di Mario Musumeci
Il Pater Noster, il Padre Nostro, è la preghiera più amata dai cristiani. Vuoi per il suo carattere quasi ancestrale, di profonda e commossa comunicazione con l’Origine del Mondo, inevitabilmente a noi ignota, ma acquisita per altra via dal credente. Vuoi perchè la personificazione del Padre comune mantiene un indiscutibile portato simbolico, nel riassumere in sè sia l’Origine diretta e vicina (anche riportando all’antico culto degli Avi) sia l’Origine lontana e indiretta, ma Comune e Assoluta per gli uomini tutti; dunque costringente alla riflessione sul significato della vita e della morte dei singoli al di là del permanere plurimillenario della Specie.
Forse una riscrittura adattata all’attualità sarebbe necessaria per quel testo, scritto due millenni orsono e dunque riferibile ad una visione della realtà indubbiamente oggi superata dalla conoscenza che l’Uomo possiede del Mondo stesso.
Ad esempio al modo seguente.
Per me *
“Padre nostro, che ovunque sei,
santifica i nostri giorni e rendi autentica
l’Umanità da Te in noi ispirata
Donaci la certezza nelle precarietà dell’oggi
e rinnova la vocazione di amare come Noi stessi
l’Altro nel nome del Tuo genio creatore
Allontanaci gli abbrutenti mali dello spirito
e per l’attimo tentatore ritempra
nel Tuo Amore la corazza che ci protegga”.
(* da Mario Musumeci, Poesia nell’amore, Lippolis, Messina 2008)
Il cristiano è però abituato al vecchio testo, nonostante le sue palesi odierne incongruenze; la più paradossale è addirittura offensiva per l’Alto Interlocutore: il “non ci indurre in tentazione” – espressione semmai riferibile alla personificazione del Male, il Demonio (c’è però chi, come mia moglie, saggiamente sostituisce con “soccorrici nella tentazione”).
Forse, per chi conosce l’importanza simbolica della preghiera individuale o comunitaria, anche il vecchio testo andrebbe bene, se comunque almeno “pensato” in una maniera concettualmente più rispettosa e congruente: le parole di una nota preghiera cantano l’esigenza e la presenza del sacro, perchè sono innanzitutto consolidate nel nostro vissuto e la loro modifica potrebbe forse attenuare in noi quella nascosta eppure evidente (perchè abitudinaria?) “musicalità”. D’altra parte ripetere all’infinito e per un’intera vita un testo incongruo non significa affidarsi alla forma piuttosto che alla sostanza delle parole e dei concetti che esse veicolano? E questo non costituirebbe un “farisaico” vizio tra i tanti profetizzati nel Vangelo, e spesso con una certa veemenza, dallo stesso Cristo?
Però ricevo dai cari amici Maria e Pippo una Preghiera particolare, che inverte i consueti termini di relazione. E la pubblico proprio per l’estrema dolcezza del suo contenuto. Che riguarderebbe, a modesto parer mio, cristiani e non cristiani. Insomma l’Umanità orante.
(aggiornamento del 18-08-2016:)
Questa dolcezza, pur nascostamente, deve avermi molto ispirato se, a notevole distanza di tempo, ho prodotto una versione in vernacolo della preghiera al Padre. Eccola:
O Patri miu
(Preghiera notturna)
O Patri nostru caru stai misu ‘nt’ogni locu
E si ‘u mè jornu è amaru mi ‘mpresti acqua e focu
P’astutari i duluri e addumari ‘a passioni,
Poi duni a mia i tò curi e tuttu mi pirdoni.
Voi ca ni li jorna mei ju mi facissi santu
No comu i farisei ppi farimi nu vantu
Ma p’essiri tò pari ju ca nun sugnu nenti!
C’avissi mai a fari n’to menzu a l’autri genti
Si non dunari chiddu ca tu dunasti a mia
E viviri di spirdu, filici e così sia?
Di carni mi facisti: si ‘u corpu voli ciatu
Pirchì tu mi criasti sbagghiatu e ‘nto piccatu?
O fussi n’autra cosa ca tu di mia vulisti
Rialannumi ‘na sposa ‘n cuntrastu a jorna tristi?
O patri miu circannu a ttia ‘ncessantimenti
T’attrovu unni vannu i megghiu tra li genti
E a chisti a tia vardannu cercu d’assumigghiari.
E senza fari dannu putiri arricriari
‘A vita mia e di chiddi ca cchiù mi stannu ‘ntornu,
Ca ‘a notti semu spirdi
murennu appressu ‘o jornu.
Febbraio 2016