La cicala e la formica: il dono della musica

di Giuseppe Costa

Durante l’estate la formica lavorava duramente, mettendosi da parte le provviste per l’inverno. Invece la cicala non faceva altro che cantare tutto il giorno. Poi arrivò l’inverno e la formica ebbe di cui nutrirsi, dato che durante l’estate aveva accumulato molto cibo. La cicala cominciò a sentire i morsi della fame, perciò andò dalla formica a chiederle se poteva darle qualcosa da mangiare. La formica le disse: «io ho lavorato duramente per ottenere questo e tu che cosa hai fatto durante l’estate?» «Ho cantato.» rispose la cicala. La formica esclamò: «Allora adesso balla!».

 

 

Lo sconcerto

… il pensiero che, tutti, siamo cresciuti con questa fiaba nella testa è veramente triste!

Il luogo comune che chi si occupa di musica è una persona tra le nuvole trova qui la sua massima formulazione.

Il problema è …

… è che purtroppo oggi siamo immersi in una società satura di “informazioni”. Il nostro spirito critico è cosi stanco che non valuta più e non si pone più domande, ma agisce in relazione alla nostra sensazione del sè rispetto agli altri; sensazione del sé che subisce, tra l’altro, l’attrazione di un’aspettativa sociale proposta in funzione di un meccanismo legato alla struttura economica, piuttosto che alla nostra ideale funzionalità, al nostro effettivo benessere. Io in realtà non sono proprio in grado di stabilire quale può essere il benessere -e chi lo è, del tutto? -, però forse si può affermare che quando l’interesse è motivato da una richiesta che più che convincere ammalia (e magari soddisfa un nostro bisogno represso) allora forse non funziona qualcosa …

Ad ogni modo il mio invito è nel ricordare che possiamo anche pensare e che pensare potrebbe dare non delle risposte contrarie, ma diverse. Il contrario mi sa tanto di reazione … la diversità invece mi sa di differenza …

Ritornando alla nostra povera cicala che adesso balla come tante altre cicale … Mi sembra cosi assurdo che tale morale possa essere passata cosi inosservata nel tempo. E – attenzione! – non sto parlando soltanto della fiaba.

E quanti sostengono che è solo un esempio, una morale, dirò che per la cicala cantare è più che una necessità: è la sua ragione di vita, ed è anche la nostra compagnia inconfondibile dei suoni estivi. Pertanto non solo l’esempio è sbagliato, ma chi ne condivide la morale non ha mai respirato l’estate e dovrebbe forse concedersi il regalo di un’emozione aggiuntiva al proposito.

Il problema è …

… è che non solo siamo saturi, ma siamo anche disorientati e insensibili. Insensibili perché saturi chiudiamo i nostri canali e disorientati perché ricerchiamo e confondiamo l’energia, il dinamismo con l’aggressività; il relax con la noia; la noia con la naturalezza; il  meccanismo con l’oggettività; la tensione con la negatività …

È chiaro non c’è un modo unico di sentire e il modo di sentire cambia anche nel tempo, ma non bisogna mai permettere di sostenere che ciò per cui ci impegniamo, noi uomini di musica, non serva all’uomo in sè, che la musica sia poco più o poco meno di qualcosa. E anzi che sia soprattutto sottoporla o imporla come meccanismo; ma se fosse così il problema-musica neanche si porrebbe perché, semplicemente, in tali casi non c’è musica.

 

Il meccanismo

È necessario che il confronto non sia più antagonista o misurato alle abilità valutabili quantitativamente. Non dobbiamo accettare la sfida di “apparire più in vista” o di riuscire a superare il compagno. La musica è essenzialmente un contributo emotivo che rispecchia le persone che siamo e non quelle che dovremmo essere … anche quando non siamo coscienti di esserlo. Ad esempio, a mio avviso, il dilagare del meccanismo performativo è relativo ad una rigidità personale nei confronti di ciò che tentiamo di controllare per poter apparire nel più accettabile dei modi.

Non dico una cosa scontata, ma che in qualche modo la musica riesce a muovere il nostro animo. L’esperienza di tutto ciò è l’uso funzionale della musica nelle applicazioni di teatro, cinema, palestre, shopping, etc.. Ma non si deve rischiare di diventare degli animali domestici. Le nostre capacità  e le nostre esigenze hanno bisogno del nostro contributo e non semplicemente della nostra partecipazione. Bisogna quindi evitare anche il meccanismo, inteso come attività meramente riproduttiva.

Allora la domanda è: come capire se ciò che facciamo è puramente meccanico?

La risposta risiede nelle nostre emozioni innanzi tutto; voglio dire: se ciò che facciamo muove innanzi tutto il nostro mondo interiore allora non è meccanico perché non è Altro. Il fatto poi che la capacità di provare un’emozione sia una cosa squilibrata rispetto a farla provare agli altri è un problema soltanto di crescita e di potenziamento delle possibilità personali, bisogna capire, studiare e provare. Chiaramente c’è una componente meccanica fortemente attraente, ma essa è solo una soddisfazione della frustrazione di non riuscire a fare come gli altri. Pertanto già da qui dobbiamo eliminare la componente antagonista perché la storia insegna che i concetti misurabili in musica sono stati contraddetti e superati proprio dalle personalità eccellenti e accettare che magari dobbiamo lavorare ancora un altro po’ per esprimere veramente qualcosa.

In più sottolineo che non è ravvisabile fare una scelta tra personalità tutte eccellenti e questo per il valore tramandato e non per la quantità. L’eccellenza non è un metro ma semplicemente un valore condiviso.

 

Non basta.

L’insofferenza e la resistenza sempre più esigua all’ascolto è un sintomo di inadeguatezza rispetto ad un possibile significato espresso dal contenuto musicale. Un senso di soffocamento ci assale..

I problemi della società di oggi sono, a mio avviso, la causa della dispersione nella fruizione di ciò che è musica e di ciò che la musica può. Da cosa è che si scappa? Cos’è che non tolleriamo che sovraccarica il nostro sistema di ricezione?

Sempre a mio avviso è una strutturazione della società non contributiva ma prevaricante. Ovvero cresciamo con la condizione di antagonismo; un antagonismo sterile perché chi vince ottiene spesso solo una posizione, un trofeo. È sbagliato a questo punto trovare la fragilità del sistema musica nel condizionamento sociale a livello di sistema di vita? Sembrerà esagerato, ma tutto sommato dopo una giornata di “problemi” il più delle volte, e sottolineo il più delle volte, cerchiamo di scaricare il peso della giornata con qualcosa che ci distragga e non ci faccia “pensare”. Come animali in gabbia cerchiamo di evadere. Tale condizione di evasione ha portato nel tempo ad un assopimento dello spirito critico e della capacità di sapersi ricollocare all’interno di un organismo sociale la cui funzione non è prettamente legata alla pura evasione, ma anche alla catarsi od alla soddisfazione di particolari esigenze. Il canale uditivo è spesso funzionale ai segnali più diversi, ad un allarme e\o richiamo.

Ma che c’entra tutto questo con un sistema prevaricante? La risposta è nel tentativo di migliorare la propria condizione rispetto a quella altrui; molte volte non importa quello che facciamo, ma è più soddisfacente se lo facciamo con migliori risultati degli altri e\o che gli altri pensino che lo facciamo in modo migliore rispetto a loro. Questo comporta che siamo portati a pensare che c’è una verità, qualcosa che finalmente ci permette di essere soddisfatti e appagati: nell’illusione … il nostro apparire pieno di narcisismo ha trovato la collocazione giusta in cui prosperare.  Elementi che potremo definire esogeni, nel senso che provengono da un’esigenza esterna nata dal confronto. Mentre la musica come capacità di miglioramento della condizione umana deve nascere come esigenza interna. Affermo questo perché a questo punto culturalmente, e cioè il prodotto di quello che siamo da tempo, è veicolato secondo un canale scardinato da un possibile processo catartico.

Con ciò non si vuole intendere che la funzione musicale si riduce ad una catarsi, ma semplicemente che il fattore emozionale è comunque presente in tutte le manifestazioni in cui l’essenza dell’uomo e della civiltà trova una spiegazione nella sua motivazione. E che la musica è una delle componenti in grado di poterlo provare.


Questa voce è stata pubblicata in Marginalia, Musica e cultura. Contrassegna il permalink.

5 risposte a La cicala e la formica: il dono della musica

  1. musicaealtro ha detto:

    Molto interessante il tuo punto di vista! Francamente io la musica la seguo a pieno ritmo da circa 30 anni, poi da circa 20 anni ho anche iniziato a praticare il canto in un coro e quindi penso di potermi ritenere appartenente a quella “schiera” di persone che vanno ad ascoltare i concerti per il piacere di ascoltare e per l’emozione che ciò implica!!!!!!!! E TROVO L’AMBIENTE MUSICA da FAVOLAAAAAAA!!!!!
    Ogni musicista ha in sè un qualcosa di veramente magico!!!!!!!!!
    Condividi?

  2. Giuseppe Costa ha detto:

    Grazie Musicaealtro!

    …mi ha colpito molto il tuo nick…

    Sintetizza in “una parola” ciò che a mio avviso è un bellissimo modo di vivere la musica. Ovvero, un collante [Musica = come elemento di relazione] che fa parte di ogni cosa [altro = tutto ciò rappresenta quello che non siamo noi] senza implicare un rapporto di grado [e = una semplice congiunzione].

    Andando al tuo “condividi?”

    Oliver Sacks – neurologo – in “Musicofilia” affronta, tra tanti, il problema dell’amusia definita come un’incapacità a provare, a essere sensibili alle altezze. Ciò comporterebbe che un pianista potrebbe eseguire “perfettamente” un brano, ma essere assolutamente inespressivo come, allo stesso modo, un uditore incapace di godere del mondo dei suoni.

    A volte, così, il mio stupore trova risposta a come si possa essere insensibili pur praticando musica o anche al semplice fatto che alcune persone possano avere difficoltà a percepire il movimento sonoro.

    In base alla tesi di Sacks non si tratterrebbe soltanto di un problema di cultura, di qualcosa che impariamo a comprendere con l’esperienza, ma di un fatto neurologico.

    Allora, affermo: si ogni musicista ha un dono! Se cosi semplicemente non fosse si porrebbe come fortemente invasivo il problema del giudizio discriminatorio: “chi è dotato? E, soprattutto, chi no?”
    Io ho sentito troppe brutte storie…: gente, professionisti del campo, che si permetteva di far piangere e di deprimere poveri e malcapitati studenti….

    Il problema dell’intelligenza musicale è in realtà abbastanza complesso e sicuramente fondato su una diversità di modelli, diversità anche estrema ….

    Però facendo autoanalisi …. e se partiamo dal presupposto che il dono è qualcosa che non è richiesto … allora io ho sempre desiderato migliorarmi; ma la voglia, il fatto che la musica mi appassiona è qualcosa che ho a prescindere. Quindi: si, certamente un dono. Un dono diverso per ognuno, magari a volte tanto diverso da essere poco comprensibile …

    Il Dono credo in realtà sia la musica stessa che ci permette, solo lo volessimo, di condividere qualcosa.

  3. musicaemusicologia ha detto:

    D’accordissimo.

    La musica è certamente e innanzitutto un dono.
    Assolutamente personalizzato e diversificatamente individualizzato nei suoi effetti, ma sempre ben definito nella storia umana per la sua originaria e variamente pregnante vocazione comunitaria.

    Peraltro proprio la dimensione comunitaria in quanto intrinsecamente politica può attribuire alla musica stessa sembianze altrimenti connotabili sul piano dei valori. E perfino sembianze classiste ed elitarie, ma con cui è sempre possibile a posteriori confrontarsi fruttuosamente in termini di interesse e di acculturamento: la musica colta richiede non di rado impegni di frequenza e di “traduzione” anche per l’ultimo degli ascoltatori odierni. Proprio tale umano “atto d’amore”, specie in quanto … disinteressato, postula in sè il “dono” …

    Resta il fatto che resta una dimensione intima, una generica propensione alla musica – la cd. musicalità, che differenzierei una volta per tutte dalle specifiche e ben differenziate intelligenze musicali – difficilmente connotabile in termini oggettivi e scientifici. Tutt’al più con il ricorso a medie statistiche e relativamente a qualificazioni di modelli astratti ma questi sì ben precisati, quanto a fondanti strutture di pensiero (o quadri cognitivi), di specifica intelligenza musicale.

    Tale intelligenza è sicuramente multifattoriale nelle sue interne componenti e specificità; e nelle sue diverse qualificazioni si precisa quanto meno nell’intersecazione con altre tipologie di intelligenza. Quali:
    1) quella motoria o corporeo-cinestetica – tipica dei performer: sportivi, danzatori, attori, … musicisti strumentisti;
    2) quella linguistico-verbale: poeti, narratori, affabulatori carismatici di vario tipo e di spessore morale estremamente diversificato nella comune arte produttiva dell’altrui “convincimento” – dai profeti e dai sacerdoti ai politici, commercianti inclusi, … e dunque ai musicisti cantanti e ai compositori di musica vocale – dai madrigalisti rinascimentali agli operisti, dai liederisti ai moderni cantautori – o comunque simultaneamente versati anche nel medium comunicativo verbale e magari nelle sue forme retoriche di sonora astrazione e rappresentazione (ciò però postulerebbe anche l’ulteriore e marcata intersezione con un’intelligenza visivo-spaziale ed ottico-eidetica, particolarmente adattate al proprium sonoro: si pensi alle “pitture” musicali di un J. S. Bach …);
    3) quella logico-matematica: cos’altro precisa difatti l’intersezione extra-musicale che predispone quelle intelligenze musicali specifiche che definiremmo armonico-tonali, polifonico-contrappuntistiche, timbrico-concertanti, analitico-riflessive e argomentative, che distinguono compositori, direttori, musicologi, nonché gli esecutori interpreti “colti” e gli stessi teorici musicali – gli antichi “musici” ben distinti nel medioevo e nel rinascimento dalla sottoposta categoria dei musicanti? Etc. etc. …

    Domina sempre l’accomunante ed alta propensione all’istinto creativo e alle sue ludiche fantasmagorie. Dove mezzo d’espressione ed espressione stessa paiono confondersi, fino a rendersi un tutt’uno:

    Suono


    E vorrei essere violoncello
    e sentirmi scavare il suono
    nei visceri dello stomaco

    E vorrei vedermi flauto
    e librarmi sopra il mio stesso suono,
    aereo e volatile nell’immenso cielo

    E vorrei immaginarmi violino e liuto e arpa ed archi …
    e non distinguere più, nella mia sonorità,
    l’unico che si rifrange nel molteplice

    E vorrei pensarmi tromba, corno, oboe, clarino …
    pura materialità sonora
    e, nella lontananza del soffio,
    sentirmi suono che ti si avvicina

    Vorrei …

    Ma qui,
    adesso,
    pianoforte sono

    E carezzante suono
    suono da te carezzato
    mi sento.

    Da: Mario Musumeci, Poesia nell’amore, Lippolis, Messina 2010

  4. nilo ha detto:

    in che senso definisce “pitture” musicali le opere di J. S. Bach? è uno spunto che mi interesserebbe moltissimo approfondire….

    • musicaemusicologia ha detto:

      Beh, è un discorso che implicherebbe la stesura di un saggio bibliograficamente ben supportato e non certo una spiegazione solo lessicale o comunque sbrigativa. Comunque ci provo in breve.

      Le virgolette starebbero ad indicare la peculiarità barocca di questi riferimenti “visivi”, ben connessi alla coeva Teoria degli affetti, o Retorica musicale. L’ascendenza epocalmente più diretta di questa matrice colta dell’ascolto musicale, connessa con la propedeutica nozione di Musica reservata, andrebbe ricercata nel Madrigalismo rinascimentale. Al proposito sul sito, cercando bene (specialmente nelle rubriche di E-Learning) troverà sicuramente materiali utili al proposito.

      Però togliendo le virgolette alla suddetta espressione, si potrebbe generalizzare l’approccio fino ad includervi tutto il successivo repertorio della musica occidentale: in tal caso si tratterebbe semmai di sollecitare la componente dell’eidòs, dell’immagine mentale – coacervo di implicazioni multisensoriali, dunque per la natura umana intrinsecamente visive e pertanto artisticamente … pittoriche.

      Tale sensibilità non è certo da intendersi nel senso di un banale descrittivismo narrativo e dunque visivo, sbrigativamente annesso per pigra tradizione solo alla cd. Musica descrittiva o a programma. Andrebbe semmai precisato che ogni implicazione sensoriale nel momento in cui è rilevata come un “significante” dal nostro cervello tende subito a tradursi in immagine mentale; meglio: in un riflesso multisensoriale di quella stessa implicazione, dunque anche a carattere prevalentemente visivo(-gestuale). Tali referenze non sono certo estranee al compositore, a maggior ragione se si tratta di musica su testo poetico-verbale; e in tal caso se ne dimostra anche più facilmente l’evidenza.

      Il problema si pone in maniera più complessa per la musica strumentale cd. assoluta: dal repertorio sonatistico-sinfonico tardo-settecentesco in avanti. Proprio le sue intrinseche valenze retoriche, dal discorsivo al visionario (così soprattutto nella matrice culturale dell’epoca romantica), andrebbero lette una volta per tutte anche in chiave narratologica: l’unica che implicherebbe, almeno a parere dello scrivente, un’effettiva comprensione della grande musica della tradizione occidentale (ovviamente a chi interessa …). Al proposito trova dei materiali utili riferiti proprio al Romanticismo e al Modernismo in E-Learning.

      Capiterà comunque di tornare sull’argomento anche incidentalmente durante il corso delle lezioni dei prossimi anni accademici …
      Sempre però considerando – non lo dimentichi – l’esperienza dell’ascolto musicale come una delle più complesse e polivalenti esperienze di relazione, dunque non traducibile solo in unilaterali ed esclusivizzanti meccanismi di ricezione e di appropriazione.
      M. M.

Scrivi una risposta a nilo Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.