La metafora antropologica e vitalistica del tonalismo musicale, letto in prospettiva logico-genetica

by Mario Musumeci

Tonalismo logico-genetico e vitalismo antropomorfo, ossia l’organizzazione compiuta delle relazioni armonico-timbriche come un’astrazione antropomorfica della vita umana in chiave di realismo sonoriale. Un argomento tanto complesso per il suo alto grado di astrazione teorica quanto incombente ed avvolgente da richiederne quanto meno un barlume di consapevolezza nell’odierna epoca di costanti ed estremizzati rivolgimenti e sconvolgimenti umani, in ogni ambito di azione e di relativa conoscenza. Perfino con il ricorso … ravvicinante – per quanto a forte rischio di banalizzazione – della metafora. Dietro le seguenti osservazioni di estrema sintesi teorica, ad usum vulgari modi, si cela il senso profondo di una ancora irrisolta diatriba in ambito artistico-musicale, sospesa tra radicalismo modernista e tradizionalismo pur esso a vocazione altrimenti modernista.  Ossia, in senso lato, il guardare e l’investigare proiettato in avanti del ricercatore creativo senza la piena consapevolezza del “dietro” della sua stessa realtà genetica, oppure il suo guardare solo “dietro” senza la consapevolezza della inevitabile necessità evolutiva della propria crescita.

Nella teoria generale della musica la relazione tra armonia e timbrica si chiarisce attraverso la qualificazione micro-armonica della stessa timbrica, ossia il suo riporto nella scala organizzativa delle armoniche o suoni concomitanti, costituenti lo spettro armonico del singolo suono definito per sua specifica altezza. In tal senso bisogna ricostituire tale compiuta organizzazione sulla base di almeno tre principi organizzativi. Il primo è quello della distanza tra i suoni (concomitanti) in gioco, che poi pone il problema della loro stessa adesività armonica, della loro riconoscibilità aggregativa, risolvibile solo nei termini della loro ottavizzazione, cioè di una loro presupposizione timbrica omogenea in quanto più ravvicinata al massimo nella scala delle altezze.

Il secondo principio è quello del riempimento, ossia del riequilibrio della distanza maggiore o minore attraverso la maggiore o minore quantità degli elementi intermedi mancanti (suoni concomitanti in diversa ottava), il che ne chiarisce una maggiore compiutezza di spettro armonico. Il terzo principio è quello del realismo percettivo, adattativo in termini analogici alle possibilità di acquisizione umana e connesso alla centralità comunicante (onto- e filo-genetica), assieme fonatoria e cantante, della vox humana; rispetto gli estremi timbrici che si proiettano verso gli infrasuoni e gli ultrasuoni a secondo della loro gravità o acutezza: ossia i territori dell’impraticabile seppure postulabile e dunque solo astrattamente conoscibile.

L’integrazione di questi tre principi pone il problema dell’orientamento timbrico, che – per quanto chiarito in avvio – è anche il livello orientativo micro-armonico dei suoni concomitanti; ossia quella particellare realtà armonica da cui promana la stessa armonia musicale ma che risulta costituente anche della timbrica reale, prodotta da diversa fonte sonora per diversificate sottrazioni o, meglio, mascheramenti uditivi della detta serie armonica (peraltro altrimenti studiata già a partire dai pitagorici, in chiave logico-formale matematica e finalizzata all’accordatura degli strumenti musicali). Si tratta della precisazione che tale integrazione si risolve solo in termini di radicamento verso il grave, costituente il grave stesso la radice sonora implicativa della polarizzazione più acuta dello spettro armonico; la quale deprivatane appare infatti come vagante.

Questo impianto insiemistico, attuato in tale gioco ben differenziato di polarizzazioni, se temporalizzato in maniera estrema nelle sue effettive umane acquisizioni ha costituito la base dei fondamenti organizzativi su base filogenetica della teoria generale della musica, ben lucidamente proposti da Jean Jacques Chailley, caposcuola e insuperato Maestro della musicologia storica e teorica francese. La negazione di questi principi, dallo stesso Autore artisticamente e teoricamente avversata (forse unico suo limite ideologico, ma ben motivato dalle reciproche intolleranze ideologico-creative dei suoi tempi), se da un verso ha prodotto Il fascino timbrico delle schonberghiane costellazioni sonore dodecafoniche e post dodecafoniche e il conseguente logicismo strutturalista delle avanguardie musicali del serialismo integrale, dall’altro ne ha disperso il senso umanistico dei contenuti armonici originari aggregativi. Ricostituendo pertanto e gravemente in termini teorici  alquanto primitivistici l’impianto risultante: quindi in una assolutizzante prospettiva anarmonica, ma del tutto  inibitoria di una qualificazione aggregativa degli stessi e quindi di una loro ben differenziante percepibilità tanto statica che dinamica: quello che solo ideologicamente viene qualificato come tonalismo, ma che andrebbe studiato innanzitutto nella sua scientificità teorica e cognitiva e dunque non solo pratica (anzi: praticona …) e diminuitivamente e confusamente stilistico-compositiva.

Una metafora applicabile a questa “insiemistica regolativa” è quella del rapporto tra l’anzianità umana anche estrema e la gioventù umana anche estrema, laddove si consideri come la cosiddetta “saggezza della vecchiaia” si esprima meglio solo in quanto assorbente le fasi precedenti, messe tra loro in relazione e quindi con una compiuta consapevolezza della radice logica delle loro relazioni. Anzi logico-genetica, quindi assieme filogenetica, di evoluzione di specie, e ontogenetica, di individuale evoluzione prendibile a modello; ossia che tenga conto in maniera adeguata della centralità dell’essere umano in termini di maturità di acquisizioni rispetto le fasi precedenti di minor consapevolezza e le fasi successive di tendenza all’affievolimento delle facoltà mentali nonché più genericamente fisiologiche. Il che corrisponde al criterio detto del principio di centralità del realismo percettivo della vox humana.

Mentre il principio di ottavizzazione, o prossimità caratterialefisiognomica, meglio corrisponde alla qualità di una consapevolezza che proceda per vicinanze temporali di dati storico-cronologici. E il principio della riequilibrazione della distanza attraverso il riempimento dello spettro sonoro corrisponderebbe ad un riequilibrio di quella consapevolezza di relazione tra le incompiute fasi storico-cronologiche rispetto tale compiuta necessità di loro coerente tempor(al)izzazione. Se si considerano poi i fattori di assorbenza e radicamento verso il grave e di vaganza e dispersività armonica verso l’acuto, l’anzianità in termini di saggezza si prospetta come una acquisizione proiettata verso la radice stessa delle … applicazioni sonore: in una chiave simbolica antropomorfizzante della sonorità musicalmente organizzata e rivissuta all’interno di un impianto teorico di acquisizioni multi-epocali, risalenti a livelli ancestrali; ancestrali in quanto presumibilmente originari e tuttavia mai dismessi poiché sempre implicati in ogni evoluzione trasformativa della conoscenza. E dunque, per unificante metafora, di una “armonia” che si faccia assieme varianza e ricchezza timbrica e subito appresso consapevolezza aggregativa e compiuto equilibrio. E il gioco di equilibrio, squilibrio e riequilibrio non è, nella sua estrema ricchezza propositiva, la sintesi motrice e motivazionale delle vicende umane, e dunque della vita stessa?

(1 febbraio 2022)

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