Una lettera affettuosa è sempre una cosa intima tra chi scrive e chi riceve, poi rispondendo. Però può succedere che quello che lì vi si afferma, tra le righe del vissuto personale, sia meritevole o addirittura bisognevole di dominio pubblico.
Quanto meno perchè chi volesse comprendere e non equivocare alcuni dei suoi più profondi contenuti, per (anche scusabili) sconoscenza od ignoranza, per (meno accettabili) cattiveria e/o stupidità – abbia in tal caso un’occasione forse irripetibile di aprire orecchio ed intelletto (e assieme: cuore).
Insomma un’occasione da sfruttare per chi voglia capire.
Rispettando ovviamente la privacy di chi mi scrive.
Caro maestro,
colgo l’occasione delle feste per scrivere ciò che avrei voluto dirle da tempo.
La volevo ringraziare per tutto quello che mi ha insegnato, per l’impegno e l’entusiasmo che mi ha trasmesso per la sua materia e soprattutto per la fiducia che ha sempre riposto in me. La ringrazio dunque per il voto datomi alla licenza che mi ha tanto gratificato.
Tenevo a dirle che la stimo molto sia come insegnante che come persona e spero proprio di continuare a tenerci in comunicazione.
A questo punto non resta che rivolgere a lei e ai suoi cari un augurio di un sereno Natale e di buone feste da parte mia e di mia sorella (omissis), che la ricorda con tanto affetto e stima anche lei.
Auguri affettuosi
[Lettera firmata]
Cari (omissis), bentrovati innanzitutto.
Le vostre sentite ed affettuose parole, che ascolto in coerenza al nostro comune vissuto didattico, costituiscono per me un importante lievito di ulteriore impegno professionale.
E di questo innanzitutto vi ringrazio. E certamente sarò contento di trovarmi sempre a vostra disposizione, al momento del vostro bisogno.
Qualcuno scriveva che si rimane “insegnanti” per tutta la vita rispetto i propri “allievi”; cioè per quei discenti che hanno seguito te insegnante dandoti una qualche importante soddisfazione. Sicuramente almeno in buona parte questo è vero per me.
Ma io ho maturato, e assecondato, nel tempo un’altra convinzione: i miei migliori allievi sono anche i miei migliori collaboratori: traino per l’intera classe e potente stimolo di comune crescita; pur nella reciproca, ma non rigida, differenziazione dei ruoli.
Il fatto a monte è che la didassi – l’attività scambievole che unisce docente/i e discenti – nelle nostre istituzioni molto raramente si indirizza verso dirette e funzionali partecipazioni pluridisciplinari; mentre, al contrario, è proprio la consapevolezza dell’integrazione tra i vari momenti formativi – quello storico-culturale e quello performativo nei vari approcci: mono-strumentale, laboratoriale poli-strumentale e polifonico-vocale, compositivo di base, etc. – che ha costituito e costituisce il fine ultimo di una autentica formazione musicale specialistica.
In tal senso è stato sempre il singolo coinvolto allievo che, più o meno consapevolmente, ha istituito tale relazione con il suo impegno, sostituendo così il disimpegno in tal senso del suo docente di strumento o d’altro insegnamento.
“Si deve svolgere il proprio programma!” innanzitutto è l’espressione che funge da alibi per tale disimpegno. Ma la realtà è ben altra: siamo, didatticamente parlando, delle “isole”, maldisposte alla comunicazione reciproca se non occasionale.
E di questo i primi a pagare sono i nostri allievi, costretti solo a fare paragoni generici tra i nostri diversi operati di docenti. Piuttosto che a trarre vantaggi da una nostra collaborazione programmatica e non casuale, o addirittura “temuta” e accuratamente evitata (ahimè, ho conosciuto anche di questi mediocri casi!).
Riuscite a immaginare la diversa qualità produttiva possibile se mentre noi si analizzava sinfonie e anche componeva fughette e sonatine e madrigali nelle corrispondenti classi di strumento o di esercitazioni di coro, d’orchestra o di musica da camera, l’analogo repertorio di genere fosse stato messo a fuoco collaborativamente dagli altri docenti?
Qualcosa del genere è stato fatto con qualche volenteroso collega in anni lontani e oramai trascorsi, nella forma sporadica di brevi seminari e conferenze, gratuitamente offerte alla nostra comune istituzione. Ma, pur nella brillantezza del momento, senza alcun ritorno in termini di minima continuità. L’unica cosa che sembra avere un valore, nelle nostre istituzioni, è la spendibilità della performance musicale pubblica (saggi strumentali e concerti). Rimanendo ciechi di fronte al fatto che troppo spesso rimane evidente la loro qualità autoreferenziale: in tali casi ascoltano la musica gli stessi musicisti o, al meglio, i loro parenti ed amici e qualche appassionato.
A fronte delle masse di pubblico della musica pop.
Insomma – nonostante i miei sforzi personali di aprirvi al confronto tra di voi e tra di voi e … l’ intero mondo che si esprime tramite la musica – isole eravamo e isole restiamo. Ci sarà o no una scatenante causa (anche diversa o concomitante a quella, da me con difficoltà, indicata) da ben considerare, ponderare e provare una volta per tutte a risolvere al meglio … ?!
Io ci ho provato, e proprio con questa faccenda (suppletiva per i vostri docenti, miei disattenti colleghi) della vostra fidata “collaborazione”, impiantata ai fini di quanto più aperte possibili integrazioni formative pluridisciplinari. E direi che proprio lo scorso anno di risultati più che lusinghieri se ne sono visti. Ma – proprio per l’osticità (e l’ostilità) del terreno con cui devo continuamente confrontarmi – non è detto che la cosa riesca sempre nel modo più soddisfacente, purtroppo … Dovete perciò andare orgogliosi del complessivo risultato che, anche in quanto abbastanza bene affiatato gruppo-classe, siete riusciti a produrre.
Cari auguri di Natale e di sereno nuovo anno, ricco di prospettive per il vostro futuro.
Per il resto: sapete dove trovarmi. 🙂
Il vostro affezionato
(ma oramai -ex) prof