Del ‘far l’amore’ oppure dello ‘scopare’? Qualificazioni definitorie, tra educazione sessuale ed educazione sentimentale

by MM

alla mia signora

Arte vs meccanica della sessualità? Passionalità sentimentale vs erotismo? Coinvolgimento emozionale-affettivo vs distacco emotivo nell’eros? Amante sentimentale vs scopone/a scientifico/a?
E ancora. Incompatibilità e contrapposizioni? Interdipendenze e gerarchie? Reciprocità e integrazioni? …  La riflessione a margine di una discussione in una chat di amici, condotta tra il faceto ed il serioso, ci ha posto seppure in una maniera inespressa una questione definitoria più che seria: perché a quell’insieme, più o meno scindibile, di soddisfacente atto sessuale e di coinvolgimento emotivo ed emozionale e di avvolgenza fiduciaria e affettiva che si realizza tra due persone possiamo attribuire solamente una definizione magari poetica ed evocativa però fin troppo equivocata come “il fare l’amore”?

Ora siccome, da studioso di logica formale in specifici ambiti linguistico-verbali e musicali, so bene come le questioni più profonde di pensiero siano fin troppo spesso affidate ai rischi di una comunicazione linguistica troppo generica o al contrario troppo specialistica e pur nondimeno che vadano affrontate con gli strumenti concettuali più adeguati cercherò di utilizzare una dialettica massimamente divulgativa, preferendo alla strumentazione scientifica quella più comunemente esperienziale anche se generalizzabile e apprezzabile solo sul piano degli individuali convincimenti.

Perché non di rado usiamo contrapporre alla detta definizione l’espressione gergale ‘scopare’? Un’espressione considerata per un verso di gergo volgare e per altro verso ludica e disinibita, quando non giovanile e perfino sessualmente stimolante per il suo proibitivo alludere e non troppo specificare. Però in definitiva un’espressione lapidea se resa troppo esclusiva, o addirittura – come spesso capita – esplicitamente inquadrata con arido cinismo nei confronti di un carente legame sentimentale. Come ad esplicitamente volerlo più o meno sminuire se non scartare. 

Sicuramente quanto al suo carattere denotativo ‘metaforico’ si tratta comunque di una definizione parziale, riferita solo all’aspetto considerato più materiale dell’atto sessuale. Materiale in quanto anatomico e fisiologico, dunque contrapposto a spirituale ossia a mentale e dunque tutt’altro che eticamente direzionato. Ebbene sta proprio in questa diffusa scissione culturale che si produce l’estremizzante divaricazione tra due poco comunicanti concezioni della sessualità. Concezioni della sessualità eticamente polarizzate e rese incomunicabili soprattutto in ambiti dominati o da sfrenato e individualistico laicismo oppure da bigotto clericalismo – ambiti che però si alimentano a vicenda per reciproca ed equivoca negazione e assieme interdipendenza.

Innanzitutto una cultura clericale tendente a colpevolizzare il valore del piacere sessuale. Ma in una prospettiva culturale non dichiarata, proprio in quanto inevitabilmente connessa ai dogmi del celibato e del nubilato. Da cui l’insostenibile contraddizione: una posizione ideologica almeno tendenzialmente sessuofobica proprio di quei soggetti religiosi dispensatori del culto e dell’educazione spirituale che dovrebbero inquadrare la più compiuta natura della sessualità, e ciò nel momento stesso in cui la comprimono per sé medesimi!

La più che evidente conseguenza è che una ‘sessualità spiritualizzata’ in tali ambiti educativi costituisce concetto ostico se non intrinsecamente ossimorico. Insomma ci si riferisce alla sessuofobia clericale che si esprime e con tutta evidenza in maniera quanto meno latente, come accade nella casistica esemplare dell’attribuzione di un valore morale all’astinenza sessuale ossia alla colpevolizzazione di un dono divino (!). E non semmai alla continenza sessuale, ossia ad una positiva capacità di autocontrollo, che di per sé può arrivare ad esprimere grande valore terapeutico per un equilibrio della persona, nonché nei comportamenti sessuali a rischio. 

Soprattutto da qui si sviluppa la contrapposizione laicista al bigottismo sessuale più tipico in ambito religioso, bene esplicabile tramite retorici coinvolgimenti riflessivi: “se già come rappresentante del clero sono abituato, e proprio come mia ‘professionalmente’ o ‘vocazionalmente’ acquisita forma mentis, a reprimere la mia sessualità perché mai dovrei ben riuscire ad esaltare l’altrui sessualità con l’attribuirle quel valore spirituale che sono abituato se non costretto a negare per me stesso?!” Questa domanda per un laicista si traduce per reattiva acculturazione in una corrispondente altra domanda retorica: “se la sessualità nella sua specifica fisiologia è tipica della mia quotidianità, allora proprio in quanto estranea alla religiosa spiritualità – più o meno inculcatami come un valore a sé stante e addirittura tendenzialmente privativo della stessa, perché non dovrei liberarla del tutto proprio da quelle magagne repressive che possano risultare ostative alla sua buona riuscita?!” Da qui procede, per disinibitoria liberazione, la detta scissione tra una spiritualità (più o meno fittiziamente) asessuata in ambito religioso e una fisiologia sessuale spiritualmente deprivata in ambito laico!

Va però immediatamente aggiunto che la questione presenta risvolti ben più articolati e complessi rispetto l’essenzialità fin qui descritta. In particolare la detta divaricazione è anche frutto di un’attardata scissione scientifica tra gli ambiti dello spirituale e del mentale e a monte tra gli ambiti del mentale e del fisiologico. E quindi tra quello spiritualismo religioso e quel materialismo laico che agli estremi rappresentano gli opposti integralismi culturali che producono la detta scissione. Al contrario amarsi nel senso fisico sessualmente più compiuto tra due persone eticamente consapevoli dovrebbe semmai costituire il postulato ideale e assieme più concreto della perfezione dell’agape cristiana!

E difatti: “come posso amare il prossimo nella sua astrazione personalizzante se non sono esercitato ad amare la specificità delle persone?” E quindi: “come posso veramente amare la specificità delle persone se non sono bene esercitato ad amare profondamente la mia individualità, in quanto strettamente dis-egotizzata e dunque esteriorizzata verso la piena fusione fisica e spirituale con una specifica alterità individuale, ricercata nel mio partner di sessualità e magari sperabilmente di compiuta vita familiare?”

Certamente si richiedono percorsi di vita non facili ed univoci nella ricerca di questa pienezza. Che richiede tanto maturazione personale che maturazione di coppia e che pertanto dovrebbe contemplare anche la possibilità dell’errore e della sua correzione. Certamente il mondo reale delle relazioni interpersonali presenta così tante contraddizioni tra ciò che si rivela solo in seguito essere bene o male, da richiedere talvolta sovrumane fatiche nel ricercare e trovare tale ‘perfezione’. E ciò valga sempre come una raggiunta convinzione piuttosto che far prevalere il fallimento dell’accontentarsi. Dato che in amore può diventare drammatico proprio non riuscire a ben distinguere l’adattamento a quell’alterità costituita dal partner – adattamento in sé necessario ma entro certi limiti non spersonalizzanti – dall’accontentarsene per timore della solitudine nel “non trovare di meglio”. Mentre in realtà nell’amore di coppia non bisognerebbe mai, veramente mai, accontentarsi!

D’altronde la crescita personale modifica ciascun individuo e solo la piena consapevolezza del sé costituisce una base imprescindibile per la migliore consapevolezza nell’incontro con l’altro. E nel frattempo la giovanile e vitalistica fisiologia ormonale può confliggere con la chiarezza dei propri desideri più profondi, se non ancora da bene maturare. Così l’amare anche nella compiuta sessualità può esigere un tirocinio preparatorio a quella profondità e per un verso non bisognerebbe sottovalutarlo nella gravosità dei suoi possibili impegni contingenti – gravidanze indesiderate innanzitutto ma anche il semplice darsi con troppa facilità a chi anche solo probabilmente non ci merita (vale per le donne e vale per gli uomini!) … E per altro verso bisognerebbe agirlo, quel tirocinio, anche con una leggerezza ludica utile a comprenderne e a bene utilizzare i meccanismi fisiologici dell’amare.

Come dire in termini disinibiti, ma senza più correre il rischio della banalizzante volgarizzazione: “impara a bene scopare amando e assieme impara bene ad amare scopando“; il che spiega anche bene il persistere di quel dualismo come un fatto quanto meno … tecnico. Ossia che si può riuscire a produrre un gran trasporto sentimentale però non supportato da un’adeguata esperienza nel gioco erotico. Oppure che si può riuscire addirittura a specializzarsi nell’erotismo senza un’adeguata cura sentimentale; una cura che nella sua pienezza culturale non può non essere etica e spirituale oltre che affettiva ed emozionale.

Ora, mentre le agenzie responsabili dell’educazione sentimentale sono plurime e bene individuabili nella famiglia, nella scuola ed in una variamente prevedibile extra-scuola – che sia associazione parrocchiale, partitica, sportiva, socio-culturale, diportistica … – i contesti educativi della sessualità sono di norma molto più lasciati al caso per l’influenza proibitiva del clericalismo sessuofobico o per la consustanziale ignoranza etico-spirituale del libertinismo laicista. Toccherà lasciare tutto all’esperienza sul campo? Ossia ad un’esperienza inibente che tende ancora a scindere, quanto meno ufficialmente, educazione sentimentale ed educazione sessuale? Oppure occorre ricercare un riequilibrio che arrivi meglio in una saldatura più scientifica ed etica a bene integrare le due opposte visioni del ludico ‘scopare bene’ e dell’educare bene ai sentimenti? Per far si che tutt’al più si recuperi solo in una consapevole chiave ludica e scherzosa quell’espressione metaforica: di norma usata in maniera volgare e provocatoria solo perché falsamente percepita come liberatoria. Esattamente come accade in ogni esempio di turpiloquio – che di per sé esprime innanzitutto una vocazione aggressiva, offensiva o difensiva che sia, per qualsivoglia interlocutore.

Al proposito esprimo una certezza da cui partire per ogni scelta formativa ed auto-formativa: la femminilità esige prevalente rispetto per il maggior impegno ricettivo nell’affettività sessuale. Mentre l’aggressività maschile, per quanto propedeutica al soddisfacimento sessuale, dovrebbe essere meglio controllata e direzionata nelle sue implicazioni affettive. Ed è proprio lì, in quella contraddizione con profonde motivazioni sociologiche della mascolinità come forza prevalente ed autosufficiente, che bisogna comprendere ogni eventuale emergenza. Un’energia che non sia direzionata all’incontro, all’integrazione o alla fusione … risulta priva di senso per ogni forma di socialità, figurarsi per la sessualità!

Un chiarificatore spunto personale di grande valenza educativa a suo tempo per chi scrive. Mio padre, orfano precoce di madre a soli sette anni, visse in un’epoca in cui la prima educazione sessuale avveniva con maggior frequenza nei casini, ossia nella relazione più precoce con donne avviate alla prostituzione: una realtà di indubbio sfruttamento classista e, al di là di ogni giudizio morale, del tutto priva di qualsivoglia benessere sentimentale. Eppure, da marito e padre amorevole qual era, lui non ha mai mancato di rispetto a mia madre; di cui era con ogni evidenza profondamente innamorato, pure nella notevole e talora conflittuale diversità caratteriale. Sicuramente gli era di aiuto nel superamento di ogni difficoltà una sua particolare spiritualità religiosamente direzionata, e perfino in chiave biblico-evangelica … Però pragmatica e concreta e tutt’altro che bigotta ed ipocrita. Dunque quella dissociazione tra sentimento e fisicità, addirittura ancor più favorita dal circostante cattivo costume sociale del casino come luogo di svago sessuale, lui – sempre che gli fosse capitato di subirla (era troppo intimista per parlarne apertamente … ) – l’aveva certamente superata. E grazie non solo alla sua acquisita natura affettiva, frutto di personale tirocinio spirituale, ma anche a quella dell’incontro fortunato con la natura evidentemente speciale della sua compagna di vita … L’Amore dunque, e cos’altro?

Sono convinto che lo stesso sia valso per mia madre e pur’anche per la felicità coniugale dei miei suoceri e dunque che questi modelli educativi abbiano costituito una straordinaria educazione sentimentale per il felice incontro tra me e mia moglie. Certamente non indifferente al nostro benessere coniugale: risultato di una complicità costruita nel tempo con lo stabilizzarsi reciproco di stima ed affetto, forgiati e temprati nelle più diverse e difficoltose situazioni di vita. Evidente come lo ‘scopare’ – o meglio: la sessualità nella sua essenzialità fisiologica – in tali situazioni di vita costituisca una componente ‘materiale’: magari importantissima e quindi un grande dono per la sua ottimale e non solo meccanica persistenza. E ciononostante risulti sempre più irrilevante per il suo compiuto implicarsi nel vero e proprio, e con esso incommensurabile, ‘fare all’amore’: una realtà di attenzioni e di quotidiane tenerezze e di diversificati incontri e integrazioni e fusioni coniugali di ben più ampia e vasta portata. Soprattutto ricca di una sua ancor più soddisfacente compiutezza. Si, dunque, ‘fare all’amore‘: privilegiati siano coloro che ne acquistino piena e personale consapevolezza seppur nella drammatica condizione dell’imperfezione umana!

D’altra parte la più consapevole necessità dell’amore non può non sortire dall’esperienza profonda del dolore. E difatti tale piena consapevolezza di buona norma deve fare pur sempre i conti, in una pregressa esperienza formativa, con una tutt’altra tipologia di inappaganti situazioni di relazioni affettive, anche più o meno coniugali. Dalle quali è stato fin troppo inevitabile, nella definitiva e fortunata successiva comparazione, poter dedurre come dei modelli familiari negativi, e proprio quanto a educazione sentimentale, influiscano negativamente e gravemente non solo sull’educazione alla sessualità ma ancor prima sul gioco di relazioni affettive che di questa costituiscono il più vincente coronamento.

Pertanto è abbastanza facile concludere come la scissione tra sessualità e sentimento costituisca un rischio grave e molto incombente, quando non necessario da affrontare, nell’educazione più profonda di una personalità in crescita. Ma anche quanto la sua piena consapevolezza aiuti nella ricerca di una stabilità affettiva, coniugale e familiare. Se e quando però, realizzata questa stabilità, si continui a impiantarne ulteriori necessità alternative allora è probabile che quella scissione non sia mai stata veramente superata. Il che significa purtroppo che quel compiuto appagamento che produce il “fare all’amore” non si sia veramente raggiunto oppure – tristissimo esito di una vita coniugale – che sia andato del tutto disperso nella memoria per la sua insufficienza …

L’immagine caricaturale dello ‘scopone scientifico’ rievoca la figura dell’invecchiato Casanova felliniano nella scena in cui esibisce pubblicamente, con un cinismo oramai uscito tutto allo scoperto, la sua persistente ‘virilità scopereccia’; miseramente attuata con un’abile ma anch’essa invecchiata cortigiana. Lì non ci può essere più spazio per un orgasmo veramente appagante, tutt’al più per una performance egoistica e perfino ridicolmente patetica: che abbisogna assolutamente del consenso esterno per produrre veramente un minimo di soddisfazione erotica e assieme egotica. La tecnica amatoria deprivata della sua maschera affabulante di finto ‘passionale innamorato’ non può più irretire ed è oramai un tragico fallimento: il Casanova è in estremo esito ridicolizzato e ricondotto a quel ruolo, stavolta smascherato, di fittizio amante ideale (‘scopone scientifico’ per definizione), proprio per l’esercizio della sua impotenza affettiva.

Un’impotenza sentimentale costante ma fascinosa per il femminile proprio in quanto prospettata come irraggiungibile e dunque mitizzata in una improbabile conversione affettiva da attuarsi a cura dell’ormai sedotto volontaristico femminino! Ad equivoco ormai dissolto, per lui non vi può più essere ne pietà né compatimento ma solo irrisione! Poiché si disvela definitivamente come con quella maschera di conquistatore sessuale la vera sessualità c’entrasse ben poco; c’entrava semmai il gusto particolare del potere e del dominio sessuale sul corpo altrui. Dominio di partner più o meno occasionali o più o meno difficili nella conquista, variamente sempre accondiscendenti alla maschera stessa dell’attenzione passionale; ma a nient’altro che alla falsità della maschera, vuoi perché vittime ingenue più o meno volontariamente irretite dalla sua costruita e fasulla competenza passionale (non sentimentale), vuoi per personali illusioni o per convenienze economiche o per altre opportunità. Se non per meri opportunismi sociali ed economici.

Per chiudere scherzosamente, ma non troppo. In definitiva da impenitenti casanova si rimane prima o poi tutti beffati: ‘si scopa’ come attività di dominio e in realtà ‘si rimane scopati’ da una corrispondente e simultanea attività di dominio e la gara la vince chi prima fugge! Così il gradino relazionale di siffatto ‘scopatorio accoppiamento’ risulta perfino eticamente inferiore al ludus fisiologicamente liberatorio di una solitaria pratica auto-erotica (masturbazione)! Insomma cosa può mai entrarci tutto questo con l’amore e soprattutto con il fare all’amore!? ‘Scopare per scopare’, inteso alla lunga come una sorta di compulsivo ‘scopo’ di vita!? Meglio il gioco allegro e spontaneo di una partita a carte, appunto di ‘scopa’, o un più utile colpetto di ‘scopa’ nel terrazzino per spazzarlo bene prima di godersene lì il piacere della fresca ventilazione estiva!

(25 marzo 2023)

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