizio di costituzionalità della norma – seppure in tempi non brevi: credo non meno di due anni – ne otterranno l’annullamento, perchè in contrasto quanto meno con gli articoli sull’uguaglianza e sulla parità delle opportunità dei cittadini e fors’anche sui principi di imparzialità che devono governare le norme in materia amministrativa.

In definitiva, dopo la “sbornia” iniziale, cosa avranno ottenuto gli avvantaggiati del diploma tradizionale con questa fasulla parificazione a tutto l’iter specialistico del nuovo sistema riformato: una contrapposizione frontale con i diplomati a loro fin’ora equiparati – quelli del triennio – con il rischio, per la nostra classe docente, di uno sputtanamento reciproco, laddove si siano prodotte magagne di vario tipo …

E una conseguente battaglia giudiziaria che danneggerà tutte le nostre istituzioni – e ci pensino i cari amici sindacalisti che si sono improvvidamente imbarcati in questa folle avventura! – una battaglia giudiziaria che rischierà di togliere credibilità a tutti: a coloro che “hanno meglio lavorato” e a coloro “che hanno preferito vegetare”. Siamo sicuri che è questo che tutti noi vogliamo: a nostro danno e, soprattutto, a danno dei nostri studenti?

Con la stima professionale reciproca che ci ha sempre contraddistinto.

Il tuo amico Mario

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8° intervento – Deontologia dei docenti e riconoscimento dello Stato

di Franco Bruno

Intervento su:

Allievi che superano i maestri e riconoscimenti non contraddittori dello Stato

Caro Mario, ho letto attentamente la tua missiva, nonchè l’articolo della da te citata Dora Liquori. Sono imbarazzato dal tanto discutere di leggi, riconoscimenti o meno dei nostri titoli acquisiti. Come al solito, nel nostro Paese le leggi vanno fatte al contrario: prima si riformano i corsi e poi (eventualmente) si creano i vivai, ossia la massa di utenza che dovrebbe arrivare dalle primarie, come in tutta Europa e forse nel mondo intero.

Per me l’ideale sarebbe stato dare un limite temporale al riconoscimento di equipollenza del titolo di vecchio ordinamento agli attuali corsi sperimentali (N.d.E.: adesso ad ordinamento), facendo partire l’equipollenza dal periodo antecedente all’avviamento dei nuovi ordinamenti.

Per quanto riguarda il fatto che gli allievi superano i maestri, beh, questo dovrebbe essere il vero motivo che noi docenti di comprovata professionalità, dovremmo  prefiggerci come obiettivo finale, certamente senza subire ingiustizie e contraddizioni da parte dello Stato. Grazie della considerazione nei miei confronti; con stima e rispetto.

Franco Bruno

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7° intervento – I diplomati del triennio: carne da macello?

di Mario Musumeci

Intervento di sintesi rispetto quanto fin’ora prodotto dalla discussione

La questione, con tutti i suoi difetti iniziali di comunicazione, si prospetta come l’estremizzazione tra:

1. quelle istituzioni che nei trienni in maniera pluridisciplinare  ben impiantati hanno lavorato con impegno e passione producendo risultati spesso di eccellenza non producibili nel corso di studi tradizionale se non per la sola disciplina strumentale d’elezione e

2. quelle istituzioni che in tal senso sono piuttosto “rimaste al palo”, disimpegnandosi nei modi più diversi e che nei trienni hanno visto solo un corpo estraneo da aggirare e non semmai da sorreggere come il futuro delle nostre istituzioni; così come peraltro si prospetta adesso con l’avvenuta messa ad ordinamento.

I difetti di comunicazione sono legati certamente al diverso posizionamento anche di esperienza professionale dei soggetti coinvolti e dunque a prospettive di visuale complessiva che realmente non conoscono altre visuali altrettanto globali del sistema di regole in gioco. E agire con cinismo, perseguendo ciascuno tale atteggiamento “miopico”, al momento attuale significa solo affondare la barca comune. E mi spiace che colleghi di altre istituzioni da me stimatissimi tardino ancora ad accorgersene.

Ecco perchè “questa chiamata alle armi”: in pratica – a costo di banalizzare, con altrettanto cinismo, ma in maniera molto meglio finalizzata – coloro che meno hanno lavorato in questo decennio all’interno dei processi innovativi del 3+2 pretendono che la stessa qualificazione sia attribuita al vecchio e superato diploma tradizionale che di per sè dovrebbe diventare specialistico (!). Mentre i trienni accademici oramai messi tutti ad ordinamento – e anche quelli sperimentali (checché se ne dica, pur anche mentendo o blaterando a vanvera) – dovrebbero rimanere quello che sono: appunto un primo livello da completare con un secondo. Se non si leggesse la disposizione normativa in corso di approvazione non ci si crederebbe. E ancor più se non si ascoltassero le opinioni di chi questa norma appoggia con pertinace convinzione senza misurarne le conseguenze catastrofiche per il lavoro svolto in questo decennio dalle istituzioni che si sono impegnate a fondo nel rinnovamento dell’intero sistema.

Inutile dire che anche la demagogia prende il sopravvento: “todos caballeros!” per chi ancora si diploma con il diploma tradizionale vecchio e superato, quantitativamente e, di riflesso, qualitativamente e semplicemente perchè risalente ad un secolo fa, a programmi degli anni trenta e a mentalità e tecnologie di quell’epoca! Certamente gli interessati in tal senso sono maggioranza nel Paese: vorrei dire che essa include potenzialmente anche il sottoscritto che si troverebbe, a colpo di mano effettuato, con i suoi due diplomi del vecchio sistema inquadrati come specialistici e sicuramente meritati tali per l’impegno professionale ampiamente dimostrabile. Ma questa maggioranza non deve e non può disporsi acriticamente rispetto le conseguenze gravissime di delegittimazione del lavoro ben fatto assieme ai nostri studenti nel triennio accademico, ieri sperimentale oggi messo ad ordinamento. Questi studenti sacrificati sull’altare delle convenienze politiche non sono carne da macello, vorrei dire ai miei interlocutori altrimenti convinti.

Se si equiparasse anche il diploma triennale al 3+2 (nonostante l’evidente contraddizione, perfino numerica, dell’operazione) la cosa potrebbe avere forse un senso. Al biennio fin’ora specialistico, forse ancora da ben verificare su scala nazionale, si potrebbe arrivare ad attribuire un valore aggiuntivo al modo – ad esempio – di un master biennale. Così, nonostante la forzatura logica e istituzionale, si salverebbero “capra e cavoli”. Ma contestualmente bisognerebbe apportare al sistema della riforma appena entrato ad ordinamento modifiche non da poco.

Io avrei previsto altre soluzioni, conservando innanzitutto l’esistente così com’è ed eliminando la forzatura ben più grave che il più volte richiamato DDL sta operando; nonostante la scarsa considerazione che queste mie proposte fin’ora hanno ricevuto – al limite cinico della loro stessa derisione: ahimè, quanto ci si chiude occhi e cervello, se si vuole perseguire ad ogni costo i propri scopi e le proprie battaglie personali! Ad esse rimando i volenterosi, ricordando che i tempi sono già strettissimi e che nella prossima discussione del DDL nella preposta commissione della Camera devono al più presto arrivare i risultati di scelte ampiamente condivise e non effettuate preliminarmente nelle stanze “buie” di qualsivoglia sindacato o partito politico: anche se si tratta del migliore sulla piazza.

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6° intervento – Il nocciolo della questione

di Mario Musumeci

In risposta ad altra mail di cui non si è autorizzati a pubblicare contenuto ed estensore

Continua la mia interessante discussione via mail. E dunque aggiungo, allo stesso modo della precedente, la mia risposta. Che comincia ad aprire squarci di ulteriore verità rispetto l’iniziale almeno apparentemente insanabile contrasto delle opinioni.

“Ho letto e riletto le tue mail e mi accorgo che abbiamo avuto nei nostri rispettivi ambiti lavorativi – diversi per territorio ma anche per specifici riferimenti disciplinari – situazioni solo in parte analoghe: specie con riferimento ai bienni – a mio avviso (e la penso come te) ancora da ripensare; mentre per i trienni la questione è ben diversa: da noi hanno spesso raccolto il meglio. Nel mio sito pubblico e continuerò a pubblicare monografie e studi di ricerca scientifica sul linguaggio musicale e sulle connesse questioni della performance e del repertorio, svolte sia in collaborazione con me sia protagonisticamente da questi miei studenti, soprattutto di terza annualità. Non poche hanno trovato spazio in riviste scientifiche di importanza nazionale ed internazionale. Probabilmente è tale estrema differenza di visuale che ci posiziona su idee molte diverse.

Certamente deciderà il Parlamento. Ma ascoltando anche le parti in causa e valutando il peso delle contraddizioni e delle controindicazioni.
Se il diplomato del triennio fosse costretto a frequentare, diversamente dal diplomato del tradizionale, anche il biennio per mettersi alla pari la contraddizione esploderà certamente, anche se si dovesse trattare di una esigua minoranza di studenti. Vorrà dire che, per accontentare gli assatanati, andremo ad “impiccare” qualche responsabile ministeriale in qualche pubblica piazza … :-)

A meno che il diploma triennale non venga anch’esso equiparato a laurea specialistica, quanto meno se conseguito come da noi, dove era ed è tecnicamente impossibile accedere al triennio da un diploma decennale se non dopo il settimo anno. A questo sarei senz’altro d’accordo. E potrebbe essere una soluzione. Vedi se riesci a metterla bene a fuoco con chi di dovere … a me però sembra che permanga la contraddizione con il principio europeo del 3+2.

Mentre per chi ha acquisito un biennio specialistico forse potrebbe andare come auspichi tu; ma mi domando perchè dovrebbe avere una valutazione a sè stante il diploma di biennio una volta che tale valore normativo venga assorbito dal tradizionale, e magari auspicabilmente – aggiungo – da un triennio impiantato in analogia al tradizionale (ma come?!). Dovremmo meglio considerarlo un master il biennio? Io sul piano pratico sarei anche d’accordo. Ma ciò contraddice sia la sua qualificazione attuale sia il più recente varo del decreto istitutivo proprio dei Master.

Peraltro il “difetto” (stavolta mi “perdonerai” tu) degli strumentisti decennalisti è spesso quello di pensare il conservatorio a propria immagine e somiglianza. Ma ci sono anche i corsi da 5 a 6 a 7 anni … Equiparati al 3+2 tutti quanti?!
Mentre al triennio ho avuto studenti di questi corsi non decennali in gamba e che hanno dimostrato di possedere talento e cultura per il tanto impegno profuso (anche con intelligenti tesi di laurea), per buona parte di loro il tradizionale è stato quasi da sempre una sorta di refugium peccatorum, salvo le dovute eccezioni s’intende: ho avuto studenti tra questi che sceglievano invece del corso annuale e magari frequentavano brillantemente la biennale (con terzo anno facoltativo, ora stabilizzato nel triennio) disciplina analitica sperimentale (poi equiparata alle prime due annualità del triennio) – analitica ovviamente del testo musicale – piuttosto che l’evanescente Cultura musicale generale, che appunto ho smesso di insegnare quasi del tutto da oltre vent’anni.
Conosco insomma studenti che quasi per niente sanno leggere e scrivere di musica e con la musica – e non di rado, anche con il linguaggio verbale – e che col tradizionale e con bienni facilitati hanno scansato tutte quelle “difficoltà” che mettessero in dubbio tale loro beata ignoranza. Li equipariamo dunque ai letterati universitari del 3+2, ma anche del +5 (liceo – magari – classico propedeutico, come nel nostro campo disciplinare solo adesso a malapena comincia ad esistere ad un raggio nazionale)?!

Che il Signore ce la mandi buona.”

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5° intervento – Proviamo a capirci

di Mario Musumeci

Intervento interlocutorio rispetto un preparato sostenitore della norma incriminata 

Ad un cortese intervento, giuntomi via mail, abbastanza critico ma in maniera molto ben argomentata, ho risposto quanto riporto di seguito. Senza citare, salvo che non me ne dia successiva autorizzazione, il testo e il nome dell’interessato. E riporto la mia risposta perchè porta ancora più avanti il dibattito. Anche se mi sembrerebbe più giusto che tutto ciò avvenisse alla luce del sole per chiunque sia coinvolto e con le migliori motivazioni possibili.

“Beh, ti ringrazio innanzitutto della pazienza – e della passione – con cui controbatti le mie tesi. Peraltro, pazienza e passione, del tutto analoghe alle mie.

Se la cosa riguardasse solo la mia posizione professionale so già che non potrei che esserne contento, anche a prescindere dell’uso effettivo che potrei fare di detta equiparazione.

Come però mi sono sforzato di far capire – e mi accorgo: inutilmente – il mio problema sono quei miei, quei nostri studenti, ai quali ho/abbiamo consigliato la scelta del triennio.

Adesso costoro avranno acquisito un titolo di valore inferiore a quello tradizionale?!

E dando ragione proprio a quei docenti che hanno più o meno boicottato il triennio per “far passare più facilmente e rapidamente” (parole fin troppo sentite) i loro studenti al biennio. Questi studenti che hanno compiuto il triennio si sentiranno truffati, rispetto i loro colleghi che si trovano incluso in più e con palese ingiustizia nel tradizionale il valore del titolo specialistico. E pure si sentiranno truffati coloro che hanno compiuto il biennio specialistico, per il di più che hanno dovuto fare. A me non sembrano questioni da poco e da sbrigativamente scaricare sull’amministrazione centrale.

Pertanto la domanda che non trova con tutta evidenza una risposta è: come la mettiamo con queste altre due categorie di studenti: i triennalisti “depauperati” della specializzazione e i biennalisti che avranno speso soldi e studio (entrambe le categorie cornute e mazziate, come sarebbe meglio chiamarle)?

Comunque quello che mi interessa è avere la coscienza a posto: sarà, per altri, una mia personale debolezza, ma costituisce la mia forza più autentica a cui mai rinuncerei. Pertanto auspico che la discussione avvenga almeno con la massima trasparenza. E che si sappia con esattezza quali siano gli attori in gioco.

E difatti se la grande maggioranza degli studenti a favore dell’equiparazione tra diploma tradizionale e intero 3+2, di cui quantitativamente mi informi, corrispondesse a quelli che hanno acquisito solo il diploma tradizionale? E grazie che sono d’accordo: si risparmiano un altro biennio di lavoro. E se i docenti anch’essi d’accordo fossero proprio quelli delle istituzioni che non hanno attivato fino all’ultimo il triennio …
INSOMMA CHI – a distanza di un decennio di avvio del primo triennio – MOLTO TARDI ARRIVA, E MAGARI PER COLPA O FURBIZIA PROPRIE, MEGLIO ALLOGGIA?

Quanto alle tue osservazioni un pò avventate (offensive? Credo non nell’intenzione e perdono queste … caratterialità, dato che recepisco tutto il resto come una generosa disponibilità) circa:

1.
Credo tu non sappia cosa sia la “honoris causa” e che non è il Parlamento a rilasciarla ma le Istituzioni stesse! PER LEGGE.

2.
Sarebbe il classico papocchio all’italiana!

3.
perché un BUON AMMINISTRATIVISTA sa che una legge, non essendo atto amministrativo, non può essere “ricopribile”;

4.
La cosa grave che ti sfugge è non c’è nulla di precostituito per legge che ha stabilito una”gerarchia” di titoli.

direi che (in ordine sparso):

2. semmai il super-papocchione all’italiana è quello che si sta apprestando in tal modo.

3. che il giudizio incidentale di costituzionalità davanti ad un tribunale amministrativo (proprio negli studi di diritto costituzionale me la cavavo abbastanza bene …) può senz’altro portare, anche se con procedura complessa, all’incostituzionalità di norme di legge e quindi all’annullamento delle disposizioni in questione. Insomma veramente pensi che gli studenti danneggiati se ne staranno, assieme alle loro famiglie, con le mani in mano?

4. Intanto la gerarchia dei titoli è proprio stabilita per legge, e anche ovvia per propedeuticità, tra primo e secondo livello (e master di primo o secondo livello e dottorati od affini … etc.) – su questa ovvietà penso che sarai d’accordo – ma, anche, nella normativa applicativa della riforma è stato previsto come dovesse avvenire il passaggio dal diploma tradizionale da quinquennale a decennale al diploma di triennio: gli ultimi tre anni del diploma tradizionale diventavano le tre annualità del triennio e in ciò è già implicata l’equiparazione. Peraltro tutte questioni che hanno una storia ormai decennale e che poi sono state variamente usate in coerenza con tale principio. L’equiparazione è avvenuta sia nei fatti sia nel diritto applicativo per legge-delega 508/1999: i decreti ministeriali regolamentativi e applicativi in via definitiva della legge-delega non sono mai stati impugnati da chicchessia con buon esito fino al consiglio di stato, e dunque vengono assorbiti dalla legge praticamente come norme di primo grado. Sarà forse, per qualche amministrativista una tesi controbattibile, ma lo è anche quella inversa.

1. che proprio le mie ipotesi di soluzione – qualcuno ne ha trovate di meglio? – erano da adattare alla necessità: lo sanno anche i muri che l’honoris causa la rilasciano le stesse istituzioni (quelle universitarie come quelle accademiche), il che peraltro potrebbe anche essere una facilitazione, se ben saputa utilizzare con una intelligente autonomia. Si tratterebbe di trovare una formula da adattare in analogia ed eventualmente inserire nella legge o fors’anche in un provvedimento amministrativo ad hoc.
Insomma, se si è disposti a fare “il grosso imbroglio” non vedo perchè non si possa fare quello “piccolo” e con un buon fine: tutelare nel diritto transitorio i docenti dell’Afam che rilasciano pionieristicamente titoli di studio superiori a quelli posseduti, ammesso che ce ne sia veramente bisogno nella situazione attuale e in quali concreti termini.
Anche qui, lo sanno pure i muri che i docenti procedono più speditamente in carriera per titoli di servizio e, da noi, anche artistico-professionali, e non certo per quantità aggiuntive di titoli di studio. Al momento che tali qualifiche vengano messe in discussione da ulteriori provvedimenti che richiedano in via esclusiva un titolo specialistico forse sarebbe una iattura, certo, ma da controbattere al momento nel verso giusto e non in quello sbagliato.
E comunque, riguardo alle mie proposte, si tratterebbe solo di escamotage per evitare scelte peggiori.

Ma siccome quello che per me è il peggio per te è il meglio, che siano a decidere gli interessati. Ma ben informati però e soprattutto quelli esclusivamente coinvolti a proprio danno, cioe i triennalisti e i biennalisti e i loro docenti. Lasciamo stare gli altri; sarebbe demagogia da quattro soldi.

Amici, come sempre.”

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4° intervento – Lettera aperta alla Prof.ssa Dora Liguori (Unams)

di Mario Musumeci

PROPOSTA DI UN FORUM

Carissimi colleghi e carissimi studenti.

Leggo solo adesso l’articolo sull’argomento della, per me certamente, ottima Prof.ssa Dora Liguori. Ciò sempre continuando il discorso impiantato poco prima, in una precedente mail, riferita al mio articolo sull’argomento di cui al punto 1.

A cui senz’altro rimando, e che solo adesso scopro in palese contraddizione con quanto, a parer mio erroneamente e in modo abbastanza grave, affermato dal sindacato Unams, che pure da sempre sostengo come il più vicino alla nostra categoria: mi basterebbe solo ricordare che in un passato non più recente sono stato RSU-Unams con una percentuale di voti preferenziali o solo di lista – dunque rivolta quanto meno alla mia presenza – quasi tripla rispetto lo standard che questo sindacato ha da sempre ottenuto nella mia specifica istituzione accademica.

Le affermazioni contenute nell’articolo in questione della pur brava Dora Liguori non colgono, a parer mio, il lavoro fatto in quasi un decennio di sperimentazione e di messa ad ordinamento dei trienni accademici. Cosa risaputa nelle istituzioni di cui conosco l’andazzo generale è che gli studenti, e soprattutto i diplomandi in specialità strumentale di durata non decennale, se la fanno se possono oramai alla larga dai maggiori impegni del triennio proprio per completare al più presto il diploma e magari accedere prima al biennio (solo a titolo di esempio, potrei fare riferimento al mio settore disciplinare: tre annualità di nuovissime ed aggiornatissime discipline nel triennio con incidenze dirette e indirette nella redazione delle tesi di laurea, a fronte della decrepita Armonia annuale di detti corsi del tradizionale …).

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Approfondisco ulteriormente, con degli esempi, la vera questione in ballo.

Se l’equiparazione riguardasse solo i docenti in servizio, con speciali motivazioni come suggerisco appresso con delle proposte alternative, andrebbe benissimo; ma così non va proprio, perchè stiamo parlando del diploma tradizionale che, ad esaurimento, stanno ancora acquisendo in tanti, assieme ai titoli di nuovo ordinamento.

Allora vediamo un pò:

mi trovo di fronte:

1. un diplomato del corso tradizionale,

2. uno del triennio che sa perfettamente che la sua è stata una scelta di passaggio al terz’ultimo anno del normale corso di studio (ottavo anno per i decennali, terzo anno per i cantanti, quinto anno per i fiati con sette anni di vecchio diploma, etc), però con una scelta di maggiori materie, con obblighi di frequenza per materie che prima erano facoltative etc. etc..

3, uno del biennio proveniente dal corso tradizionale,

4. uno del biennio proveniente dal triennio.

Bene, vediamo un pò che aria tirerebbe dopo l’approvazione della detta norma, per me famigerata e con ogni evidenza. Anche se ne capisco il fine di tutela della classe docente, ma bisognava pensarci prima di avviare trienni e bienni, oppure bloccando con l’avvio di trienni e bienni la possibilità del tradizionale.

  • Quello del punto due “farebbe il diavolo a quattro” perchè si vede scavalcato dallo studente del punto 1.: magari anche lui poteva rimanere nel tradizionale ma non l’ha fatto perchè consigliato, e con ottimi motivi, della bontà di scelta qualitativa del triennio (1). Dunque questo studente, sentendosi preso in giro, agirà in giudizio con strepitose prospettive di successo.

(1) Mentre quelli del tradizionale spesso rimanevano nello stesso proprio per non accedere, nel triennio, ad una scelta che già per discipline era quantitativamente maggiore (dato oggettivo, da chiunque verificabile).

  • Quello del punto 3 farebbe “farebbe il diavolo a quattro” doppiamente, perchè lui si è iscritto al biennio per avere un titolo specialistico, e adesso scopre che già lo possedeva (!). Dunque agirà anche lui contro i concorrenti del punto 1, e sempre con strepitose prospettive di successo, magari chiedendo pure alle istituzioni un congruo risarcimento del danno per le spese di frequenza inutilmente sostenute.
  • Quello del punto 4 “farebbe il diavolo a quattro” triplamente, perchè riunirebbe assieme le motivazioni di quelli dei punti 2 e 3; dunque porterebbe avanti un contenzioso anche fino alla Corte Costituzionale e – tempo permettendo – si arriverà con maggiori probabilità del contrario a ottenere giustizia, risarcimenti inclusi.

Nel frattempo vedremo categorie di studenti e docenti l’uno contro le altre armate, in una fase delicata che esigerebbe semmai fiducia reciproca nell’interesse della crescita e della difesa delle istituzioni, aggredite da un sistema politico impegnato per lo più solo a fare cassa e da una crisi economica senza precedenti.

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L’unica iattura del sistema riguarderebbe a parer mio i nuovi docenti precari – o meglio: potrebbe riguardarli, in un’ottica perversa del sistema (dove prevalgano i nepotismi, le ingiuste raccomandazioni, le lobby organizzate e non certo per il bene comune; ma in tali contesti si può arrivare a fare ben altro, se si vuole e non c’è nessuno che l’impedisce …) –  e non tanto i docenti titolari o precari ma in graduatorie nazionali, che quei titoli di studio, previsti dalla riforma, hanno impiantato ex-novo e in non pochi casi, come nella mia istituzione, portandoli ad un livello di eccellenza – per l’impianto pluridisciplinare e per tesi di laurea e per performance (anche pubblicate le une e talvolta registrate le altre) – mai viste assieme nei diplomi tradizionali.

Certamente i discorsi generalizzanti non funzionano mai e potrebbe essere anche il caso delle mie specifiche argomentazioni; ecco perchè le espongo in un eventuale Forum aperto a tutti gli interessati, inclusi i miei attuali interlocutori.

Solo che è ovvio, estremamente ovvio prevedere che l’equiparazione del diploma tradizionale al 3+2 nella sua interezza non regge proprio giuridicamente oltre che moralmente.

Chi ha conseguito il triennio e anche chi ha conseguito il biennio partendo dal tradizionale, trovandosi scavalcato o messo alla pari da o con chi possiede solo il tradizionale, se ne starà con le mani in mano? Certo che no! E qualunque buon amministrativista troverebbe il modo di arrivare in sede giurisdizionale al giudizio incidentale di costituzionalità.

E prima o poi la Corte Costituzionale casserebbe questa evidente aberrazione: ma scusate, è così difficile rendersi conto che una gerarchia di titoli di studio precostitutita non può essere aggirata, neppure da una legge ordinaria?! E il danno enorme che si fa ai nostri studenti laureati con i titoli di studio che vanno definitivamente a stabilizzarsi dove lo mettiamo? Perchè nel frattempo le aspettative delle diverse categorie messe in moto da eventi normativi tra loro profondamente contraddittori produrrebbe danni di cui al momento, tra crisi economica e di legalità, non sentiamo proprio il bisogno!

Mi pare proprio il caso del “bambino gettato via insieme all’acqua sporca”. Per tutelare il presunto interesse di pochi soggetti, i docenti non titolari in servizio, si dovrebbe distruggere l’intero sistema! Ma semmai perchè non proporre altre strade più congrue e non distruttive.

Ad esempio –  e pregherei la massima attenzione data la qualità assolutamente costruttiva e giuridicamente possibile delle mie seguenti proposte:

  1. L’attribuzione automatica del titolo di studio specialisticamente compiuto (3+2) per specifica honoris causa  ai docenti di Conservatorio che hanno sostenuto e stanno sostenendo il sistema innovativo, senza alcun incentivo che la propria convinzione di far meglio il proprio lavoro aumentando le proprie doti di professionalità: sia in quanto implicato nel giudizio d’idoneità professionale sia nella conseguente attività svolta a favore dell’attuazione della riforma: sarebbe un bel gesto da parte del Parlamento e a costo zero per l’Amministrazione. E il problema sarebbe bello e risolto. Senza produrre tutti i danni che chiunque sa leggere un testo normativo potrebbe prevedere fin d’ora se il DDL venisse approvato così com’è.
  2. L’inquadramento dei precari conservatoriali tutti – a prescindere dal tipo di graduatoria – in una speciale e specifica condizione giuridica, analoga a quella dei docenti ad esaurimento, ma ben tutelata nel momento dei giudizi di idoneità da apposite previsioni nelle tabelle di valutazione dei titoli rispetto le nuove leve, che loro stessi hanno formato e che grazie solo a questo oggi possono permettersi di possedere titoli nuovi, prima inesistenti nell’ordinamento.

D’altra parte è cosa ragionevole per chiunque che la professionalità, di chi svolge un mestiere da un certo lasso di tempo, non si continua a misurare con il titolo o con i titoli di accesso, ma con il curriculum professionale e didattico nel frattempo prodotti. Questa regola vale per tutti i campi. Mentre noi stiamo ancora a discutere a trenta, quarant’anni e oltre dell’importanza decisiva di un altro titolo di studio per la nostra carriera, di studio piuttosto che di ricerca e di qualificazione professionale sul campo!

Ma vediamo di smetterla! Ho avuto colleghi che hanno pensato ad acquisire diplomi fino a quarant’anni compiuti. Non sarebbe stato più serio imparare a fare meglio il proprio lavoro e portarlo ad un livello di eccellenza, come succede nelle facoltà universitarie, fors’anche le meno serie? Spero comunque che la discussione eviti gli inappropriati toni esagitati del momento. Non ne vale la pena, nell’interesse di tutti noi. Con la stima di sempre, anche nei confronti di chi umanamente può anche una volta sbagliarsi, seppure di grosso.

Mario Musumeci

N.B.:

A proposito: possiedo due diplomi accademici, uno strumentale e l’altro compositivo – assieme ad una miriade di titoli professionali e didattici che impressionerebbe chiunque dei miei colleghi (ovviamente che sia in buona fede …): dovrei considerarmi un masochista solo perchè invece di aspirare alla loro trasformazione in titoli specialistici preferisco tutelare i miei allievi, che hanno creduto nella qualità del mio lavoro e del lavoro svolto dai miei colleghi all’interno di trienni e bienni?

[Il riferimento è all’articolo sull’argomento della Prof.ssa Liguori – cfr.: http://www.Unams.it: Laurea si e laurea no … ….privatisti si e privatisti no, di Dora Liguori, Comunicato Stampa  – a cui rivolgevo le mie doglianze …; ovviamente sono viceversa d’accordo sulla questione dei privatisti e non certo da adesso bensì, ampiamente motivando e rimanendo inascoltato, da alcuni decenni.]
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3° intervento – Le regole del dialogo

di Mario Musumeci

Intervento rispetto il precedente n. 2

La ringrazio, gentile Prof. Bertone, per il suo intervento, che reputo senz’altro autorevole per la funzione da lei rappresentata presso il Cnam.

Credo però anche che l’autorevolezza di un discorso si misuri dalle argomentazioni poste in essere; ed anche dal contraddittorio serrato e convincente rispetto tutte quelle che si sottopongono a critica.

Ma lei queste argomentazioni, in entrambe le direzioni, non le offre o, forse, le rimanda. Oppure dovrei/dovremmo pensare che di buone argomentazioni lei, al proposito, non ne abbia alcuna?

Premesso che sarei, anzi che saremmo contentissimi di poterci sbagliare, dato che qui nessuno ha certo la pretesa acritica di un possesso di verità assolute, sarebbe più piacevole però argomentare “ad armi pari”.
E magari con il più nobile scopo di un “disarmo reciproco”, alla fine. Insomma solo una “battaglia argomentativa”, ovviamente priva del sottinteso “lei non sa chi sono io” e chiudiamola qui …

Il che farebbe male ad entrambi, facendo comunque parte entrambi della stessa “barca”: l’Afam-Conservatori.

Dunque rimango – anzi, credo proprio che, rimaniamo – in attesa paziente dei suoi graditissimi chiarimenti. Al proposito, dato che nel frattempo mi sono accorto che il suo intervento è riferito al primo articolo apparso sul sito sull’argomento, mi preme avvertirla che nel frattempo è stato aperto un Forum (cfr. apposita rubrica) dove la discussione è stata portata un tantino più avanti, a partire dalla stessa lettera pubblicata sull’argomento dalla Prof.ssa Dora Liguori.

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2° intervento – Non sono d’accordo

di Bruno Bertone, docente, concertista, membro del CNAM

Non posso che dissentire su quasi tutto, per non dire tutto.

E lo dico da musicista che da molti anni vive sia le ragioni dell’insegnamento sia quelle della professione.
Il primo punto che credo irrinunciabile è il riconoscimento del vecchio titolo come massimo livello del vecchio sistema e di conseguenza come laurea di II Livello.
Potrei parlare ed esemplificare sotto tutti gli aspetti, di contenuto, di logica, di legittimità nazionale ed internazionale, ed altro, ma evito di farlo in questo momento.
Mi limito a dire che il collega Prof. Musumeci ha decisamente torto nella sua affermazione.
STOP

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1° intervento – DDL 1693 e valorizzazione dell’Afam: il punto sulla riforma

di Mario Musumeci

Il disegno di legge approvato

In data 30 novembre 2011 il DDL n. 1693 di “Valorizzazione del sistema dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale” è stato approvato dall’aula del Senato e trasmesso alla Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva. Esso contribuirebbe certo in modo rilevante alla compiuta attuazione della legge n. 508 del 21 dicembre 1999 di riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati.

E ciò, nonostante che qualche disposizione, almeno al modo qui prevista, trovi sicuramente seri problemi nella propria stessa compiuta attuazione.

ddl 1693 – testo approvato dal senato

Se si dispone infatti l’ormai da tempo attesa equipollenza dei diplomi accademici di I e II livello alle lauree universitarie umanistiche (classi di laurea L3 e L4 per le lauree e LM 4, LM 89, LM 45 e LM 12 per le lauree magistrali), “ai fini dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto il possesso”, si prevede anche l’incongrua ed erratissima equipollenza dei diplomi di vecchio ordinamento ai diplomi accademici di II livello (a loro volta equiparati alle lauree magistrali). Incongruente quanto meno nell’ancora attuale permanere ad esaurimento di diplomi tradizionali accanto ai diplomi accademici triennali di nuovo ordinamento neo-stabilizzati, ma funzionanti nelle istituzioni accademiche musicali da circa un decennio. E certamente ben configurati, per impianto pluridisciplinare, come effettive lauree di primo livello a fronte dell’atipicità dei vecchi e superati diplomi conservatoriali, da quinquennali a decennali per durata e per di più con ridottissimi impianti pluridisciplinari di sostegno. Gli studenti laureati nel triennio si troverebbero così ad essere superati dai loro colleghi rimasti, per la comodità del minore carico di studio, nel tradizionale: il quale da equiparato – e già non del tutto giustamente – al triennio stesso addirittura lo scavalcherebbe, includendo nel detto diploma accademico tradizionale anche le competenze specialistiche del biennio magistrale. Un’ingiustizia che, per la sua enormità, provocherebbe con ogni probabilità un contenzioso infinito e soprattutto di livello costituzionale.

Altre sviste o miopie di una pur moderna visione culturale? 

La previsione dell’istituzione, certo opportuna, di un Consiglio Nazionale degli Studenti di Accademie e Conservatori (CNSAC), analogo al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU), non è supportata da alcun finanziamento. Insomma si prevede che le relative attività, comportanti quanto meno trasferimenti a lunghe percorrenze per le riunioni dell’organo istituzionale, debbano avvenire ad esclusivo carico economico degli studenti interessati! E qualche dubbio andrebbe pure posto rispetto la drastica e incomprensibile riformulazione delle norme riguardanti la composizione del Cnam, il consiglio nazionale di rappresentanza dell’Afam. Che, per la prevista eccessiva presenza di plurime componenti minoritarie, sembrerebbe sospinto verso una delegittimazione della propria funzione istituzionale, a favore di una qualità rappresentativa più politico-sindacale.

Altri provvedimenti risulterebbero utili, seppur già fossero previsti dalla legge 508 del lontano 1999 ma mai portati ad attuazione, vuoi per l’inerzia delle singole istituzioni, vuoi per il mancato supporto e l’incentivazione adeguata da parte degli organi ministeriali preposti. E si va dalla possibilità di ammettere alla frequenza del Conservatorio i talenti precoci iscritti presso le scuole medie ad indirizzo musicale o presso i licei musicali; la quale era già implicita nella possibilità poco o per niente considerata delle convenzioni inter-istituzionali “verticali” – previste tra Conservatori e scuole secondarie ad indirizzo musicale. E ancora dalla già prevista – sempre dalla legge 508/1999 – messa ad ordinamento dei corsi accademici biennali di II livello. Tuttora considerati come sperimentali e forse mai realmente decollati sul piano qualitativo data l’eccessiva disparità di ordinamento tra le diverse sedi, seppure più diffusi sul territorio nazionale degli stessi trienni accademici.

Fino all’istituzione dei Politecnici delle Arti che era già anch’essa contemplata nella possibilità, poco o per niente attuata, delle convenzioni interistituzionali “orizzontali” tra le diverse istituzioni dell’Afam, e anche con facoltà universitarie. Adesso i Politecnici delle arti sono riferiti esplicitamente solo a istituzioni dell’Afam e costituiscono innanzitutto effettivi accorpamenti inter-istituzionali: enti che “subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi alle istituzioni in essi confluite, che mantengono la loro denominazione configurandosi in un massimo di cinque facoltà: arti visive, arte musicale, arte drammatica, arte coreutica, design.” Con la previsione di comuni figure di gestione:  rettore, senato accademico, consiglio di amministrazione, direttore amministrativo, etc… Se dunque paiono interessanti tali previsioni che ancor più accomunerebbero le istituzioni dell’Afam alle istituzioni universitarie è però lecito domandarsi come, quando e perchè tali accorpamenti debbano attuarsi, soprattutto con quali incentivi a fronte dei palesi disincentivi già prefigurati attraverso l’unificazione delle figure di gestione amministrativa: i restanti direttori amministrativi, ad esempio, andrebbero in esubero, pure a fronte della mole di lavoro attuale che già in più casi ne comporta due e non uno per alcune singole amministrazioni? E, ancora, perchè (peraltro giustamente) prevedere possibilità di unificazione delle dette facoltà dell’Afam e non includervi anche la facoltà di Lettere, atteso che proprio il Dipartimento di arti, musica e spettacolo (Dams) ivi inserito, è quanto di culturalmente e formativamente più interagente possa immaginarsi rispetto gli studi conservatoriali riformati? E forse che, in una visione interdisciplinare più attuale e conforme ai nostri tempi, gli statuti di performativa creatività, tipici dell’Afam, non siano bene esprimibili in analogia con quelli degli studi umanistici, in quanto riferiti anch’essi ad attività creative e performative di primario risalto intellettuale, dunque dotate di artistica intrinsecità? E non è proprio in tale direzione che si è implicitamente espressa la sopra richiamata equipollenza dei titoli?

Un’autonomia priva di adeguati supporti finanziari e organizzativi

Peraltro sempre a fronte della tanto auspicata definitiva equiparazione delle istituzioni Afam alle Università, per quanto riguarda strutture e personale oltre che titoli rilasciati, è stato solo accolto come ordine del giorno un importante emendamento sulla definitiva equiparazione dei docenti dell’Afam ai professori universitari; impegnando pertanto il Governo ad affrontare e risolvere la questione. Certo fastidiosa in tempi di rigido contenimento della spesa, ma conditio sine qua non per il compiuto decollo del sistema formativo accademico: come si può pretendere spontaneamente e a costo zero un incremento della qualificazione professionale e un notevole carico di maggior impegno lavorativo? E in effetti traspare non poco dalle ormai solite, e diffuse nel DDL, previsioni di interventi normativi “senza oneri economici da parte dell’Amministrazione” la precisa volontà di un reale disimpegno. Certamente biasimevole a fronte delle tante belle parole che si continuano a spendere nelle più diverse sedi istituzionali e politiche a favore delle arti e rivolte ad una nazione, l’italiana, che nelle arti tutte ha da secoli elaborato il meglio del suo dna. Analogamente è stata blandamente accolta la raccomandazione di provvedere in qualche modo alla stabilizzazione del personale precario di cui alla legge 143. E ciò a fronte di una gran quantità di personale docente in servizio da un decennio e oltre, e mai stabilizzato seppure assunto di anno in anno su cattedra disponibile. Mentre sono stati giustamente bocciati alcuni emendamenti ritenuti dilatori della definitiva stabilizzazione dei nuovi ordinamenti, quali una norma che avrebbe permesso ai privatisti di concludere gli studi da esterni entro il 2017/2018 e una disposizione che avrebbe consentito ai direttori in servizio di rimanere tali fino al trattamento di quiescenza, a fronte di una carica elettiva provvisoria statuita da oltre un decennio, a durata rigorosamente limitata per numero di mandati. Infine non si comprende sia lo spirito che il senso letterale di una specifica e oscura disposizione – forse riferita alle simultaneità di frequenza di più corsi conservatoriali? – che prevede che agli studenti dei Conservatori venga consentita la frequenza di “non più di due corsi nell’ambito dei corsi di vario livello afferenti alle scuole”. Nè sembra utile ad alcunché nella sua ovvietà la specifica e sporadica indicazione che “Tra i titoli validi per accedere all’insegnamento del canto nei Conservatori di musica può esservi anche una comprovata esperienza in una delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane.”

Non poche dunque le “sviste” nel testo normativo in corso di approvazione definitiva (ma senza le opportune correzioni?). Così il relativo compimento di percorso rischia, a sua volta, di rimanere l’ennesima incompiuta e insufficiente attuazione. Niente di nuovo: se, a distanza di undici anni dalla emanazione della legge 21 dicembre 1999 n. 508, la riforma in senso universitario delle Accademie e dei Conservatori non è stata ancora pienamente attuata, neppure ad essa si è accompagnata l’indispensabile e compiuta riforma dell’istruzione musicale e coreutica di base. Rimangono vaghi e non definiti i programmi musicali delle scuole medie ad indirizzo musicale, con specifico riguardo alle esigenze di verticalizzazione degli studi musicali professionali e del loro precoce impianto. Anzi proprio al proposito non è previsto un indirizzo musicale o coreutico nella scuola primaria e non è previsto l’indirizzo coreutico nella scuola secondaria di I grado. E ancora pochissimi e del tutto insufficienti al fabbisogno sono i licei musicali e coreutici istituiti dalla recente riforma della scuola secondaria superiore. In tali condizioni non si comprende come e dove si debbano preparare i giovani musicisti o danzatori per accedere, dopo gli istituti secondari, ad un’alta formazione musicale o coreutica di livello universitario; effettivamente corrispondente alle previsioni sia del nostro ordinamento costituzionale, sia del contesto europeo in cui lo stesso si colloca oramai da oltre un decennio. Rischiamo di mantenere un gap sempre più insostenibile rispetto i paesi europei meglio posizionati.

(Mario Musumeci – Articolo pubblicato su La Tecnica della Scuola n. 8 del 20 dicembre 2011)

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6 risposte a Forum III sulla “Valorizzazione dell’Afam”

  1. Silvana (docente di Arpa) ha detto:

    Mi pare che la vicenda dell’equipollenza dei diplomi del v.o. al 2° livello, nel bene e nel male, chiarisca definitivamente l’assurdità della legge 508 che, riconoscendo i conservatori come massime scuole musicali pari all’università, attribuiva un misero 1° livello ai diplomi da essi rilasciati. Quanti, allora (inizio del XXI sec.), esultavano per tale “grande” conquista, non capirono che si era trattato di una solenne presa in giro (e la cosa non stupisce, visto come scrivono e si esprimono ancor oggi certi “dotti” musicisti e sindacalisti addetti ai lavori). Oggi è ormai chiaro che, se il v.o. equivale al 2° livello, il triennio più il biennio del n.o. corrispondono né più né meno agli ultimi cinque anni dei corsi del v.o., come sarebbe stato naturale e onesto sancire nel 1999. Non è per brutale faciloneria che si può affermare l’inutilità della Riforma così come essa fu superficialmente concepita. A dodici anni di distanza, stiamo qui a parlare di equipollenze e non di contenuti, di gusci vuoti e simulacri. Fino a quando lo zoccolo duro corporativista-musicale che ha “sequestrato” i conservatori non sarà debellato dalle forze fresche ed eccellenti, delle quali il M° Musumeci è un raro esempio, non ci potranno essere svolte qualitative nell’istruzione musicale pubblica italiana. Altro che valore dei titoli di studio! Nel settore musicale, bisognerebbe abolirlo per sconfiggere il potere dei soloni di una riforma nata già morta.

    • musicaemusicologia ha detto:

      La ringrazio per la stima, anche se ho il sospetto che provenga da una mia “antica” affettuosa allieva. 🙂 E va comunque detto che tanto “fresco” non sono per la mia età … 🙂

      Però sulla Riforma lei si sbaglia e di grosso, come peraltro la maggior parte di coloro che non l’hanno vissuta in positivo da protagonisti, ma solo subita o marginalmente percepita per la sfortuna di rapportarsi con docenti non adeguatamente coinvolti nell’impegno di rinnovo contenutistico che essa stessa promuoveva; e continuerebbe a promuovere, solo se la sua realizzazione fosse tutta affidata a una dirigenza illuminata e all’altezza.

      Come ho già fatto rilevare nell’ultimo articolo – riportando ampi stralci normativi a titolo di prova (quando i musicisti – forse dovrei dire: tutti gli appartenenti al genere umano – impareranno, ahimè, a riflettere non sui sentito dire ma sui fatti che li circondano nella maniera più circostanziata e provata e che determini più responsabilmente il loro destino?): la legge 508/1999 di Riforma dell’Afam non “attribuiva un misero 1° livello ai diplomi da essi rilasciati”, anzi lasciava la questione in sospeso probabilmente per la grande difficoltà di attribuire lo stesso valore a curricoli di studio da quinquennali a decennali.

      Poi allora si muoveva discretamente anche la lobby dei musicologi-letterati universitari (spesso legati alla politica del centro-sinistra: come vedrà appresso nel dire la verità devo politicamente menar fendenti a destra e a manca), il cui sogno segreto era ancora quello di liceizzare le nostre istituzioni per disporle verticalmente al di sotto del loro livello accademico e quindi utilizzarle come ampio bacino d’utenza – questo spiega l’esponenziale crescita dei Dams proprio in quegli anni: certi baroni universitari (una mala razza che andrebbe spedita senza troppi rimorsi in campi di rieducazione …) trovavano così la possibilità di incrementare le cattedre per i loro protetti.

      Al contrario in quei primi anni di spinte innovative – legate comunque ad una positiva politica europeista di crescita del centro-sinistra, poi sistematicamente tradita dai successivi governi di centro-destra – vi fu una Commissione nazionale di studio – la Commissione Salvetti, così chiamata dal nome del suo Presidente famoso musicista-musicologo di livello internazionale e già direttore del Conservatorio milanese, la quale individuò nei preesistenti curricoli di studio la possibile presenza di titoli afferenti al secondo livello.
      Ma poi la demagogia politica, tornata al potere, e soprattutto la corrispondente prevalenza dell’interesse brutale della gran massa dei docenti e dei direttori (solo) strumentisti si posizionò sul “todos caballeros”: studiare musica per cinque, dieci o anche quindici/vent’anni (quanto impiega chi svolge sia studi strumentali che compositivi) doveva essere la stessa cosa!

      Quindi lei – ma non solo lei: siete in tanti a abagliare – non fa bene i suoi conti nell’affermare che “il triennio più il biennio del n.o. corrispondono né più né meno agli ultimi cinque anni dei corsi del v.o.”. Sbaglia innanzitutto perchè dovrebbe cominciare finalmente a pensare – in pieno XXI secolo – che chi comincia a studiare a (cinque-sei) otto anni ad un livello primario resta “in corsa” a livello scolare ed accademico per complessivi 5 (livello primario) + 3 (livello secondario inferiore) + 5 (livello liceale) + 4/5 (livello accademico) = 17/18 anni di studio. Dunque ammettendo che abbia svolto una formazione primaria di una
      buona qualità musicale (magari potrebbe succedere …) ne restano tredici anni da suddividere oggi tra scuola media a indirizzo musicale, liceo a indirizzo musicale e Istituto superiore degli studi musicali. Certamente questa è la prospettiva odierna di chi frequenta la scuola italiana a partire da questi ultimi dieci anni; e sono queste le forze fresche che prima o poi fortunatamente sovvertiranno il sistema, come lei stessa auspica.
      Pensi un pò:
      1) studio tre anni di buona scuola media a indirizzo musicale (laddove questa funziona bene; e personalmente ne ho conosciuti abbastanza di contesti di eccellenza, purtroppo meno frequenti nel Meridione, quando mi occupavo del ramo a livello gestionale, anche delle Rassegne musicali, in un apposito Comitato sperimentale del Provveditorato di Catania);
      2) studio cinque anni in un buon liceo musicale (nel Meridione queste istituzioni sono però … mosche bianche …);
      3) mi iscrivo ai corsi accademici del 3+2 e se ho come docenti Musumeci & Company 🙂 raggiungo quei livelli di eccellenza che mi proietteranno in carriera.

      Vogliamo fare il paragone con un diplomato di un corso quinquennale o settennale? Se nel migliore dei casi proviene da buoni studi pregressi di scuola a indirizzo musicale oppure anche da quelle palestre di vita musicale che sono le bande musicali e certi cori polifonici professionalmente gestiti, potrà mettersi a confronto con la consistenza quantitativa e qualitativa del suddetto compiuto curriculum diciottoennale?
      Questa è la realtà formativa della cultura musicale (nel senso più onnicomprensivo e compiuto) verso cui a breve-media scadenza ci stiamo proiettando. E affermare che un diploma v.o. qualsivoglia di per sè arrivi a confermare quantitativamente (e qualitativamente) da solo questa realtà nuovissima – che però sta correndo come un treno, producendo nuove generazioni di musicisti professionisti – è solo fuori dalla realtà dei fatti. Bisogna guardare il davanti per capire l’esistente e non certo solo l’indietro per rimpiangerlo (cosa dovrei fare allora proprio io che in quell’indietro mi sono formato da studente e poi – avido di conoscenza – da autentico, e almeno genericamente riconosciuto, pioniere?)

      Altrimenti detto: la Riforma era stata attesa da tutti o quasi, almeno a parole, con gran favore; ma è stata poi tradita dalle consorterie che si muovevano nell’ombra per sostenere altri innominabili interessi personali o di specifiche lobby. A queste spinte corporative di bassissimo profilo culturale che stanno adesso destabilizzando assieme alla riforma del 1999 lo stesso destino della qualità della Scuola musicale italiana fanno da contraltare la grande qualità innovativa dei nostri migliori esami di laurea, ai quali non di rado si accosta al momento esecutivo di pregio anche quello argomentativo-riflessivo, ancor più autenticamente musicale se integrato con il precedente. Ad esempio con tesi di ottima qualità, altrove invidiateci e semplicemente impensabili nel vecchio sistema conservatoriale (e non parlo solo per la mia sede lavorativa a Messina). Ed è solo un esempio di quanto di meritorio è stato realizzato proprio nei vituperati, da lei, trienni accademici (ma spesso proprio maltrattati da chi non li ha mai frequentati come docente o come studente oppure da chi li ha boicottati fin dall’inizio).

      Sono queste nuove e oramai stabilizzate realtà formative – il liceo musicale, i trienni e i bienni accademici – che, con tutte le loro possibili storture, si apprestano a costituire da sole il nostro futuro: è così difficile accorgersene? Se lei è una madre dovrebbe capirmi: siamo noi stessi ad averli avviati e amorevolmente prodotti e tra sei, sette anni (forse anche prima) del vecchio diploma comincerà a sussistere solo una cattiva memoria, come di tutte le cose superate dal tempo. Da madre cosa farebbe del futuro dei suoi figli? Lo sacrificherebbe in nome di un qualsiasi passato? O li alleverebbe appassionatamente, coltivando la loro parte migliore?

      Infine: dei contenuti da innovare in crescita piuttosto che dei vuoti contenitori da inventare siamo stati in tanti ad occuparcene in una vita spesa di lavoro, mai peraltro riconosciuto nella maniera più proficua dalle autorità competenti: ad esempio sostenendo a suo tempo l’attività delle istituzioni-pilota della riforma con appositi monitoraggi ispettivi qualificati e appresso, verificata in positivo la qualità del lavoro, attribuendo proprio a quei docenti la funzione tutoriale per sostenere gli altri. Al contrario chi niente ha fatto per i contenuti spesso sta oggi proprio lì a condurre la baracca e sono questi semmai i veri “soloni” cui lei dovrebbe fare riferimento: basta osservare la qualità scadente di gestione di buona parte delle attività di consulenza artistico-musicale al ministero per rendersene conto.
      Purtroppo è un segno dei tempi che merito e deontologia siano merce spesso da nascondere, davanti all’invasività della mediocrità e della diffusa ignoranza di chi “democraticamente” gestisce il potere.

      • Silvana (docente di Arpa) ha detto:

        Non ho avuto il piacere di essere Sua allieva, e non mi stupisce l’aggettivo “affettuosa”, che certamente riguarderà la gran parte dei Suoi studenti in risposta alla passione e alla qualità della Sua docenza. Nel merito, mi sembra che il computo degli anni di studio complessivi, di fatto, indichi la funzione di supplenza che i conservatori hanno dovuto affrontare negli ultimi cent’anni nei confronti dell’inefficienza dell’istruzione musicale italiana. Di fatto, quindi, essi erano già giocoforza secondarizzati, mentre ora evolverebbero verso il livello universitario. Mi rendo conto che la questione è delicata e politicamente impervia. Ma, allora, perché non procedere all’effettuazione di un concorso per reclutare i docenti idonei a insegnare nei corsi 3+2 o almeno nei bienni di 2° livello, da attivare magari non indiscriminatamente in tutti i conservatori? Ciò pone ancora una volta l’accento sull’inadeguatezza della 508. Vorrei conoscere, infine, il Suo pensiero circa il valore legale dei titoli di studio e i possibili benefici che deriverebbero dall’abolizione come, ad esempio, la definitiva instaurazione di un metodo meritocratico.

        • musicaemusicologia ha detto:

          Beh, coincidenze a parte – avevo proprio in mente una Silvana messinese (non ricordo il cognome) arpista e mia allieva di una ventina o più di anni fa e che proprio di recente avevo piacevolmente rivisto in istituto – lei parla come se mi conoscesse e lo fa, appunto, in maniera molto affettuosa …

          Parlare di meritocrazia e metodi meritocratici con lo scrivente è come sfondare una porta da sempre spalancata. Tanto da farne la missione – non certo personalistica – di una vita.
          E va certamente sostenuto che un metodo meritocratico guarda al complessivo curriculum, dei candidati ad una posizione lavorativa, nella sua compiutezza e nella sua effettiva capacità dimostrativa della professionalità; comunque da testare appresso nella maniera più accurata e trasparente. E del curriculum i titoli di studio costituiscono solo il qualificante gradino di partenza. Ecco perchè purtroppo oggi ci si affanna nel Bel Paese (dove scoperta la legge si trova pure l’inganno) a costruire curricula ad ogni costo, perfino fittizi o di illusoria qualità scientifica. Difatti il titolo di studio, in troppi casi, sono in troppi a conseguirlo rispetto la relativa domanda lavorativa. E chi non riesce, per demerito o per sfortuna, inquadra degli altri, gli arrivati, solo le magagne più evidenti, che costituiranno l’alibi più evidente per la propria sconfitta. A cosa serve tutto questo, se non alla propria nevrosi. La migliore reazione è continuare ad impegnarsi per arrivare comunque da qualche parte …

          Sa infatti qual è il vero problema a monte dei pur giusti interrogativi che lei mi sta adesso ponendo, circa la situazione di una docenza effettivamente idonea al delicato compito che le competerebbe davanti all’innovazione contenutistica richiesta dai livelli accademici adesso più avanzati?
          Proprio il fatto che i Conservatori, oggi trasformati per via statutaria nazionale e locale in Istituti Superiori degli Studi Musicali (in più casi, sembrerebbe, a loro insaputa …), costituiscono il vertice del nostro sistema formativo nello specifico campo musicale.

          Come effettuare concorsi pertanto tra coloro che stanno ai vertici della formazione accademica?
          Sembra facile a dirsi ma è quasi impossibile a farsi. Vediamo un pò:

          1) Nominiamo una commissione di celebrità indiscusse. Certo dovrebbe trattarsi di personaggi anche estranei alla formazione accademica, perchè nessuna previsione normativa potrebbe stabilire che il docente x di Conservatorio può partecipare ad un concorso del genere come esaminando e il docente y (suo collega) invece da esaminatore!

          2) Chi peraltro dovrebbe decidere questo? Un alto livello politico-amministrativo, magari altrimenti qualificato, agirebbe per conoscenze, per raccomandazioni, perfino “per sentito dire”? Ma se non fa parte del ramo specifico, se non si occupa di musica e di didattica come potrebbe decidere se non in maniera approssimativa e dequalificante già in partenza? Insomma chi nomina la suddetta commissione? Un politico governativo, un dirigente ministeriale … che comunque dovrebbero esprimere competenze certe e assieme una posizione al di sopra delle parti al proposito … abbiamo invece visto che normalmente alla qualità scadente del personale politico corrisponde la qualità scadente del personale dirigenziale e via via di seguito scendendo attraverso le ramificazioni del potere discrezionale della politica governativa.

          3) Lei, docente di Arpa, ammetterebbe una commissione che giudichi il suo operato professionale senza averne adeguate competenze, dunque estranea alla corporazione di cui fa parte? Ma, ancora, ammetterebbe, poniamo in quanto docente di Arpa in una SMS o in un Liceo musicale, che siano suoi colleghi docenti di SMS o Licei musicali a decidere il suo destino professionale? Se siete colleghi vi trovate nella stessa posizione quanto a competenze specifiche e sarebbe pertanto illegittima l’ipotesi in questione.

          4) In definitiva chi dovrebbe giudicare chi …, se non livelli dirigenziali appositamente qualificati, quelli ispettivi e dirigenziali appositamente preposti al ministero dell’Afam. E qui si rivela la nostra drammatica situazione: dai tempi del vecchio Ispettorato per l’Istruzione Artistica a quelli odierni del Dipartimento dell’Afam le professionalità versate nell’ambito musicale e musicologico, già abbastanza rare nei primi decenni della Repubblica, si sono sempre più diradate. E al contempo hanno proliferato mezze figure di burocrati, (solo) nel migliore dei casi preparati sul versante giurisprudenziale specifico ma del tutto inesperti in quello specialistico del settore. Fossero state personalità illuminate, eticamente e deontologicamente, si sarebbero affidate, tramite seri monitoraggi delle attività didattico-formative del comparto, alle professionalità più avanzate. Ai tempi in cui qualche ispettore musicalmente all’altezza lavorava al ministero avevamo insomma qualche referente … Poi è stato il buio più totale e sono toccate grandi attività di supplenza ai sindacati più rappresentativi, agli organi di rappresentanza appositamente eletti (dal CNPI al CNAM), alle associazioni professionali più accreditate del settore: io ad esempio sono stato per quasi un decennio membro probiviro della SIdAM, Società Italiana di Analisi Musicale, e anche come tale sono stato molto coinvolto al momento della gestazione contenutistica della riforma negli anni ottanta-novanta; mi domando chi conosce oggi questa parte di storia nazionale tra le nuove leve di docenti e studenti …

          5) Tale problematica è purtroppo congenitamente legata alla questione del potere accademico. Per tradizione quello universitario: il nostro al confronto è ancora una sorta di Far-West, dominato – se non dal caos del momento – dalle più lobbisticamente organizzate fazioni sindacali e dalle spinte autoritarie gestite soprattutto a livello dell’alta burocrazia ministeriale, spesso motivata da volontà e interessi di parte, estranei a quelli delle istituzioni.
          Già, la vexata quaestio del potere accademico e delle sue possibili e frequenti – pur non di meno anche fisiologiche – degenerazioni: la corporazione accademica tende sempre a farsi più forte se è anche più dotata di rappresentatività e autonomia politico-sociale: tanto nel meglio, per difendere giustamente le sue più alte prerogative, quanto nel peggio, per perpetuare posizioni di vantaggio ad altrui danno (nepotismi, clientelismi, affarismi di ogni tipo …). La stessa espressione “corporazione” – a ben riflettere – mantiene nell’uso entrambi i significati, quello positivo di autotutela – che risale almeno al medioevo – e quello negativo di rappresentatività bieca ed antisociale – riferita a tempi più moderni; in cui alcune corporazioni hanno raggiunto i più alti vertici sociali, tendendo quasi a trasformarsi in stabilizzate classi sociali o, comunque, in frazioni dell’intero corpo sociale esclusivizzate nell’appartenenza da determinati e più avvantaggiati ceti sociali …

          6) Certamente la grande espansione quantitativa dei Conservatori negli ultimi quarant’anni – modificando notevolmente la precedente situazione di aureo isolamento della categoria professionale: pochissime istituzioni, tutte concentrate in importanti centri cittadini di rilievo nazionale, con docenze di chiara fama, espresse naturalmente dall’esigenza avvertita come oggettiva di far fronte a professionalità fin troppo specifiche e dunque di per sè evidenti nello stesso riconoscimento sociale, peraltro di provenienza estremamente elitaria – ha anche permesso una esponenziale crescita d’interesse per gli studi musicali colti, ma anche ha determinato un discreto livellamento verso il basso; riferibile sia a parte della docenza che alla qualità media della frequenza studentesca.
          Una frequenza comunque contenuta grazie al numero chiuso/programmato, ad esami più o meno seri di ammissione e al semplice fatto che la maggior parte dei miei colleghi docenti in fondo ha comunque la fortuna di amare il proprio lavoro e che, se ben motivata, riesce a produrre miracoli; anche se in quella miglior tradizione “creativa” tutta italiana, che ci contraddistingue soprattutto più nelle situazioni di emergenza che non in quelle di corrente normalità.

          Lei in definitiva coglie nel segno quando afferma come “il computo degli anni di studio complessivi, di fatto, indichi la funzione di supplenza che i conservatori hanno dovuto affrontare negli ultimi cent’anni nei confronti dell’inefficienza dell’istruzione musicale italiana”. E difatti almeno chi scrive mai ha espresso la volontà o desiderato, neanche per un attimo, di spostare il suo centro di interesse altrove, ad esempio verso una facoltà universitaria. Semplicemente perchè la musica in Italia “la facciamo” comunque noi – nel bene e nel male: altre agenzie formative – come oggi si usa dire – o non ce ne stanno o sono comunque dipendenti, direttamente o indirettamente, dalla nostra plurisecolare tradizione.

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          Bisogna amare veramente il nostro lavoro e, tramite questo attaccamento, “amare” chi attorno a noi lo svolge nell’evidenza reciproca di questo stesso “amore”. Solo questa evidenza può salvarci. Ed io non saprei darle altre risposte al proposito. Perfino quando me la prendo nella maniera più coinvolta con chi sbaglia nell’interpretazione del proprio ruolo istituzionale o nelle scelte che gli competono e pure mi coinvolgono, io me lo prendo tutto fino al midollo il carico collettivo della responsabilità che ne consegue. E proprio per questo sono sempre disposto a discutere se trovo buona volontà d’ascolto.
          Se questo non è amore… Poi, solo appresso, viene la competenza; ma chi ha occhi e cuore per riconoscerla non trova il bisogno di valutare titoli di studio, semmai di riconoscere attraverso la compiutezza di un curriculum – anche, ma non soltanto, inclusivo di titoli di studio – quell’evidenza che si è trovato prima davanti agli occhi.
          Se invece era cieco e sordo al proposito sarà tutto inutile.

  2. Silvana (docente di Arpa) ha detto:

    Sono perfettamente d’accordo sulla Sua analisi. Quanto ai concorsi, si potrebbe adottare un modello mitteleuropeo per superare il problema. Purtroppo, il valore legale del titolo di studio continua a costituire foraggio per certo establishment inetto e deviante che governa l’istruzione. Io non sono per la scuola privata, credo nell’insostituibile e preminente funzione e valore della scuola pubblica. Però, in questa fase di pericolosa decadenza, credo che soltanto incentivando competitività e qualità si potrà ricostituire (o instaurare) una tradizione culturalmente sorvegliata e pregiata. Poi, dopo 10 o 20 anni, quando il tessuto etico di questo ex Bel Paese si sarà purificato, potrà essere disposta una nuova “statizzazione” di università e conservatori. Ma forse, mi rendo conto, un progetto del genere è destinato a fallire in Italia, almeno per questo secolo. Buone Feste e sinceri ringraziamenti per le Sue appassionate e pregevoli risposte.

  3. Mario Musumeci ha detto:

    D’accordissimo proprio su queste sue ultime valutazioni e perfino sull’incertezza valutativa che esse esprimono. Buone feste a lei.

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